Il mito dell’Europa per gli immigrati: intervista ad Abdul Hoffman

Emigrazione & Immigrazione

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Il centro Astalli di Palermo, è un’associazione di volontariato che dal 2003 si occupa della difesa di diritti e dell’integrazione di immigrati extracomunitari. La maggior parte dei rifugiati, proviene da Afghanistan, Costa d’Avorio, Turchia, Bangladesh, Nigeria e Ghana. Nell’ultimo trentennio, l’isola di Lampedusa e le coste siciliane, sono diventate meta di migliaia di immigrati che ogni anno affrontano traversate in mare, spesso mortali, per raggiungere il continente europeo. La maggior parte dei rifugiati viaggia illegalmente per il corno D’africa all’interno di furgoni imbarcati lungo le coste della Tunisia o mediante il “servizio”criminale organizzato da scafisti africani e italiani. Tuttavia, per quanto i media riportino dati sul numero di sopravvissuti, vittime in mare e racconti sugli orrori di viaggio, solo sporadicamente si parla dell’immagine, spesso utopica, dell’Europa in terra africana.

La conclusione della rivoluzione industriale, la manovra del piano Marshall del 1947 e il boom economico post-bellico, hanno infatti disegnato l’avvio di un emisfero culturale, politico ed economico italiano in netta superiorità rispetto alla realtà emergenziale da cui è afflitto il cosiddetto terzo mondo. Eppure, nonostante i grandi sacrifici a cui gli immigrati si sottopongono pur di sfuggire alla crudeltà di una quotidianità di stenti, fame e morte, spesso la realtà con cui si impattano una volta approdati nel continente europeo, è ben lontana dalle loro aspettative. Un esempio lampante, è la morte del trentenne indiano Satnam Singh, vittima del caporalato,morto dissanguato in un’azienda agricola dopo l’amputazione di un braccio da parte di un macchinario. L’Europa dunque si presenta con due facce: quella di un continente civile, elegante e storico, agognato prima dell’arrivo e quella reale e spesso brutale con cui si è costretti a convivere.

Giorno 20/06/2024, è stata effettuata un’intervista a un rifugiato afghano presso il centro Astalli per scoprire come fosse stato idealizzato il continente europeo prima del viaggio e quali siano, a distanza di anni, le riflessioni su tale realtà.

“Quanto tempo hai impiegato per mettere da parte dei soldi per arrivare in Europa?Abdul: “Due anni, è stato un processo molto lungo. Lavoravo come cultural advisor .” “Perché hai deciso di lasciare il tuo paese?”

Abdul: “Negli ultimi anni è tornato al potere il gruppo talebano, il quale ha sottomesso la situazione politica afgana al dominio di un islam di tipo terroristico. A causa del suo regime radicale e dittatoriale, migliaia di persone che lavoravano per le forze liberali sono state costrette a lasciare il paese. Hanno piegato l’Afghanistan al loro potere senza mostrare alcun segno di tolleranza per chi fosse di cultura o religione diversa dalla loro.”

“Esiste un grande divario tra i ceti sociali del tuo paese?” 

Abdul: “La differenza di benessere tra i ceti sociali è molto evidente. In molte città, puoi trovare persone che vivono in case di un milione di dollari ed altre che vivono per strada senza nulla da mangiare. Il regime politico è la causa principale di questa grande disuguaglianza, pertanto non riceviamo alcun supporto per combattere questa divisione sociale.”

“Posso chiederti come ti sia sentito durante il viaggio verso l’Europa ?”

Abdul: “Per quanto l’Europa mi sia sempre apparsa come un continente sicuro e all’avanguardia, lasciare la mia famiglia e il mio paese alle spalle, è stata ed è tutt’ora una scelta molto dolorosa, benché inevitabile.

Quando si ha anche solo una piccola possibilità di salvarsi e poter cambiare la propria vita, bisogna correre il rischio.”

“Quali erano le tue idee sull’Europa prima di venire qui?” 

Abdul: “In Afghanistan ho lavorato per una comunità internazionale, i membri erano tutte persone europee riunitesi nel paese per cambiare la situazione politica e aiutare le persone a migliorare le loro condizioni di vita. Pertanto ho iniziato a maturare la prospettiva dell’Europa come un continente sicuro, con un sistema politico stabile e con cittadini che vivessero in una condizione di sicurezza e pace. Come ben sai, in ogni paese ci sono i cosiddetti “fattori di attrazione” e i “fattori di spinta”, l’Europa presenta infatti dei lati che trattengono le persone nella sua società, mentre il nostro paese vive in una realtà che ci spinge ad andare via.”

“Che lavoro hai svolto da quando sei arrivato in Europa?” 

Abdul: “Al momento sto studiando all’università e lavoro part-time come chef in un ristorante.”

“Invii soldi alla tua famiglia?” 

Abdul: “Al momento non posso permettermelo, riesco a malapena ad arrivare a fine mese”

“ Dopo il tuo arrivo in Europa, ti è successo di sentirti deluso da qualcosa che durante la tua infanzia e adolescenza avevi sempre idealizzato?”

 Abdul: “Ciò che mi ha più deluso è il sistema politico degli stati europei e il processo lungo e complicato per far valere i propri diritti in terra straniera”.

“Sei soddisfatto del sistema d’integrazione europeo?” 

Abdul: “L’integrazione non è un processo semplice. Una volta che arrivi in un altro continente, cambi la tua comunità, la tua lingua, la tua cultura e in ordine di accettare tutto questo devi sentirti tutelato e al sicuro. Non posso dire di definirmi ancora così ma sto vivendo questo lungo processo.”

Viviana Maya Bellavista

ph Unicef Italia

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