La solitudine di Netanyahu

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di Raffaele Gaggioli

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu è sempre stato un leader controverso sia in patria, sia all’estero. Secondo i suoi sostenitori, Netanyahu è l’unico leader in grado di difendere Israele contro i suoi nemici esterni ed interni, inclusi i diversi gruppi terroristici attivi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.

Allo stesso tempo, gli oppositori politici di Netanyahu contestano la brutalità dei suoi metodi, specialmente nei territori palestinesi sopracitati. Secondo diverse organizzazioni umanitarie, sotto il governo di Netanyahu la situazione umanitaria dei palestinesi è infatti notevolmente peggiorata a causa dell’espropriazione illegale dei loro territori per mano dei coloni di Tel Aviv.

Le diverse controversie non hanno però impedito a Netanyahu di diventare il Primo Ministro più longevo della storia di Israele. In un modo o nell’altro, Israele è stato governato da lui e dal suo partito (il Likud) sin dal 2009.

Negli ultimi due anni, la popolarità di Netanyahu ha però inesorabilmente iniziato a calare. Pur di mantenere la sua maggioranza nel Parlamento israeliano, nel 2022 il Likud aveva accettato di allearsi con Sionismo Religioso di Ben Gvir e altri partiti di estrema destra.

La mossa si è ben presto rivelata impopolare. Oltre all’incremento delle espropriazioni a danno dei palestinesi, la nuova coalizione governativa aveva ben presto iniziato a sostenere alcune controverse riforme giudiziarie.

Investigato per corruzione, Netanyahu aveva infatti cercato di rimuovere l’indipendenza dei tribunali israeliani e di auto concedersi l’immunità da qualsiasi tipo di indagine o capo di accusa. Queste iniziative hanno contribuito indirettamente all’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023.

Di fronte alle continue proteste di piazza e di parte delle forze armate israeliane, Netanyahu aveva deciso di licenziare i capi dell’esercito che criticavano il suo operato e di sostituirli con uomini a lui più fedeli.

Quando Hamas ha sferrato il suo attacco contro i civili israeliani, l’esercito di Tel Aviv era quindi troppo disorganizzato per difendere efficacemente i confini israeliani o organizzare rapidamente un contrattacco. Questo ha permesso ad Hamas di uccidere più di 1200 civili e catturare circa 200 ostaggi nell’arco di appena due giorni.

Le ambizioni politiche di Netanyahu hanno poi influenzato in maniera significativa la successiva risposta militare israeliana. Di fronte al fallimento delle difese israeliane, una risposta violenta e decisa era l’unico modo in cui il Likud poteva sperare di recuperare consensi.

Anche se l’invasione della Striscia di Gaza era stata inizialmente sostenuta sia dal popolo israeliano sia da buona parte della comunità internazionale, i successivi eventi hanno alienato molti di questi sostenitori.

Da un lato, la condotta dell’IDF nella Striscia di Gaza è sempre più criticata dalla comunità internazionale. I bombardamenti indiscriminati e la chiusura di tutte le vie di rifornimento verso il territorio palestinese hanno causato infatti la morte di circa 35000 persone.

Per ora non è possibile distinguere tra civili e combattenti di Hamas, ma il numero dei morti è sicuramente destinato ad aumentare, a causa della distruzione del sistema ospedaliero di Gaza e dell’alto numero di cadaveri insepolti.

Dall’altro lato, anche gli israeliani sono sempre più contrari alla guerra in Gaza. Un’opinione diffusa è che Netanyahu non stia facendo abbastanza per salvare gli ostaggi ancora in mano ad Hamas e che non abbia alcuna strategia su come gestire Gaza dopo la fine del conflitto.

I generali israeliani dubitano inoltre che la “vittoria finale”, ossia la completa eliminazione di Hamas e delle sue forze armate, sia possibile. Tel Aviv non ha infatti le risorse per un’occupazione completa e di lunga durata della Striscia di Gaza.

Netanyahu è quindi sempre più isolato sia dentro, sia fuori Israele. Le proteste delle famiglie degli ostaggi di fronte alla casa del Primo Ministro sono ormai un evento quotidiano, e i sondaggi da tempo prevedono una disastrosa sconfitta politica del Likud alle prossime elezioni.

Allo stesso tempo, la diplomazia internazionale si sta muovendo contro gli interessi di Netanyahu. Diversi membri della NATO hanno infatti riconosciuto diplomaticamente l’indipendenza dello stato palestinese, mentre la Corte di Giustizia Internazionale ha definito l’occupazione israeliana di Gaza e della Cisgiordania illegale.

Anche il supporto statunitense per Israele sembra vacillare. Il discorso di Netanyahu di fronte al congresso americano è stato sabotato da buona parte del Partito Democratico, e contestato da migliaia di attivisti. Anche il Presidente Joe Biden e la Vicepresidente Kamala Harris non erano presenti per l’occasione, citando impegni politici improrogabili come motivazione.

Per ora, Netanyahu sembra voler prendere tempo. Anche se i rappresentanti israeliani hanno accettato di incontrare le loro controparti di Hamas in Cairo, le richieste di Tel Aviv continuano ad aumentare, rendendo sempre più difficile un possibile accordo per il cessate il fuoco e la liberazione di ostaggi.

Forse Netanyahu spera che Donald Trump, il suo unico alleato rimasto, vincerà le elezioni presidenziali del prossimo novembre. Non a caso, i due si sono incontrati il giorno dopo il contestato discorso di Netanyahu.

È certamente una mossa azzardata, ma oramai Netanyahu non ha più molte carte da giocare.

 

Raffaele Gaggioli

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