Il nodo del Bangladesh

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di Raffaele Gaggioli

Ci sono decenni in cui non succede nulla e ci sono settimane in cui accadono decenni. Questa dichiarazione di Vladimir Lenin ben descrive gli eventi in Bangladesh delle ultime settimane.

Sin dalla sua indipendenza dal Pakistan nel 1971, il piccolo paese asiatico è stato governato direttamente dal suo esercito, o da deboli primi ministri controllati dai vari generali. La nomina di Sheikh Hasina come primo ministro nel 2009 aveva solo confermato questa realtà politica.

Hasina è infatti la figlia di Sheikh Mujibur Rahman, fondatore e primo presidente del Bangladesh. Anche se nel 2009 era stata eletta democraticamente, nei mesi successivi la donna aveva proceduto a incrementare i suoi poteri e ad imprigionare i suoi rivali politici.

La sua candidatura ad un terzo mandato nel 2014 era stata boicottata dagli altri partiti politici, e già nel 2022 le cattive condizioni dell’economia e la corruzione rampante avevano causato numerose proteste contro il suo governo.

Lo scorso giugno, il Bangladesh è stato sconvolto un’altra volta da proteste popolari e dalla violenta repressione del governo.  A differenza del 2022, le proteste studentesche stavolta sembrano aver ottenuto quello che volevano.

Dopo che una folla inferocita ha assaltato la residenza presidenziale, pochi giorni fa Hasina ha dato le dimissioni ed è fuggita in India. Sotto pressione dalle continue proteste di piazza, l’esercito bengalese ha annunciato la formazione di un governo di transizione e l’organizzazione di nuove elezioni.

Per ora, la situazione in Bangladesh rimane relativamente calma. I diversi partiti politici hanno deciso di nominare il premio Nobel Muhammad Yunus nuovo primo ministro del governo di transizione, una decisione appoggiata anche dai leader delle proteste studentesche.

Tuttavia, la situazione in Bangladesh non è ancora stabile. Per cominciare, è impossibile prevedere le mosse dell’esercito. Secondo alcuni osservatori, Hasina avrebbe deciso di abbandonare il Paese proprio perché aveva perso il sostegno delle forze armate. Per questo motivo, alcuni temono che il generale Waker-Uz-Zaman, responsabile delle dure repressioni degli ultimi mesi, sia ora il vero leader del Bangladesh.

Anche se per ora Zaman ha assecondato le richieste degli studenti, il militare potrebbe decidere di dare inizio ad un colpo di stato nel caso Yunus o un membro del governo di transizione mettessero in pericolo i suoi interessi o tentassero di farlo dimettere. Inoltre, Zaman potrebbe cercare di influenzare le prossime elezioni, usando l’esercito per far vincere un candidato a lui fedele.

Inoltre, i fattori che hanno scatenato le rivolte di piazza non sono ancora stati risolti. L’economia bengalese è ancora in crisi, e la violenza nelle strade non sembra destinata a diminuire. Peggio ancora, l’anarchia che ora domina le strade del Bangladesh potrebbe permettere ad islamisti radicali di aumentare la loro influenza nel Paese asiatico.

Nel corso delle proteste, numerosi templi hindu, e altri edifici appartenenti alla minoranza induista del Paese sono infatti stati attaccati e vandalizzati. Secondo voci non confermate, il governo indiano avrebbe addirittura evacuato buona parte del personale della sua ambasciata in Bangladesh.

L’instabile situazione interna del Bangladesh sta anche attirando l’attenzione delle superpotenze della regione, ossia l’India e la Cina. Sia Pechino, sia New Delhi potrebbero decidere di intervenire in un modo o nell’altro in Bangladesh per proteggere i loro interessi.

L’instabilità politica potrebbe infatti determinare ad un riallineamento diplomatico del Bangladesh. Durante il suo lungo governo, Hasina aveva infatti cercato di mantenere il suo Paese neutrale nella rivalità tra la Cina e l’India.

Da un lato, sotto il suo governo i rapporti commerciali tra Cina e il Bangladesh erano notevolmente aumentati. Pochi giorni prima dell’inizio delle proteste, Hasina si era infatti recata per tre giorni a Pechino.

Il tour diplomatico dell’ex prima ministra bengalese aveva lo scopo di aumentare la cooperazione politica ed economica tra i due paesi asiatici, attraverso la creazione di collegamenti aerei diretti e una diminuzione dei dazi commerciali.

Dall’altro lato, il piccolo paese asiatico aveva continuato a collaborare militarmente con le forze armate indiane per contrastare i vari gruppi fondamentalisti presenti nella regione, sostenuti dal Pakistan (alleato oramai da decenni con la Cina).

Ora, è più che probabile che il Bangladesh abbandonerà la sua lunga neutralità dopo le prossime elezioni. Molti dei potenziali candidati hanno infatti dichiarato che i problemi economici e politici del Paese possono essere risolti solo collaborando maggiormente con l’India o con la Cina.

In base all’esito della prossima elezione, Pechino potrebbe perdere l’accesso ai porti bengalesi, o la situazione militare dell’India potrebbe diventare ancora più complicata a causa di un eventuale riallineamento militare del Bangladesh con il Pakistan.

Per questo motivo, la Cina e l’India potrebbero quindi interferire nelle prossime elezioni in Bangladesh, assistendo economicamente e materialmente un candidato a loro favorevole. Alternativamente uno dei due potrebbe decidere di sostenere un colpo di stato da parte dell’esercito bengalese, qualora un candidato opposto ai loro interessi diventasse il nuovo primo ministro.

Raffaele Gaggioli

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