VIDEO | Rubrica Africa. Appello all’Italia: “Rilanci la conferenza di pace per il Sudan”

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A Sant’Egidio le testimonianze da Khartoum a quindici mesi dal conflitto

Autore: Sausan Khalil

ROMA – Appello all’Italia, che ha la presidenza del G7 e promette un rinnovato impegno in Africa con il Piano Mattei: a rivolgerlo i partecipanti a un incontro internazionale dedicato al Sudan e in particolare ai suoi abitanti, ostaggio di un conflitto armato da ormai oltre un anno. L’attenzione, in una delle sedi della Comunità di Sant’Egidio, a Roma, è anzitutto alle milioni di persone costrette a lasciare le proprie case dai combattimenti. Circa due milioni quelle rifugiate, anzitutto in Ciad, Egitto e Sud Sudan; altre otto milioni quelle invece sfollate in altre zone e regioni del Paese, che abbiano lasciato la capitale Khartoum o la regione occidentale del Darfur, due degli epicentri degli scontri. Dall’aprile 2023 a fronteggiarsi sono i reparti dell’esercito che fanno capo al generale Abdel Fattah Al-Burhan e i paramilitari delle Forze di intervento rapido (Rsf), al comando di un altro generale, Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti.

conefernza stampa sant'egidio

A Roma si discute di quella che viene definita ‘una catastrofe umanitaria’. A riflettere, denunciare e proporre sono esponenti della Comunità di Sant’Egidio, rappresentanti di congregazioni missionarie e anche di organizzazioni umanitarie, come Medici senza frontiere ed Emergency. Il primo punto in evidenza è il fatto che entrambe le parti in lotta ostacolano la consegna di aiuti alle comunità locali, mettendo gli interessi di fazione davanti alla tutela dei diritti umani. A richiamare il ruolo dell’Italia come Paese che quest’anno ha la guida del G7 è Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio. Nel suo colloquio con l’agenzia Dire si ricorda come alla crisi in Sudan abbiano fatto riferimento i capi di Stato e di governo delle potenze dell’Occidente nella dichiarazione approvata al termine del vertice di giugno a Borgo Egnazia, in Puglia. ‘Condanniamo con fermezza i combattimenti in corso, con violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario a partire dall’aprile 2023’ si legge nel testo. ‘La situazione si sta deteriorando in modo costante, con un numero di vittime civili sempre maggiore’.

I capi di Stato e di governo denunciano in particolare i rischi per donne e bambini e il timore di un aumento di violenze su base comunitaria. ‘Tutte le parti devono consentire e facilitare il passaggio di aiuti umanitari in modo rapido e senza ostacoli’ si sottolinea nella dichiarazione. ‘Chiediamo di porre fine subito alle ostilità e di avviare negoziati seri e diretti per concordare e attuare un cessate il fuoco sostenibile e senza precondizioni’. Secondo Impagliazzo, alle prese di posizione devono seguire le azioni concrete. ‘Vogliamo riaccendere i riflettori su una emergenza umanitaria drammatica che tocca questo Paese dell’Africa che già in ultimi anni ha sofferto molto’, la premessa del presidente, che cita non solo il conflitto civile cominciato nell’aprile 2023 ma anche la crisi del Darfur deflagrata già nel 2003. Poi l’appello: ‘L’Italia con la presidenza del G7 ma anche con le nuove iniziative del Piano Mattei potrebbe rilanciare con più forza una conferenza internazionale sul Sudan per rimettere attorno a un tavolo i due contendenti’. Secondo Impagliazzo, ‘gli scontri sono molto violenti e stanno causando conseguenze gravi alla popolazione’. Soprattutto, poi, ‘non permettono gli arrivi regolari degli aiuti umanitari’. Ancora il presidente della Comunità di Sant’Egidio: ‘Il Paese soffre la fame in modo diffuso; ci sono due milioni di rifugiati e nove milioni di sfollati interni’. Secondo Impagliazzo, c’è ‘una situazione drammatica alle porte d’Europa’. ‘Tutti dobbiamo fare di più’, il suo appello: ‘Per questo siamo qui a sollecitare chi ha responsabilità di governo’.

