Schiavisti complici. Easy and fast

Diritti & Lavoro

Di

Non sempre magri, ma alla moda. Con portafoglio sottile

Di Francesca Dallatana

Tutti giovani e con abiti trendy, efficienza, connessione permanente alla comunità dei social media, comunicazioni di una manciata di battute trancianti nel male e nel bene.

E’ il terzo millennio. Un tempo corrotto da una visione della vita che dimentica il passato, non considera il futuro ma annaspa in un presente ansioso e frammentato. Il lavoro si adegua a questa fotografia sociale, che nuova non è. La produzione corre dietro a un cliente forever young che vuole tutto e subito. Che si sente eterno. Una corsa isterica.

Chi condiziona chi? E’ la domanda che influenza l’offerta oppure il contrario? Se lo chiede Valentina Furlanetto. Per rispondere propone un reportage dal labirinto del lavoro, pubblicato da Laterza. Drammatica ma vera la risposta: “Noi schiavisti. Come siamo diventati complici dello sfruttamento di massa.”

Fast food

Il primo capitolo è dedicato al settore alimentare, alla lavorazione delle carni. E’ la cronaca del lavoro quotidiano di Andrew, operaio addetto alla macellazione. Per lavoro stordisce i grandi animali da macellare. Non li uccide subito ma spara loro con una pistola a proiettile captivo per renderli innocui. Poi li appende per le zampe.

E li finisce tagliando le grandi arterie che portano sangue agli organi vitali. Questa è la prima parte del processo di macellazione. Il lavoratore non è formalmente un operaio del settore alimentare industria, per lui non viene applicato il contratto collettivo nazionale del lavoro di categoria. E’ un bellboy, un fattorino.

Perché l’attività della quale si occupa è stata appaltata a una società diversa, un’azienda esterna che applica un altro contratto di lavoro e che riconosce uno stipendio inferiore rispetto a quello dei lavoratori dipendenti direttamente assunti dall’azienda produttrice. Stordimento, incaprettamento, uccisione, taglio e lavorazione della carne: è la filiera di lavoro che precede lo scomparto del supermercato dove l’animale è ridotto in piccoli tranci dentro una scatola di plastica trasparente con un prezzo appiccicato sopra: qualche euro o poco più.

Per permettere al consumatore di riempire il carrello con prodotti a prezzo basso, Andrew e i colleghi accettano ritmi di lavoro alti, senza straordinari pagati, con tutele per salute e sicurezza discutibili o nulle. Una Repubblica fondata sull’appalto: titola così Valentina Furlanetto uno dei capitoli dedicati al subappalto in Italia.

Del subappalto si ignorano le regole: chi appalta deve mettere a disposizione le macchine, gli spazi e deve organizzare il lavoro. L’appalto non è un affitto del lavoro.

Le lezioni dal nord

Prima lezione: Germania.  Abbattere il costo del lavoro, abbattere i prezzi. Il modello tedesco ha imposto appalto e subappalto come sistema per abbattere il costo del lavoro, quindi il prezzo finale del prodotto.

Per farlo ha organizzato una ricerca del personale, cioè di braccia, e l’ha rivolta ai Paesi dell’est Europa, quali la Romania e Paesi confinanti. Ha organizzato squadre e modalità di lavoro finalizzate al contenimento del costi. Selezione di forza lavoro di sole braccia senza voce, organizzazione dei trasporti, scampoli di alloggi precari e fatiscenti affittati e detratti dalle retribuzioni.

Accade poi che lo sfruttato si affranchi. E che da sfruttato diventi connivente con lo sfruttatore principale, caporale lui stesso. E la filiera di braccia diventa organizzazione strutturata, con una catena di comando.

Presenza massiccia di lavoratori rumeni nel 2017: ventimila. Trentamila nel 2020, all’inizio del Covid. Un dato sottostimato, perché molti dei lavoratori migranti sono assunti in altri settori, come le pulizie. Ma sono impiegati nell’industria della lavorazione delle carni.

Seconda lezione: Danimarca. Niente subappalti. Assunzione diretta da parte delle aziende. Stessi diritti e stessi doveri per tutti. Solo un lavoratore su quattro è un migrante. Livelli di adesione sindacali molto alti. Aziende di lavorazione delle carni altamente innovative per tecnologie e per tutele e di tradizione secolare. Austria: anche qui un dignitoso rispetto dei diritti del lavoro e dei lavoratori ha calmierato la diffusione del Covid-19.

Lo sporco degli altri

Un operatore addetto alle pulizie rimuove gli scarti della vita. Dopo di lui, oppure dopo di lei l’effetto temporale: nebulizzazioni di profumo. Mettono le mani dove le scorie della vita si nascondono. Le stanano, ripuliscono e se ne vanno. Uffici, alberghi, luoghi di comunità: un tempo i lavoratori e le lavoratrici firmavano un contratto direttamente con i titolari delle attività e diventavano loro dipendenti, con un orario di lavoro definito.

Le crisi economiche e il costo del lavoro hanno imposto anche in questo settore l’esternalizzazione del servizio. Intervengono società esterne, spesso cooperative, che impongono part time ad orario ridotto e molto frammentato. In albergo non si lavora a ore, ma a camere: per ogni spazio da pulire un tempo definito.

Un imprevisto e la retribuzione viene decurtata da quella somma. Squadre di lavoratori disponibili, spesso stranieri, permettono di sostituire chi dice no e accettano condizioni di lavoro al limite della legalità.

Contratti di lavoro part time con monte ore settimanali molto bassi impediscono ai lavoratori di cercare e fare altro perché spesso il datore di lavoro convoca senza preavviso per il lavoro straordinario. L’attesa della chiamata rende forte l’ingaggio e impossibile la deviazione virtuosa dal labirinto del lavoro sfruttato.

