L’Italia resta fanalino di coda in Europa per i Neet, ma ce ne sono sempre meno: appena il 16%

Economia & Finanza

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Il punto sul numero dei ‘Neet’ presenti in Italia è sato fatto in occasione della Giornata mondiale delle competenze dei giovani, celebrata ogni anno dalle Nazioni Unite il 15 luglio

Autore: Nadia Cozzolino

NAPOLI – L’Italia resta ai primi posti a livello europeo per il numero di Neet, ragazzi che non studiano, non lavorano e non sono in formazione: sono il 16,1% nel 2023. Nonostante il dato sembri negativo se paragonato alla media Ue (11,2%), risulta fortemente in calo rispetto a quello riferito al 2020, anno della pandemia da Covid-19 (23,5 per cento). La rilevazione OpenPolis e Impresa sociale Con i Bambini è stata formulata in occasione della giornata mondiale delle competenze dei giovani, celebrata ogni anno dalle Nazioni Unite il 15 luglio.
In Italia l’incidenza dei giovani cosiddetti ‘neet’ è sempre stata più elevata rispetto agli altri Paesi Ue. Guardando all’ultimo decennio, i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che nel 2014 non studiavano, non lavoravano ed erano fuori da programmi di formazione erano il 26,3% del totale. Nel 2019 si è passati al 22,3 per cento – a fronte di una media Ue del 12,8% -, raggiungendo il picco negli anni 2020-2021 (sopra il 23%) e arrivando all’attuale 16,1 per cento. Un calo importante, ma che colloca ancora l’Italia ai vertici in Europa per incidenza del fenomeno: è seconda dietro alla Romania (19,3%) e – come risulta da elaborazioni Openpolis e Con i Bambini, su dati Eurostat – precede nazioni come Grecia (15,9%), Cipro e Bulgaria (13,8), Lituania (13,5), Francia (12,3%), Spagna (12,2), Croazia (11,8%) e Slovacchia dove l’incidenza – 11,2% – è in linea con la media Ue. Agli ultimi posti per incidenza di neet i Paesi Bassi (4,8%), la Svezia (5,7) e Malta (7,5).
Tuttavia, si tratta per l’Italia di un miglioramento netto, anche per la distanza dimezzata con la media Ue rispetto al pre-pandemia: oggi 4,9 punti percentuali dividono il Paese dall’Europa, mentre nel 2021 erano 10.

I dati raccolti da Eurostat, riferiti al 2022, mostrano l’influenza delle opportunità educative sulla condizione dei giovani tra i 15 e i 29 anni. In Italia la quota di neet scende dal 19 al 14% tra chi ha un livello di istruzione terziaria (cioè chi ha la laurea) e più elevata tra chi ha al massimo un livello di istruzione secondaria inferiore (19,4%) e superiore (20,3 per cento). Tra i diplomati nei percorsi generali (come i licei), la quota scende al 14,5%, verosimilmente anche per l’incidenza di coloro che frequentano l’università. Mentre l’incidenza dei neet sale al 24,3 per cento tra chi ha un titolo di studio professionale.
“Un dato che – viene evidenziato – segnala una difficoltà del sistema educativo di sviluppare capacità e competenze dei più giovani e che ha un impatto diretto sui percorsi di vita e sull’autonomia di ragazze e ragazzi”.
Basti pensare che nel 2022 si stimava che i giovani italiani lasciavano la casa dei genitori in media a 30 anni. È il settimo dato più elevato in Ue. Una quota molto superiore alla media Ue (26,4 anni) e agli altri due maggiori paesi dell’Unione (Germania, 23,8 e Francia, 23,4).

Il Sud è l’area del Paese dove anche i neet risultano in percentuale maggiore rispetto alla media Italia. Su 15 capoluoghi dove il fenomeno incide di più – Catania, Palermo, Napoli, Messina, Caltanissetta, Agrigento, Trapani, Siracusa, Frosinone, Enna, Crotone, Reggio Calabria, Taranto, Como e Cosenza -, 14 sono nel Mezzogiorno. Undici di queste città si trovano nelle province con le competenze più basse in italiano in terza media: infatti – risulta da una elaborazione Openpolis-Con i Bambini su dati Istat (censimento permanente) e Invalsi – nei test Invalsi dell’anno scolastico 2022-2023 è emerso come i territori con i punteggi medi più bassi nelle prove di italiano in terza media fossero le province di Crotone, Caltanissetta, Agrigento, Ragusa, Vibo Valentia, Palermo, Enna, Trapani, Siracusa, Prato, Reggio Calabria, Napoli, Catania, Sassari e Cosenza.
Per Openopolis e Con i bambini si tratta di “un problema da mettere a fuoco nelle sue possibili relazioni, non solo nelle città maggiori, ma anche nei tanti piccoli centri, del Mezzogiorno e non solo, colpiti da un fenomeno che limita le potenzialità di crescita dei giovani e dei territori stessi”.
L’emergenza neet, inoltre, va affrontata anche alla luce di una condizione giovanile che molti indicatori – dopo il Covid e non solo – descrivono come “critica”, tanto dal punto di vista socio-economico, con il peggioramento nell’incidenza della povertà minorile, quanto in termini educativi, con l’aumento di fenomeni come la dispersione implicita, soprattutto tra gli studenti svantaggiati. Si pensi che l’incidenza di povertà assoluta tra i minori nel 2023 raggiungeva quota 14%: in base alle stime preliminari di Istat, risulta il valore più alto della serie storica dal 2014.

 fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it

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