L’Europa che non vogliamo

Economia & Finanza

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Le elezioni europee dell’8 e 9 giugno possiamo considerarle le più importanti nei  quasi cinquanta anni  trascorsi dalla prima elezione del parlamento europeo.

 Grandi sfide attendono l’Europa nei prossimi anni, eppure il dibattito sembra ignorarle  confinato invece a uno scontro interno i partiti, per misurarne la forza elettorale.

Elezioni che determineranno quale sarà la maggioranza, che esprimerà il Presidente, l’indirizzo politico, gli importanti ruoli apicali. 

Elezioni che si svolgono in un contesto globali segnato da alcuni“ variabili elettorali“ considerato, che si vota negli USA, India, Bielorussia, Iran, Taiwan e quindi con esiti che riconfigureranno gli assetti globali.

Elezioni europee distanti anni luce da quelle del 2019.

Non si era vissuto la pandemia, la guerra in Ucraina, la crisi energetica e altri conflitti a rischio come il Kosovo e la Bosnia e l’esigenza quindi di integrare i Balcani occidentali nella Unione europea.

 Nel novembre dello scorso anno il P.E. ha approvato la proposta di riforma dei Trattati, nata dopo la Conferenza sul futuro dell’Europa.

 Evidente che nel contesto nuovo segnato dal ritorno della politica di potenza e della riconfigurazione di un diverso ordine mondiale l’Unione si trova oggettivamente, a occupare  un posto di secondo piano nella geografia del potere globale.

Evitare tale esito implica la sottoscrizione di un nuovo“ contratto politico”.

 Ecco che nella“ cassetta degli attrezzi”, si trova il “Manifesto per l’Unione europea al tempo della nuova guerra fredda”, dove si propone di superare il modello socio economico attuale ritenuto insostenibile e di“ ridefinire la policy europea, per riportare l’Europa ad assumere il ruolo di attore globale dentro un approccio multilaterale e di cooperazione“.

Firmato dal capo di gabinetto di Gentiloni, Buti Prof all’European University Institute. Nuova policy sarebbe : 1) una  riforma dei  processi decisionali introducendo il principio di maggioranza qualificata, in luogo della regola dell’unanimità; 2) costruzione di nuclei duri con paesi con diversi livelli di sviluppo insomma l’antica proposta di“ geometria variabile“; 3) completo ridisegno del bilancio comunitario. Oltre al Manifesto c’è poi la proposta Draghi sulla“ Competitività europea“ e il Rapporto Letta   sul futuro del mercato dell’Unione, che in verità è il riconoscimento del fallimento del mercato unico europeo dei capitali e che pone a base del futuro sviluppo della UE.

 Fallimento, considerata la fuga di capitali europei verso il mercato finanziario americano. Un anno di demarcazione indicato da Letta il 1993 con le due economie  europea e Usa comparabili poi nel 2022 il PIL pro capite negli USA è cresciuto del 60% mentre quello europeo aumentato della metà.

Resta un dato inconfutabile che Macron, Draghi e Letta hanno denunciato la situazione di stallo in cui versa la UE. 

E’ comunque  l’implicita ammissione del fallimento delle politiche cosiddette di austerità espansiva oltre al problema dell’euro.

Nei loro discorsi ZERO RIFERIMENTO all’impoverimento di lavoratori e piccoli imprenditori.

Ancor meno alla esigenza di modifica delle funzioni della BCE, ancor più nel contesto di una repentina e diffusa applicazione  della Intelligenza Artificiale generativa.

Una UE di fatto assente,  in termini propositivi di pace nei preoccupanti scenari mediorientali e dell’Ucraina. Totale subordinazione e dipendenza dagli USA sia in termini militari, che di risorse energetiche fossili.

Dal Trattato di Maastricht del quale ricordo una  vecchia, ma autorevole voce critica quella del compianto Professore Guarino  in netta radicale difformità dai Ciampi, i Prodi i Dini, e recentemente a quella di Giuliano Amato,  per il quale tutti i mali italiani derivano dal sistema pensionistico e dall’alto debito pubblico.

Riteniamo invece che una causa fondamentale della crisi italiana sia la bassa crescita dovuta, a una bassa produttività cioè la scarsa capacità di crescita: produrre di più combinando meglio i vari fattori della produzione attraverso innovazioni tecnologiche e dei processi organizzativi.

Le cause ? Difficoltà di fare impresa, basso livello di competenze, carenze strutturali e divario  Nord/Sud, bassi livello di spesa in R& S.

Difficilmente usciremo da questa condizione se solo si considera il nuovo Sistema di Regole del bilancio europeo implicitamente orientato alla austerità, a causa dell’uso di vecchi indicatori macroeconomici. IL  PIL potenziale, che condiziona il saldo strutturale di bilancio, il rapporto debito/PIL e il nuovo parametro denominato spesa primaria netta.

Comprendo che sono concetti ostici, ma sono queste tecnicalità a incidere sulla vita dei popoli, su quella delle imprese e  sugli assetti democratici degli Stati.

L’Europa delle tecnicalità che ripropone in maniera opaca la austerità che ha distrutto imprese e cittadini non la vogliamo. L’Europa del deficit di democrazia che con i Trattati assegna il potere reale a Consiglio d’Europa e Commissione non la vogliamo.

Superare  l’Europa delle banche e delle grandi imprese, un’Europa in cui le disuguaglianze sociali aumentano, dove i lavoratori non riescono più a vivere  con il loro reddito e le piccole e medie imprese si sentono muoiono. Molti dei problemi non sono riconducibili di errata elaborazione politica,  ma traggono origine dai trattati dell’UE, che definiscono il quadro di riferimento.  I trattati europei danno priorità alle libertà di movimento di merci, capitali e lavoro, subordinando a esse i diritti. Infine va modificato il Patto di   Stabilità e Crescita  per consentire agli Stati di aumentare gli investimenti pubblici, in particolare in servizi pubblici di base e in tecnologie del futuro (digitale e decarbonizzazione) e scomputando  gli investimenti pubblici dal calcolo del deficit

 

 

 

 

 

 

 

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