Competizione sleale e siccità, uccidono l’agricoltura al Sud

Ambiente & Salute

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Concorrenza sleale e riscaldamento globale stanno destabilizzando l’agricoltura italiana e, in particolare la produzione di grano.

Spietatamente colpite Puglia e Sicilia, dove le rese per ettaro sono quasi dimezzate. Stando ai dati di Coldiretti, la produzione di grano è crollata del 20%, con un campo su cinque bruciato dalla siccità e conseguentemente la rinuncia di molte aziende agricole alla raccolta.

Prima di entrare nel merito bisogna denunciare e sottolineare l’ atteggiamento ipocrita dell’Unione europea nel contenimento delle emissioni, la legislazione dedicata, gli obiettivi e la falsa leadership nella“ battaglia” climatica.

Sono evidenti contraddizioni strutturali nelle politiche agricole europee.

Intanto da ricerche pubblicate su Nature risulta, che nel mondo 11 milioni di ettari sono stati deforestati per soddisfare la domanda di consumi europea.

Cina al primo posto ma subito dopo l’Europa, per  importazioni di prodotti agricoli.

L’Europa ha importato il 20% delle colture (118 milioni di tonnellate) e il 60% della carne e dei prodotti caseari (45 milioni di tonnellate) che ha consumato.

Questo consente alla UE di spacciarsi come“ prima donna”, dal punto di vista degli impatti ambientali generati dall’agricoltura e dagli allevamenti europei.

Importazioni da paesi con leggi, a bassissima incidenza di protezione dell’ambiente.

Risulta poi un altro elemento di ipocrisia se solo si considera, che sembra non siano vergati negli accordi commerciali afferenti le importazioni, il rispetto dei criteri di sostenibilità.

Secondo alcune ricerche nell’ultimo quarto di secolo le importazioni agricole europee sono responsabili di un terzo della deforestazione legata al commercio globale.

Milioni di ettari deforestati, gran parte dei quali nell’Amazzonia brasiliana e nel Cerrado (la savana tropicale brasiliana), per rispondere alla domanda europea di semi oleosi.

Quanta anidride carbonica in meno è stata assorbita?

La conclusione a essere seri è che la Unione europea si prende il primo posto, per le politiche green, ma nel bilancio di sostenibilità globale di fatto esternalizza il danno ambientale.

Considerando l’uso di pesticidi e fertilizzanti la UE li vieta sul suolo continentale, ma è consentito nei terreni da cui vengono importati i prodotti.

IL vecchio continente importa molta soia e mais geneticamente modificati da Brasile, Argentina, Stati Uniti e Canada (in Europa le colture OGM sono vietate in molti Stati dal 1999). Gran parte di queste colture sono resistenti a erbicidi, come il glifosato. Sulla soia gli Stati Uniti usano una quantità di fertilizzante pari a 34 kg per tonnellata, più del doppio della quantità consentita in Europa, 13 kg per tonnellata.

Il Brasile dal 1990 è passato da circa 30 kg per tonnellata a circa 60 kg per tonnellata nel 2014.

Uso di pesticidi in Brasile che ha portato, a una drammatica riduzione di api e di insetti impollinatori.

Contrastare la concorrenza sleale vuol dire avere il coraggio di legiferare o creare, meccanismi o criteri adeguati che controllino, che gli standard di sostenibilità vengano rispettati anche dai prodotti importati.

IL grande“ imbroglio” è nella certificazione rilasciate dalle industrie accreditate presso l’Unione Europea e, a cui ciascuna azienda può aderire in via volontaria.

Si comprende che la UE non può imporre agli altri Stati non membri, ma può pretendere che i beni che entrano nel mercato europeo rispettino le regole europee.

Secondo calcoli seri ogni cittadino europeo in media ‘importa’ circa una tonnellata di anidride carbonica all’anno in beni, che entrano nel mercato europeo.

Secondo le organizzazioni agricole nei primi tre mesi del 2024, l’Italia ha importato oltre 2100 milioni di chili di grano, segnando un più 15% rispetto allo scorso anno.

Grani di dubbia qualità provenienti da Turchia, Kazakistan e Ucraina.

Nell’aggiornamento del 12 agosto, l’USDA ha comunicato che gli USA hanno raggiunto un massimo di produzione pari, a 54 milioni di tonnellate.

Almeno un 40% sarà esportata incidendo sulla discesa dei prezzi che insieme ai mercati dei futures completano l’opera.

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