Hard discount

Una cliente nella pienezza dell’età della ragione acquista un ananas a un centesimo. Si domanda come sia possibile. Non trova la risposta, ma acquista. A casa, due nipoti in età scolare e un figlio architetto coniugato con una sua collega che insieme realizzano meno di duemila euro al mese e un altro figlio con una piccola attività commerciale destinata al fallimento.

Il supermercato propone una spesa intelligente in una grande città del nord. Nello stesso momento, in un campo di lavoro al sud che somiglia ad un campo di concentramento, un uomo indiano più giovane della donna del nord mastica semi di oppio per attutire disagio e dolore. Ha mani e polsi distrutti per i movimenti ripetitivi della raccolta della frutta e dal lavoro in agricoltura.

Vive in un container. Il bagno è una turca che scarica direttamente sul canale. Inaspettatamente viene dal nord: prima di lavorare per il caporale del sud aveva lavorato al nord in condizioni simili. Nessuno denuncia. A chi lo fa capita di precipitare da scale interne senza corrimano in case abbandonate e diroccate in spazi lontani da sguardi indiscreti.

La corsa della cura

Angeli ed eroi. Sono gli operatori socio sanitari e gli infermieri. Quelli che hanno curato gli ammalati e per lavorare si sono ammalati. Quelli inginocchiati di stanchezza. Durante la pandemia si era detto che nessuno mai sarebbe stato licenziato. Parole.

Fatti solo per chi aveva una tutela contrattuale degna di questo nome. Parole, invece, per molti dipendenti delle cooperative diventati disfunzionali perché hanno chiesto il riconoscimento dei loro diritti. Il libro parla di corse da un reparto all’altro da parte di infermieri assunti da cooperative: oggi in ortopedia, domani in psichiatria, dopodomani al pronto soccorso.

La qualità dell’assistenza della cura e del servizio è direttamente proporzionale allo stress del lavoratore. La professionalità si addice più al settore della logistica che a quello sanitario. Invece, le storie riportate dal libro di Valentina Furlanetto riportano cronache dalla quotidianità di grandi ospedali del Paese, Regioni del nord incluse.

Il focus dedicato all’infermiere reso disabile dal titolare fattuale della cooperativa è disarmante: dopo mesi di lavoro senza stipendio, la violenza fisica sul lavoratore è la risposta alla richiesta del pagamento dello stipendio.

L’infermiere marocchino di sessantatre anni è costretto alla disabilità. Dal referente di una cooperativa che ha uno psicologo come ideatore del servizio, che schiaffeggia i dipendenti sul posto di lavoro se non raggiungono gli obiettivi in modo efficiente.

L’assistenza obbligata

Badanti sfruttate per necessità da famiglie in crisi economica perenne e stressate da situazioni difficili da sostenere e sfruttatrici senza scrupolo in situazioni di estrema precarietà psicologica.

Il portafoglio sottile peggiora le cose. Ma a inquinare i rapporti è soprattutto la stanchezza e la scarsa cultura della cura. E’ il lavoro teoricamente più facile, di pazienza e di attesa: si assiste osservando, facendo cose in tempi dilatati tra i muri di una casa.

E’ il lavoro praticamente più difficile: costretti all’attesa di niente oppure di eventi da affrontare: è la sospensione del proprio tempo in funzione della vita di un’altra persona.

Tempo pagato, certo; regolamentato da contratto collettivo nazionale del lavoro; ma spesso è un lavoro obbligato per persone migranti impossibilitate a rimanere nel loro Paese e a cercare e trovare un’altra occupazione. Per molte persone non è un lavoro di transito.

Difficile dire chi sia lo sfruttatore e chi lo sfruttato. Un abbraccio che è un groviglio di sentimenti contraddittori ispirato alla sindrome di Stoccolma.

Covid-19

La pandemia non ha inventato alcunché. Il libro di Valentina Furlanetto è datato 2021, epoca di emergenza sanitaria mondiale per la diffusione del Covid-19. Il Coronavirus non ha portato novità, ma ha strappato il velo del tacito accordo sul fenomeno dello sfruttamento lavorativo.

La necessità di tracciare le persone contagiate e di comunicare il loro stato di salute alle agenzie preposte ha messo in luce un sistema di sfruttamento a matrioska: un’azienda dentro l’altra. In Italia il fenomeno ha riguardato tutti i comparti produttivi. Imprimendo una velocità alta al settore logistico e della distribuzione dei beni a domicilio.

Gli affari di Amazon sono esponenzialmente aumentati. L’organizzazione interna ha dettato ritmi serrati ai lavoratori, che in generale non garantiscono una tenuta oltre ad una manciata di anni. Sognano i ritmi cadenzati e gli obiettivi da raggiungere. Un sogno, anzi un incubo. Non per tutti lo è: Furlanetto racconta la storia di un giovane ingegnere proveniente da un altro Paese che coglie positivamente la possibilità di riscatto nel lavoro di organizzazione in tempi record delle spedizioni Amazon.

E’ un lavoratore funzionale al sistema; nato come lavoratore dentro il meccanismo. Ma sempre una persona. Un brutto sogno invece per il ciclista che consegna la cena a domicilio, dopo una corsa contro il tempo per onorare la consegna imposta dalla app. Cade, si infortuna e racconta.

Il riscatto del racconto

Il Covid-19 ha strappato il velo. Ad alzare la voce l’orgoglio e la dignità del lavoro.  Ciascuno si domandi per che cosa valga la pena aprire il portafoglio sottile.

Valentina Furlanetto, Noi schiavisti. Come siamo diventati complici dello sfruttamento di massa, Laterza, Bari, Roma

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Fonte La Gazzetta dell’Emilia & dintorni

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