La Solidarietà Sbagliata: Meloni e la repressione del dissenso pro-Palestina

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La recente dichiarazione di Giorgia Meloni, che esprime solidarietà alle forze dell’ordine dopo gli scontri avvenuti a Roma durante una manifestazione pro-Palestina, solleva questioni profonde sulla gestione del dissenso e sul ruolo del governo italiano nel contesto di una crisi umanitaria globale. Mentre la Premier condanna gli atti di violenza contro le forze dell’ordine, è cruciale non perdere di vista il vero cuore della questione: le proteste non sono manifestazioni isolate di violenza gratuita, ma una risposta a un conflitto che molti osservatori internazionali stanno definendo come un possibile genocidio in atto nella Striscia di Gaza.

Meloni, concentrandosi unicamente sugli atti violenti dei manifestanti, rischia di banalizzare le cause profonde che spingono migliaia di persone a scendere in piazza. Il suo uso del termine “sedicenti manifestanti” non è soltanto una svalutazione delle loro richieste, ma una vera e propria delegittimazione della loro protesta. Questo tipo di retorica, che pone in primo piano l’ordine pubblico piuttosto che il diritto alla protesta, riflette un modello autoritario in cui il dissenso viene sistematicamente criminalizzato, anziché affrontato con dialogo e comprensione.

Le manifestazioni in Italia, come in gran parte dell’Europa, sono espressioni di una solidarietà internazionale verso un popolo che subisce quotidianamente violenze e soprusi. I manifestanti che Meloni definisce “agitatori” stanno cercando di attirare l’attenzione su un conflitto che ha visto la morte di migliaia di civili, molti dei quali bambini, per mano di bombardamenti indiscriminati. Definire queste manifestazioni come semplici atti di violenza significa, in sostanza, silenziare la denuncia di un’ingiustizia storica.

In un momento in cui sempre più voci, inclusi accademici, giornalisti e persino rappresentanti di organizzazioni internazionali, denunciano una possibile pulizia etnica o un genocidio in atto, il governo italiano deve interrogarsi sul proprio ruolo. Continuare a insistere sulla “legge e ordine” senza affrontare il conflitto globale più ampio rischia di allineare l’Italia con un silenzio complice che tanti criticano. Il messaggio di Meloni sembra più volto a consolidare la sua base elettorale interna, sensibile alla narrazione securitaria, che a proporre una riflessione seria su quanto sta avvenendo a Gaza.

Le forze dell’ordine italiane, spesso esaltate come difensori della sicurezza nazionale, in questo contesto agiscono come uno strumento di repressione di quella stessa democrazia che dovrebbero proteggere. La loro risposta brutale alle manifestazioni, con decine di agenti mobilitati contro cittadini che cercano di esprimere un’opinione su una crisi umanitaria, solleva interrogativi su quanto lo Stato italiano sia disposto a tollerare la dissidenza. Questo è particolarmente preoccupante se visto in parallelo con le violazioni dei diritti umani perpetrate dallo Stato israeliano contro i palestinesi: entrambi gli Stati sembrano rifiutare il diritto alla resistenza contro un sistema che molti considerano oppressivo.

In sintesi, mentre Meloni esprime la sua “solidarietà” alle forze dell’ordine, il vero problema resta quello di un governo che ignora deliberatamente le voci di coloro che chiedono giustizia per le vittime di un conflitto devastante. È una solidarietà che si schiera dalla parte sbagliata della storia, una che legittima l’uso della forza contro chi tenta di denunciare l’ingiustizia, piuttosto che ascoltare quelle voci che gridano per i diritti umani, la libertà e la dignità di un popolo oppresso. Questo silenzio e la repressione non possono continuare ad essere giustificati sotto il velo della sicurezza interna.

Gabriel Naticchioni

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