Paolo e Francesca, la similitudine delle colombe e la denuncia dantesca

Arte, Cultura & Società

Di

di Rita Mascialino

La fede in Dio di Dante, il più grande poeta italiano e tra i più grandi della letteratura mondiale, è un punto fermo nella sua personalità di uomo sinceramente credente. Tuttavia è un punto fermo anche la sua libertà di pensiero di uomo non asservito al potere di nessun tipo, qualità che non coinvolge, tra il molto altro, solo la società e la Chiesa nei suoi lati non confacenti a quello che secondo Dante era uno dei suoi grandi compiti, ossia quello morale, ma addirittura Dio stesso, questo per come sta nei suoi testi.  È questo il caso, tra gli altri, relativo alla celebre similitudine delle colombe (Commedia, Inferno, Canto V) come andiamo a vedere in una reinterpretazione innovativa * per le implicazioni ad essa sottese. Nel mondo dantesco della Commedia Dio è colui che regge sia la vita in Terra, sia la vita nell’al di là, dove stanno i tre livelli di premio e punizione, e in questa creazione poetica Dante esprime implicitamente, ma inequivocabilmente, la sua critica sociale e il suo dissenso anche nei confronti della Giustizia di Dio, ciò di cui verrà data ragione nel presente studio.

Testo della similitudine (Provenzal a cura di 1960: La Divina Commedia, Inferno, Canto V, 82-87):

(82) Quali colombe dal disio chiamate,/

(83) con l’ali alzate e ferme al dolce nido/

(84) volan per l’aer dal voler portate;/

(85) cotali uscir dalla schiera ov’è Dido,/

(86) a noi venendo per l’aer maligno,/

(87) sì forte fu l’affettuoso grido./

 

Sappiamo dall’impianto allegorico delle tre cantiche immaginato da Dante che il poeta ha scelto per i due peccatori il Cerchio relativo alla punizione dei Lussuriosi e qui sta la prima generale contraddizione riguardante la presenza della similitudine delle colombe riferita ai due condannati dalla Giustizia divina all’inferno per l’eternità: le colombe sono bianche, ossia, sul piano metaforico, monde da qualsiasi colpa e a queste sono paragonati i due cosiddetti lussuriosi. Dante si è sbagliato scegliendo per essi una tale similitudine? No, sapeva perfettamente come la bianca colomba fosse simbolo di innocenza e fedeltà, anche di suprema spiritualità in quanto epifania dello Spirito Santo. Dante dunque, ben conoscendo la simbologia inerente alle colombe, introduce sorprendentemente i due amanti con una similitudine che è un’affermazione di purezza. Proseguendo nell’analisi, si è testé accennato al fatto che le colombe non sono solo simbolo universale dell’innocenza e della spiritualità, ma come esse siano anche simbolo della reciproca fedeltà – una volta che si siano unite, non si lasciano mai più – e della fedeltà in sé, mentre né Paolo né Francesca sono stati

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* Per tutti i dettagli: vedi lo studio specifico nel saggio Dante (Mascialino 2021, Cleup Editrice Università di Padova) comprensivo di tre studi composti e pubblicati in onore di Dante per il Settecentenario della sua  morte.

fedeli al loro giuramento nuziale, contravvenendo ai precetti della Chiesa e alle regole sociali, poggianti a loro volta sul decreto divino che sancisce che Adamo ed Eva debbano essere “una sola carne” (La Sacra Bibbia Ed. Paoline 1960: Genesi 2/24, 15), ossia li vuole indissolubilmente legati per tutta la vita. Anche per questo motivo le colombe possono non sembrare di primo acchito consona comparazione con i due peccatori.

In aggiunta: Dante, malgrado l’impianto allegorico, non qualifica mai direttamente Paolo e Francesca come lussuriosi, mentre lo fa espressamente per Cleopatra e diversamente anche per Semiramide. Paolo e Francesca invece escono dalla schiera di anime in cui non stanno né Cleopatra né Semiramide, bensì sta Didone che tradì non il marito Sicheo, ma le sue ceneri amando essa Enea, e che si suicidò per amore, non per lussuria. Addirittura Dante si riferisce, attraverso le parole di Francesca, alla bufera infernale come questa omaggi cavallerescamente Francesca, cui cede il passo per lasciare che essa parli con Dante, questo in uno dei tanti immortali versi di Dante: “mentre che il vento, come fa, si tace.” (op. cit., 96), un verso che ripropone nel ritmo sensualmente pausato e in decrescendo la cessazione graduale del vento infernale – che Dante cita nel caso appunto al maschile, non come bufera come fa più di consueto, personificando lo stesso con una stupenda immagine poetica, riferita alla potenzialità immaginifica intrinseca al verso citato, nella veste di un cavaliere medioevale che ritirandosi galantemente dia il passo alla donna così pura d’animo e non certo considerandola lussuriosa, donna che riceve dal vento infernale l’omaggio alla sua bellezza e ai suoi sentimenti con la dolcezza del suo cuore gentile. Anche il vento infernale dunque, pur al servizio di Dio e dei guardiani infernali, omaggia la donna dal cuore nobile.

