Alessandro Giuli: i riferimenti culturali del “giulismo” e ChatGPT

Arte, Cultura & Società

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Il clamore, amplificato dai social e reso stereotipato, sull’eloquio del Ministro Giuli ha glissato su una qualche riflessione sui riferimenti culturali del nostro che pur si palesavano nel suo stile involuto e precipitoso ovvero non adeguatamente reso fruibile ad un uditorio eterogeneo e a tratti “distratto” ma sempre particolarmente sensibile al pour parler.

Dopo un primo tentativo di riflessione su un ministro che si è voluto distanziare dal consunto stile ministeriale privilegiando un eloquio filosofico https://www.corrierenazionale.net/2024/10/16/la-tecno-filosofia-del-giulismo/  si è voluto interloquire con ChatGPT con la speranza che l’intelligenza artificiale sia di stimolo a non privilegiare la “chiacchiera”  in senso heideggeriano (per restare sul tema).

Alessandro Giuli fa riferimento tanto a Ernst Jünger quanto a Julius Evola nelle sue riflessioni, ma con prospettive diverse.

Da un lato, Jünger è apprezzato per la sua figura del “ribelle”, una tipologia di uomo che resiste alle costrizioni della modernità attraverso un approccio esistenzialista e metafisico.

Giuli vede in Jünger un pensatore che ha saputo descrivere il clima di guerra e la mobilitazione totale come condizioni capaci di forgiare un nuovo tipo di umanità, che va oltre il materialismo e il progressismo moderno, proiettandosi verso nuovi paradigmi aristocratici​

Dall’altro lato, Giuli ha un rapporto più complesso con Evola.

Evola è stato per Giuli una fonte di ispirazione per la sua visione aristocratica e anti-modernista, che rifiuta i valori della borghesia e l’individualismo utilitaristico.

Egli fa anche riferimento a Evola nella sua opera “Il passo delle oche”, analizzando come il pensiero evoliano abbia influenzato il post-fascismo italiano e le sue ambiguità ideologiche​

In sintesi, Giuli integra i contributi di entrambi i pensatori in una riflessione più ampia sull’identità politica e spirituale della destra italiana, ma con approcci differenziati per ciascuno.

ChatGPT:

Il Trattato del ribelle di Ernst Jünger e le opere di Julius Evola sono entrambi fondamentali per comprendere un certo tipo di pensiero politico e filosofico che si sviluppa nel XX secolo, legato a una critica della modernità, dell’ordine borghese e del materialismo. Tuttavia, i due autori, pur condividendo alcuni aspetti comuni, presentano differenze significative nelle loro visioni del mondo.

Il libro “Venne la Magna Madre. I riti, il culto e l’azione di Cibele romana” di Alessandro Giuli esplora in modo approfondito il culto della dea Cibele, una divinità orientale che fu accolta a Roma nel 204 a.C., durante il periodo delle guerre puniche, e che divenne un’importante figura religiosa e politica nella vita pubblica e privata dell’impero romano.

Giuli affronta il tema della Magna Mater (la Grande Madre) da più prospettive, unendo la dimensione storica a quella simbolica e rituale. Cibele, che incarna il potere rigenerativo e selvaggio della natura, viene descritta come una figura complessa e ambigua, associata tanto alla fertilità quanto alla violenza. Uno dei tratti distintivi del suo culto, come Giuli evidenzia, è la presenza di riti estatici e orgiastici, spesso condotti dai sacerdoti eunuchi chiamati galli, che rappresentavano un aspetto di devota dedizione alla dea.

Riti e simbolismo

Uno dei punti centrali del testo è la descrizione dei riti che accompagnavano il culto di Cibele, caratterizzati da sacrifici, danze e celebrazioni pubbliche. Giuli pone un’enfasi particolare sui rituali della “taurobolia” e della “criobolia”, in cui il sangue degli animali sacrificati veniva utilizzato per purificare e rinvigorire i partecipanti. Questi rituali hanno anche un significato più profondo, legato alla rigenerazione e alla rinascita spirituale e fisica, concetti essenziali nel culto di Cibele.

Dimensione politica

Un altro aspetto interessante che Giuli sviluppa nel suo lavoro è l’importanza del culto di Cibele nell’ambito politico romano. La sua introduzione fu vista come una mossa strategica per consolidare l’unità dell’impero durante un periodo di crisi, e la presenza di un tempio dedicato alla Magna Mater sul Palatino era simbolo del potere e della stabilità di Roma. Il culto di Cibele, dunque, non solo aveva una funzione religiosa, ma anche una valenza politica, con implicazioni che riguardavano la legittimazione del potere imperiale.

Interpretazione moderna

La Grande Madre viene letta come un archetipo che continua a influenzare l’immaginario collettivo, simbolo del femminile universale e di una forza primordiale che resiste al tempo. In questo senso, il libro non si limita a un’analisi del passato, ma cerca di mostrare come i miti antichi possano avere ancora rilevanza nelle riflessioni odierne sul potere, la religione e la società.

