Dieci minuti

Cinema

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Dieci minuti è l’ultimo film diretto da Maria Sole Tognazzi, scritto a quattro mani con  Francesca Archibugi e tratto dal romanzo Per dieci minuti di Chiara Gamberale. Una storia di shock interiore curato attraverso un ritaglio di tempo.     

Bianca (Barbara Ronchi) è una quarantenne che ha condiviso già metà della sua vita con Nicolò, un ragazzo conosciuto ai tempi della scuola a cui ha legato la sua vita, anche attraverso il matrimonio. Nel corso del tempo Bianca lentamente ha deposto se stessa, si è sedimentata, si è allontanata gradualmente da tutto ciò che potesse determinarla; non è individualmente autosufficiente, dall’aprire una bottiglia di vino fino a percepire la propria ed altrui presenza in una stanza e nella vita. Questo avvizzimento emotivo non proviene da imposizioni egoistiche esterne, circostanze di vita ingrate, o stati d’animo autodistruttivi, bensì dalla propria distrazione, dall’appollaiarsi  in quella che noi non addetti ai lavori chiamiamo comodamente “confort-zone”. Inevitabilmente, quando l’uomo a cui ha svenduto il suo spazio decide di disfarsene, il vetro blindato si infrange, la voragine si apre e violentemente precipita in totale assenza di ossigeno.

Per tentare di rimuovere le macerie, si rivolge alla dottoressa Brambati (Margherita Buy), una psicologa dall’approccio scarsamente accomodante, poco incline alla auto-giustificazione compassionevole, e che, come se fosse su una sedia sbilenca, le prescrive un esercizio di disequilibrio, allenando il suo lato più debole, superando la soglia della stasi emozionale, dedicando 10 minuti al giorno a qualcosa che non avrebbe mai immaginato di fare.

Inizialmente impacciata e sbrigativa, col tempo diverrà più fluida, e si accorgerà che questa misera frazione di tempo in realtà prevede un prima e un dopo: c’è una fase di apertura alle variabili, di accoglimento di una parte di se stessa fino ad allora esiliata e di riconquista della visuale. Come in un problema aritmetico queste condizioni sono indispensabili per sfidare l’incognita e giungere al risultato.  

Ma nella difficoltà è davvero così semplice?

Purtroppo ciò che poteva essere un’occasione per affrontare il topico tema del dramma interiore attraverso un’imprevista chiave cinematografica, Dieci minuti è un film comodo, senza pretese, dove la soluzione è garantita, come se la mente ed i suoi circuiti fossero un percorso lineare. Nonostante il leitmotiv è il pericolo che può insidiarsi in un porto sicuro, la stessa Tognazzi mette lo spettatore nella zona di confort, non chiedendogli alcuno sforzo, alcun lavoro di introspezione, un punto da cui partire per percorrere la propria personale riabilitazione.

La malinconia di Bianca occuperà gran parte del tempo, si entrerà in empatia con lei nonostante sia la carnefice di se stessa e di chi le è stato accanto; nel corso della riabilitazione si apriranno scenari paralleli  in cui si giungerà – prevedibilmente – a quale sia la genesi del suo io autodistruttivo. La scena è tenuta bene, in fin dei conti credibili le performance di Barbara Ronchi, che riesce a suscitare tenerezza ma anche rabbia nel volerla veder reagire, della Buy, con la sua ruvidezza, e di Fotinì Peluso nel ruolo di sorella minore, personaggio fresco, dall’apparenza sconclusionata, ma determinante nel processo  di guarigione.

Si può subito notare una sovraesposizione femminile, sono loro che reggono le fila,  gli uomini rivestono un ruolo marginale, e nonostante subiscano gli effetti del loro agire, (leggermente precipiti solo nei piccoli sfoghi di Nicolò) non si approfondisce il loro punto di vista, e si rischia di etichettarli solo come l’elemento disturbante a cui rimediare.

Per quanto le interpretazioni risultino gradevoli, è facile immaginare l’andamento del personaggio di Bianca, immerso in un reale dalle linee fin troppo definite; c’è un altro reale però dove non si riesce a percorrere una parabola perfetta, dove i punti sono equidistanti da un centro e da una direttrice…possono invece sovrapporsi e diventare delle macchie o respingersi disegnando delle linee spezzate. Per ridargli armonia occorre tanto esercizio.    

Non siamo una scienza perfetta, o una sceneggiatura circolare da chiudere; siamo caos, e inserirci in schemi e diagrammi registici troppo ristretti ci appiattisce. Si poteva concedere più tempo ai movimenti intimi del personaggio, anche a discapito dello spirito da commedia melodrammatica, che potessero spingerci a trattenerci, fermarci a capire, per poter andar avanti. Un film da risultato sicuro, con dialoghi che parlano troppo, immagini posate e composte e toni placidi.

Sarebbe stato forse più rischioso, meno conciliante, più indigesto rispetto alla stesura leggera, confortevole e confortante. Il cinema, per chi vuole correre il rischio, può essere cinicamente sincero…ma si sa, spesso la verità si preferisce non ascoltarla.

Un film da poche pretese, quelle che invece dovremmo richiedere a noi stessi, affinché quei dieci minuti, diventino venti, un’ora, un anno, una vita…fino a riappropriarci dell’altra parte di noi a cui finalmente dedicheremo il nostro tempo.  

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