Il Rogo

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Di

Racconto di Yari Lepre Marrani

I

Quando scoccarono le 7.30, la città fu avvolta da un bagliore accecante che proveniva dal sole appena sorto. Era un’alba di un giorno qualsiasi di novembre, un’alba chiara e limpida che si proiettò su Milano e su tutti i suoi abitanti e lavoratori. Uno studente appena entrato fuori corso faceva di nome Peter e aveva circa 25 anni, viveva solo alle porte della città, in una casupola nei pressi di Via dei Missaglia, in un quartiere tra i più poveri.

Mentre i lavoratori di Milano si preparavano per un nuovo giorno, Peter stava preparandosi un forte caffè che lo avrebbe tenuto sveglio per tutta la mattina; per assicurarsi una certa tranquillità d’animo, innaffiò il caffè con una punta di whisky. Era pienamente consapevole di sé, delle sue azioni ed era conscio che la sua situazione sociale e umana non poteva continuare così, in una dimensione irreale e da incubo ad occhi aperti.

Una dimensione che si faceva via via più sconcertante per le pochissime persone che egli aveva attorno e che non lo aiutavano certo a progredire verso una qualche realizzazione psichica. Peter era un giovane cupo, molto provato e aveva vissuto i suoi pochi anni senza un vero scopo da perseguire con successo, senza quelle certezze che rendono la vita più lieta e che danno all’esistenza quel sapore non amaro ma piacevole tale da gustare in modo pieno le sue bellezze. Mentre sorseggiava la tazzina, si rese conto che non poteva più tirarsi indietro rispetto all’idea che aveva partorito alcuni giorni prima: un’idea che trovava nello squallore della sua esistenza una ben tragica conferma. L’idea continuava ad apparigli folle ma attuabile: appiccare fuoco alla sua Università, scatenare un incendio temibile e terribile in quella facoltà di sociologia di Milano-Bicocca ove egli era iscritto da ormai cinque anni.

Mentre beveva il caffè corretto dall’alcool, decise di mettere da parte le incertezze e ogni insicurezza e si attaccò per un attimo alla bottiglia di whisky che aveva sul tavolo: doveva perdere un po’ di sobrietà per poter fare quello che aveva in mente e che si era prefissato con tanta determinazione. Solo adesso, sconvolto da quella mattiniera bevuta accompagnata dal caffè, perse le sue inibizioni mentali e riuscì ad applicarsi più fedelmente al compito deciso.

Peter prese le chiavi di casa e uscì per strada dopo aver indossato il cappotto che gli aveva regalato il papà per il suo ventesimo compleanno, dopo aver finito la bottiglia di whisky che sarebbe rimasta la sua unica fedele amica. Il suo sguardo triste si mescolava in modo infelice con le luci della città, con quei chiarori rosso fuoco che avvolgevano Milano di prima mattina e baciavano le chiome degli alberi, le panchine dei giardini deserti. Peter non amava più nessuno e tanto meno se stesso e non sentì mai paura per il delitto che stava commettendo. Non sentì mai quelle remore che avrebbero potuto frenarlo e indirizzare le sue energie verso lo scopo della vita.

Uscendo per strada, vide Milano iniziare il suo giorno in un clima di euforica energia: un’atmosfera che cozzava implacabilmente con il suo stato d’animo torvo e crepuscolare. Peter camminava barcollando ma cercò di fare leva su tutta la sua forza di volontà per non mostrarsi al mondo per quello che era in quel momento: un relitto che arrancava, un relitto che aveva deciso di porre fine ai suoi giorni in un modo del tutto delirante. Voleva incendiare la sua facoltà e perire nelle fiamme assieme ad essa, proprio in un luogo a lui caro e odiato ad un tempo come l’Università. Decise quindi il da farsi: doveva procurarsi una media tanica di benzina e il gioco era fatto.

L’accendino l’aveva già in tasca, se l’era portato da casa assieme ad una scatoletta di fiammiferi che avrebbero dato vita ad una tragica giornata per la città di Milano.

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