Per integrare la riflessione sul testo di Alessandro Giuli “Venne la Magna Madre. I riti, il culto e l’azione di Cibele romana”, possiamo ampliare alcuni dei temi trattati e riflettere su come il culto di Cibele si inserisca in un quadro più ampio, sia a livello religioso che culturale.

Il sincretismo religioso di Roma

Uno degli aspetti più interessanti che emerge dall’opera di Giuli è la capacità dell’antica Roma di assorbire culti e divinità straniere all’interno del proprio pantheon. La Magna Mater, originaria della Frigia, viene introdotta in un contesto culturale profondamente diverso, ma Roma la integra con sorprendente fluidità. Questo fenomeno riflette il sincretismo religioso romano, che assimilava influenze religiose esterne come parte della sua espansione imperiale. Il culto di Cibele non solo soddisfaceva bisogni spirituali e religiosi, ma serviva anche a dimostrare il carattere inclusivo dell’impero, capace di attrarre e unificare diverse identità culturali.

Il ruolo del culto nella sfera pubblica e privata

Un altro elemento di integrazione è l’interessante dualità del culto di Cibele, che si collocava tra la dimensione pubblica e quella privata. Da un lato, il suo culto ebbe una forte presenza pubblica con processioni, cerimonie e la costruzione del tempio sul Palatino, simbolo del potere e della grandezza romana. Dall’altro, la devozione personale e intima alla Magna Mater – specialmente attraverso il sacrificio e il ruolo dei sacerdoti galli – rifletteva una relazione molto personale e intensa con il divino.

Questo dualismo evidenzia una caratteristica distintiva del mondo religioso romano, che spesso intrecciava il pubblico e il privato: le divinità potevano rappresentare la città o lo stato, ma anche entrare nella vita quotidiana dei cittadini attraverso i culti domestici e la devozione personale. Cibele rappresentava entrambe le sfere, evidenziando l’importanza della religione non solo come istituzione ma anche come fonte di connessione spirituale.

Il fascino dell’eccesso e del sacro

Il culto della Magna Mater, con i suoi riti estatici e orgiastici, pone una domanda cruciale sull’interazione tra sacro ed eccesso. Alessandro Giuli sottolinea come i riti di Cibele, caratterizzati da frenesia e trasgressione, rappresentassero un’interruzione temporanea dell’ordine quotidiano. Le celebrazioni in onore di Cibele coinvolgevano la perdita di controllo, l’esaltazione fisica e la violazione delle normali strutture sociali, specialmente attraverso la figura degli eunuchi galli, simboli di una trasformazione estrema e permanente. Questo culto ci mostra come il sacro nell’antichità potesse esprimersi attraverso una sospensione delle regole sociali e del corpo.

Il fascino per queste cerimonie è in parte dovuto alla loro capacità di mettere in discussione l’ordine stabilito, offrendo uno spazio di riconciliazione tra il selvaggio e il civilizzato. Giuli cattura l’ambiguità di questi riti, che pur essendo regolamentati e riconosciuti ufficialmente, mantenevano una natura liminale e potenzialmente sovversiva.

Una riflessione sull’archetipo della Grande Madre

Il libro di Giuli apre anche uno spazio di riflessione sul simbolismo universale della Magna Mater. Nella psiche collettiva, la figura della “Grande Madre” incarna il potere creatore, distruttivo e rigeneratore della natura. La sua capacità di creare la vita ma anche di distruggerla la rende una delle figure archetipiche più potenti e radicate in diverse culture.

La Grande Madre rappresenta anche una forza della natura che non può essere completamente addomesticata o compresa. Il fatto che il suo culto comprendesse sia la vita sia la morte, sia la creazione che la distruzione, dimostra come gli antichi fossero in grado di accogliere queste polarità e celebrarle attraverso rituali complessi e spesso estremi.

Influenza Culturale e Artistica

Infine, è interessante notare come il culto della Magna Mater abbia influenzato l’arte, l’architettura e la cultura visiva dell’antica Roma. Le rappresentazioni di Cibele, spesso raffigurata seduta su un trono con una corona di torri e affiancata da leoni, riflettono un immaginario potente e maestoso che comunicava autorità, protezione e abbondanza. Questi simboli erano spesso riprodotti su monete, statue e decorazioni pubbliche, diffondendo il messaggio di un impero che cercava di associare la sua grandezza e stabilità alla benevolenza e alla potenza della Grande Madre.

Il suo libro è un’opera che si presta a letture multiple: come studio storico, come analisi culturale e come riflessione sul potere trasformativo dei miti antichi nella società contemporanea.

Conclusione

Il Ministro Giuli si è voluto presentare come pensatore e non come un grigio funzionario per puro “solare” narcisimo –  che pur traspare –  per una vena teatrale: no, Gliuli ha voluto declinare un progetto politico chiaro, i numi tutelari di riferimento che vorrebbe innervare nella sua prassi ministeriale: il “giulismo”.

Chi non si riconosce in un progetto ha l’obbligo di analizzarlo, misurarsi con esso e proporre una propria visione.

Il silenzio alimenta solo un dibattito di cabaret: quanto pìù lontano da un’idea di polis di cui i social non hanno necessità ma il paese sì.

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