Quando il male c’è ma non c’è: Giulia Caminito abbraccia il lettore con il suo nuovo romanzo

Libri & letture consigliate

Di

Questa mattina ho cercato su Google istruzioni su come recensire un libro bello, ma non ho trovato granché. Internet non ha tutti i torti: come ci si comporta quando tocca parlare di un libro che ti afferra per i polsi, esegue arpeggi sulle corde del tuo nucleo, ti annoda? Uno di quei libri che, per intenderci, parla di te pur non sapendo che esisti. Come ci si comporta quando tocca parlare di un libro che adesso, in qualche modo, ti appartiene?

Forse Giulia Caminito, già vincitrice del Premio Campiello 2021 e autrice di questo libro bello dal titolo Il male che non c’è, deve essersi domandata qualcosa di simile: come fare a raccontare un’esperienza furiosamente personale senza diventare preda del proprio vissuto, donandone una parte al lettore? Qualunque cosa si sia risposta, ci è riuscita. E ci è riuscita in modo così prorompente che è ora mio dovere trovare la quadra e scrivere la recensione di un libro che si dà il caso senta anche un po’ mio.

Veniamo, dunque, al libro. Si potrebbe sintetizzarne il contenuto in una riga: è la storia di come il trentenne Loris (non) gestisce la sua ipocondria – il famoso male che (non) c’è. Ma questo è vero solo in superficie. Con il nuovo romanzo, in effetti, Caminito compie un’operazione ben più sottile: raccontare quanto sia difficile sentirsi adulti. Che è ben diverso da diventare adulti. Adulti lo si “diventa” all’incirca tra i 18 e i 30 anni.  Ma quand’è che ci si sente veramente adulti, dunque pronti a farcela, ad affrontare il lato oscuro della vita, ad assumersi la responsabilità di esserne in grado? Quando ci si sente seriamente preparati al dolore e alle sue epifanie subdole e inaspettate? Forse, mai. Forse, avremmo tutti il diritto di dichiarare a voce alta che pur essendo diventati anagraficamente adulti, spesse volte non ci sentiamo capaci di stare al mondo.

È questa l’essenza dell’ipocondria di Loris, che è tanto più vera quanto più è umana: la malattia diventa prigione dorata dalla quale tenersi a distanza dalla realtà che fa paura; il sintomo, il diversivo che ostruisce la possibilità di prendere fra le mani la propria fragilità e offrirle cura. Guarire dalla nevrosi e affidarsi alle turbolenze vita terrorizza più della malattia stessa. Allora, la malattia diventa necessaria, diventa necessario che esista, che sia tangibile, anche se non c’è: serve a distrarsi dalla parte più scoperta, quella che è stata programmata per difenderci dai mostri della notte.

Questo Giulia Caminito lo ha saggiato in prima persona, e vorrebbe lo capisse anche il suo Loris che «anche i vecchi semi ritrovati nelle cantine hanno la possibilità di bucare il terreno». Ma «lui ancora non lo sa, toccherà insegnarglielo».

Chissà se alla fine Loris lo ha trovato il suo modo di stare al mondo, se adesso è in grado di reggerne il peso. Resta il fatto che quel trentenne cocciuto e fragilissimo è riuscito a farmi sentire meno sola. Forse, già solo per questo, dovrebbe essere contento di sé.

Giulia Tardio

One Reply to “Quando il male c’è ma non c’è: Giulia Caminito abbraccia il lettore con il suo nuovo romanzo”

  1. Riccardo ha detto:

    Ottima recensione di un libro che sicuramente leggero’.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Traduci
Facebook
Twitter
Instagram
YouTube