L’incontro di Roma è anche testimonianza. Come quella di suor Ruth del Pilar Mora, originaria della Colombia, consigliera per le missioni delle Figlie di Maria ausiliatrice: ‘Come salesiane’, ricorda, ‘abbiamo deciso di restare a Khartoum dopo l’inizio degli scontri nonostante altre congregazioni religiose avessero deciso di partire’. È una sfida che si rinnova ogni giorno. ‘Siamo in una zona di periferia a Khartoum, in un’area molto contesa tra le parti combattenti: volevamo continuare a stare al fianco della popolazione, in particolare sul piano educativo; gestivamo una scuola informale che prima del conflitto era frequentata da 700 bambini’. I combattimenti nella capitale tengono la popolazione in ostaggio. ‘Nella nostra struttura di Khartoum restano 110 persone’ riferisce suor Ruth: ‘Due volte siamo stati colpiti direttamente dai bombardamenti e così non tutti gli spazi abitativi si possono usare’. Tante persone sono fuggite, anche verso il Sud Sudan, che dal 2011 è un Paese indipendente. ‘Lì abbiamo quattro comunità’ sottolinea suor Ruth: ‘Due a Wau, una a Rumbek e una quarta nella capitale Juba’. Le salesiane sono fonti. ‘Le consorelle ci dicono che vedono aumentare il numero dei bambini che arrivano in cerca di possibilità di studiare e soprattutto di cibo’ riferisce suor Ruth: ‘L’insicurezza alimentare continua a colpire e l’afflusso dal Nord è forte, come si vede soprattutto a Renk, dove si concentrano i campi profughi’.

A evidenziare criticità è anche Vittorio Oppizzi, responsabile progetti in Sudan per Medici senza frontiere. ‘Solo nella capitale i combattimenti hanno avuto un impatto su sette milioni di persone’, denuncia il cooperante durante l’incontro a Roma. ‘Khartoum ora è una città fantasma’. Secondo il responsabile di Msf, ‘il conflitto è caratterizzato dal fatto che le linee del fronte si spostano di continuo’. Oppizzi aggiunge: ‘Questa insicurezza è uno dei problemi principali che limitano l’intervento umanitario, ostacolato peraltro da entrambe le parti in lotta’. A inizio luglio Msf ha dovuto sospendere le proprie attività all’Ospedale turco a Khartoum. Complessa la situazione anche in altri Stati, in nove dei quali l’organizzazione ha continuato a lavorare dopo l’inizio della guerra. ‘Khartoum è stata colpita dalle violenze sin dal primo giorno’, sottolinea Oppizzi, ‘ma di recente anche a El Fasher, nella regione del Darfur, abbiamo dovuto chiudere un ospedale che era divenuto teatro di conflitto’.
La tesi è che non bastino gli appelli internazionali in favore di un negoziato tra le fazioni in lotta. ‘A Parigi c’è stata una conferenza con un impegno per i finanziamenti umanitari, ma al momento non vediamo tutto questo tradursi in azioni concrete’, denuncia Oppizzi. ‘Quello in Sudan resta un conflitto dimenticato’.

A intervenire al dibattito anche padre Angelo Giorgetti, economo comboniano, per 16 anni missionario nel Paese dell’Africa. In Sudan, la sua denuncia, c’è ‘una generazione’ di bambini e di ragazzi che sta rimanendo al di fuori della scuola e di ogni possibilità di formazione. ‘Ci troviamo di fronte a una situazione complicata’, sottolinea il religioso. ‘Le nostre tre comunità a Khartoum sono state tutte evacuate perché si trovavano in posizioni molto centrali, fin dall’inizio terreno di combattimenti
diretti’. Secondo padre Giorgetti, ‘l’intera popolazione è fuggita da quelle zone’. I comboniani non hanno però lasciato il Paese, terra di missione sin dal XIX secolo. ‘Abbiamo mantenuto tre comunità, a Kosti, a El Obeid e a Port Sudan’, riferisce padre Giorgetti. ‘Il campo dell’istruzione resta per noi importante per il dialogo con la popolazione, in stragrande maggioranza musulmana’. Il missionario cita l’esperienza del Comboni College, fondato a Khartoum negli anni Venti del secolo scorso. Secondo padre Giorgetti, ‘molti corsi sono stati sospesi ma altri sono stati mantenuti, soprattutto quelli di scienze infermieristiche e per le cure palliative nel settore della salute’. Il missionario aggiunge: ‘Attraverso i confratelli a Port Sudan e chi lavorava al Comboni College stiamo riorganizzando le lezioni anche con l’online’. Padre Giorgetti allarga lo sguardo: ‘Quasi tutte le scuole sono bloccate; c’è una generazione di bambini e adolescenti che da oltre un anno è al di fuori di ogni tipo di scuola’.

fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it

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