Tralasciando per necessità di sintesi numerosi dettagli comunque importanti per i quali si rimanda al saggio citato in nota, veniamo al motivo per cui i due amanti, pur inseriti nel cerchio dei Lussuriosi, non siano ritenuti peccatori da Dante sia nella similitudine, sia nell’atteggiamento del vento infernale, ma siano innocenti sotto tutti i punti di vista e puri come due bianche colombe benché rinchiusi nell’Inferno. Le colombe si sono scelte senza nessun obbligo dato dall’esterno, bensì liberamente, e la loro libera scelta può consentire che si siano fedeli l’una all’altra, che si possano voler bene, che si possano amare per sempre. È la libertà nella scelta del compagno e della compagna che può permettere alle colombe di essersi fedeli. Non così può accadere quando i matrimoni siano combinati con scelta imposta dai genitori, ciò che è avvenuto per Paolo e Francesca – e come vedremo: anche per Dante. Paolo Malatesta si sposò per gli interessi dei casati familiari e Francesca pure, andò sposa, al di là delle varie leggende, senza neppure aver visto previamente lo sposo, Gianciotto, storpio e più vecchio di lei giovane e bellissima. Tra parentesi: va anche notato che nella scelta genitoriale degli sposi per i propri figli le più sacrificate erano le figlie, le donne, in quanto i maschi godevano in ogni caso di libertà sessuale, mentre le donne no o molto meno. I due cognati comunque, obbligati a contrarre i matrimoni decisi dal padre e dalla madre, peccarono secondo Dante quindi per Amore – termine scritto dal poeta all’inizio di ben tre terzine con la A maiuscola (op. cit., 100, 103, 106), cosa che nobilita di per sé tale la loro passione, amore tra l’altro onorato con il celebre verso: “Amor, che a nullo amato amar perdona” (103), maiuscola ripetuta che, se non voluta da Dante, sarebbe stata molto agevolmente evitata nei versi in questione – Dante era sommo poeta esperto nell’uso della parola. Ma appunto: fu l’Amore con la maiuscola che li spinse a scegliersi e ad amarsi e per altro i due condannati vanno verso Dante e Virgilio “per quell’amor ch’ei mena” (78) anche nell’inferno, condannati alla pena eterna, sì, ma anche per sempre assieme continuando ad amarsi per l’eternità anche nell’inferno. Evidenziando il libero pensiero di Dante pur uomo credente: neanche la condanna divina può alcunché contro il loro Amore imperituro, superiore a ogni divieto e obbligo, a ogni legge umana o divina quanto ingiusta basandosi essa sulla conculcazione dei sentimenti più nobili. Come anticipato, accanto alle nozze obbligate di Paolo e Francesca sta anche il matrimonio combinato dai genitori di Dante destinato ancora quattordicenne alle future nozze con Gemma Donati, dell’importante casato fiorentino. Dante obbedì ai genitori, ma certo non era Gemma l’amata dei suoi sogni che fu invece Beatrice, la donna dei suoi sogni tra poesia e realtà.

Ancora una dimostrazione delle intenzioni di Dante a proposito della scelta della similitudine delle colombe: ci si deve chiedere come mai Dante non abbia inserito i due cognati tra i Lussuriosi del Canto VII del Purgatorio dove non sarebbero stati condannati in eterno e la similitudine non sarebbe stata del tutto sbalorditiva e dove la misericordia divina sarebbe stata salvaguardata. La risposta che tagliala testa al toro non può essere che la seguente: perché allora Dante avrebbe dovuto rinunciare alla sua anticonformistica denuncia come l’ha scagliata, per quanto sul piano poetico e implicito con la similitudine, contro l’ingiustizia dei matrimoni combinati, non solo, anche audacemente contro l’ingiustizia della condanna divina.

Riassumendo ancora per concludere: risulta chiara la denuncia – a livello implicito ma non troppo – di Dante contro i matrimoni combinati dai genitori e obbligatoriamente sottoscritti, spesso senza amore, dai figli, obbligati all’obbedienza dalle leggi sociali del tempo, benedette da Santa Madre Chiesa in ottemperanza alla determinazione divina, come sopra accennato. E risulta altrettanto chiara, sempre attraverso la scelta della similitudine con le più candide colombe, la cancellazione di ogni colpa   come Paolo e Francesca fossero vittime dell’ingiustizia terrena e, inevitabilmente, divina. Dante non aveva paura di andare contro qualsiasi pregiudizio non condiviso, umano o divino che fosse, la sua fede non gli impediva di essere soprattutto un libero pensatore. A salvare i due sfortunati giovani dall’infelicità eterna sta comunque il loro Amore con la maiuscola, contro il quale – come si evince dall’inequivocabile testo dantesco – neppure Dio può andare e contro il quale, per il possibile, non va neppure il vento infernale che da cavaliere, nell’insuperabile immagine che Dante per bocca di Francesca gli riserva, dà il passo alla donna ritirandosi, come dispiaciuto della condanna.

Così, con la similitudine reinterpretata come specchio simbolico di Paolo e Francesca, divenuti del tutto puri e innocenti grazie alle implicazioni emerse attraverso questa innovativa esegesi – non del testo allegorico, ma poetico –, Dante ha spezzato la sua potente lancia a contestazione degli ingiusti usi e costumi sociali legittimati dalla parola della Chiesa e inevitabilmente anche divina. Contestazione che lo rende più che mai attuale anche oggi e uomo universale.

Rita Mascialino

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