Direttiva “Case Green”: l’Osservatorio ISFOA stima un impatto di 800 miliardi sull’Italia

Economia & Finanza

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Secondo una dettagliata analisi dell’Osservatorio ISFOA, gli obiettivi della Direttiva Case Green comporteranno per l’Italia un costo stimato tra gli 800 e i 1000 miliardi di euro. Questo ingente investimento è necessario per ridurre del 20% i consumi energetici degli edifici entro il 2035. Con il 63% degli immobili italiani nelle classi energetiche F e G, l’adeguamento risulta particolarmente oneroso, evidenziando le sfide significative della transizione energetica nel paese.

Case Green, per l’Italia stimato un conto che i proprietari delle abitazioni dovranno pagare sarà di almeno 800 miliardi.

Un conto compreso tra gli 800 e i mille miliardi, per rispettare gli obiettivi della Direttiva Case Green. Tagliando di almeno il 20%, attraverso un piano di riqualificazione degli immobili, i consumi di energia entro il 2035. Sono questi gli impressionanti numeri legati alla direttiva Case Green (o, più tecnicamente, la Energy Performance of Buildings Directive), secondo uno studio elaborato e diffuso da Deloitte.

Il conto per l’Italia rischia di essere più alto rispetto alle classi meno efficienti. In Italia gli edifici inquadrati nelle classi energetiche F e G sono il 63% del totale del patrimonio edilizio, mentre in Germania arrivano solo al 45%, in Spagna al 25% e in Francia appena al 21%. Questo spiega il motivo per cui l’adeguamento agli obiettivi della direttiva europea Case Green si prevede particolarmente oneroso proprio per il nostro Paese.

La cattiva performance energetica di molti immobili italiani è legata al fatto che oltre l’83% degli edifici residenziali del Paese risulta essere stato costruito prima del 1990 e più della metà (57%) è risalente a prima degli anni Settanta. Deloitte spiega che gli edifici in Italia sono meno efficienti della media UE.

Le abitazioni in classe F e G, infatti, sono in Italia il 63%, una quota molto maggiore rispetto a Germania (45%), Spagna (25%) e Francia (21%). Ed è proprio da queste che dovrà partire la manovra di riqualificazione prevista dalla EPBD. I piani di ristrutturazione dei Paesi membri, infatti, dovranno riguardare, per almeno il 55%, la quota di edifici con le performance peggiori. Quindi, i risultati non potranno essere raggiunti soltanto realizzando nuovi immobili.

Pesa soprattutto l’età avanzata degli edifici. È questo il fattore che, per lo studio, incide maggiormente sull’inefficienza energetica degli immobili nazionali. Secondo la rielaborazione di Deloitte da dati Istat, infatti, nel 2024 il parco immobiliare italiano è costituito da più di 13 milioni di edifici, di cui circa l’89% ad uso residenziale. Gli immobili produttivi e commerciali rappresentano solo il 2% ciascuno del patrimonio complessivo, mentre gli edifici con altra destinazione d’uso corrispondono a circa il 7% del totale.

In questo quadro, oltre l’83% degli edifici residenziali risulta costruito prima del 1990 (un dato più alto della media UE, che è del 76%) e più della metà (57%) è risalente a prima degli anni ‘70. Solo il 3% del patrimonio residenziale nazionale, invece, è stato realizzato dopo il 2011.

L’opera di riqualificazione che dovrà portare a un taglio del 16% dei consumi entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035 sarà, allora, molto complessa e costosa. Basti pensare che attualmente il consumo medio di energia nelle abitazioni residenziali è di 170 kWh al metro quadro, equivalenti a una classe G. Entro il 2035 bisognerà portare la media a 136 kWh al metro quadro, con investimenti per una cifra compresa tra gli 800 e i mille miliardi di euro.

Dati che il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, commenta così: «Parliamo di cifre completamente fuori da ogni logica, che dovrebbero far riflettere tutti coloro che hanno appoggiato questo provvedimento».

Pesano, infine, gli effetti che la nuova direttiva potrebbe portare sulle banche italiane. Potrebbe materializzarsi un aumento dell’esposizione al rischio, con una potenziale svalutazione degli asset a garanzia degli istituti e un impatto negativo sui «loan to value» dei mutui erogati. Inoltre, potrebbe esserci una limitazione nell’erogazione del credito, con una stretta sulla vendita dei prodotti finanziari che sono associati a immobili con alti consumi energetici.

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