La ghianda che è in noi: James Hillman e i segnali per decifrare “il codice” dell’anima

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Quanto comodo sarebbe avere ogni informazione sul nostro mondo interiore a portata di mano? Fare swipe up e scoprire scrollando che ci facciamo quaggiù, cosa vuole la vita da noi, se c’è una logica dietro quello che (ci) accade. Ma le cose belle sono difficili, dicevano i Greci, e per quanto tutto questo possa farci sbuffare, dobbiamo ammettere che è la verità. Sia che le cose belle sono difficili, sia che alle volte non basta una vita intera per rintracciare il proprio posto nel mondo. Prima di demoralizzarvi, però, proseguite con la lettura.

Quando le domande diventano troppe (o troppo complicate), ecco che di solito ci si affida ai libri, che puntualmente ci sostengono nei momenti di crisi. È per questo che oggi vi parlo de Il codice dell’anima (1996), già solo per il fatto che, secondo lo psicanalista statunitense James Hillman autore del libro, bene o male ciascuno di noi ha il suo posto nel mondo, nessuno escluso.

Il volume si apre così: «Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada». “Qualcosa”, sì. Ma cosa? Questo “qualcosa” «c’centra molto con i sentimenti di unicità, di grandezza, e con l’inquietudine del cuore, con la sua impazienza, la sua insoddisfazione, i suoi struggimenti». Chiarissimo, Hillman. Non lo possiamo né vedere né toccare né spiegare, questo qualcosa. Però c’è, perché lo sentiamo, ha a che fare con il senso profondo della nostra personale esistenza.

A questo punto, qualcuno inizierà a pensare: “Ecco, come non detto, io non ce l’ho, questo qualcosa”. Ma Hillman è categorico su questo punto: tutti abbiamo una unicità, una vocazione che chiede di essere vissuta. È la nostra anima, eterna e divina: una piccola ghianda. Ma se è così, qual è la differenza tra l’ortolano ambulante e l’imprenditore che va avanti a caviale e jet lag? Forse il primo avrà in mezzo al petto una ghianda piccola come una nocciolina mentre il secondo una quercia grande come una casa? Evidentemente, no. Per due ragioni: intanto, perché non esistono anime di serie A e anime di serie B; poi, perché la vocazione non coincide con il lavoro. Non è in cosa facciamo, che si manifesta la nostra unicità, ma nel come lo facciamo. Dunque, nel nostro carattere. Per questo lo scopo della vita altro non deve essere che diventare noi stessi: tutto ciò che siamo abita già dentro di noi, si tratta solo di lasciarsi guidare dall’intuizione, quell’urgenza indefinita che ci comunica che un qualcosa per noi è importante.

Sono parole potenti, quelle di Hillman, che risuonano oggi assieme alle corde delle nostre incertezze, quelle che vibrano di più nei momenti di confusione. Soprattutto quando ci si perde, è importante ricordarsi che una direzione c’è. Richiede un certo sforzo, affidarsi a ciò che sentiamo, perché non lo possiamo né vedere, né toccare, né spiegare. Ma c’è, non a caso si chiama “qualcosa”. E di solito, è il primo passo verso il capolavoro.

Giulia Tardio

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