Paolo Capodacqua e la sua ode a Gianni Rivera: un tuffo nella memoria collettiva

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La canzone di Paolo Capodacqua dedicata a Gianni Rivera è un viaggio nostalgico e poetico che trascina l’ascoltatore in un’epoca passata, ricca di immagini vivide e sentimenti profondi. Capodacqua, celebre non solo per il suo inconfondibile arpeggio e per aver accompagnato Claudio Lolli nei suoi concerti, ma anche per la sua carriera da solista da “cantastorie”, dimostra ancora una volta la sua maestria nel combinare melodia e narrazione. La sua voce, calda e coinvolgente, fa da guida attraverso una storia che intreccia l’arte calcistica di Rivera con la vita quotidiana dell’Italia popolare e laboriosa di quegli anni.
Il testo della canzone è un capolavoro di lirismo, dove le tinte di arpeggi “lolliani” si mescolano con la profondità tipica del cantastorie che è Capodacqua. Le immagini evocate sono potenti: le nuvole e i castelli in aria, il pallone che vola con precisione, e la figura di Gianni Rivera che si staglia come un simbolo di eleganza e bellezza calcistica.

Il testo si apre con una riflessione poetica: “Chissà che cosa pensano le nuvole / Del blu affollato di castelli in aria”. Questa immagine evoca immediatamente un senso di sogno e fantasia, un cielo che ospita speranze e desideri. L’aria dentro al pallone calciato da un campione diventa metafora di leggerezza e abilità, qualità che caratterizzavano Rivera.
La seconda strofa introduce la dimensione umana e quotidiana: “E il pomeriggio sfuma nella sera / Senza aspettare il fischio della fine”. Qui si percepisce la transitorietà del tempo, un pomeriggio che svanisce senza preavviso, un parallelo con la carriera e la vita, dove spesso non si attende un segnale di chiusura. Rivera è idealizzato come un eroe delle figurine, un simbolo di perfezione e speranza per i bambini che giocano per strada, proprio quelli che si vedono nel video mentre calciano un “supertela” nei vicoli di una cittadina pugliese.

Capodacqua dipinge un quadro vivace dell’Italia di quel tempo: “L’Italia è in una casa di ringhiera / Che cuce al lume di una lampadina / Trattiene il fiato prega suda e spera”. Queste immagini ritraggono un’Italia umile ma ricca di speranza, un’Italia che vive di piccoli momenti di gioia e di aspettative.

La terza strofa ci porta a una riflessione più filosofica: “Chissà che cosa penserebbe Newton / Della sua gravità messa alla prova”. Qui Capodacqua confronta la scienza con la realtà vissuta dai bambini che testano la gravità con i loro salti e cadute, contrapponendo la caduta dei mocciosi alla “eleganza asincrona del gesto” di Rivera. Quest’ultimo viene descritto come un poeta del calcio, capace di gesti perfetti e di una bellezza che immobilizza il tempo.

Il finale della canzone si concentra sulla capacità di Rivera di insegnare al mondo la bellezza: “Ad insegnare al mondo la bellezza / Che immobilizza il tempo ed il respiro”. È un tributo alla capacità unica di Rivera di incantare e ispirare, di paralizzare il tempo e lasciare un segno indelebile nella memoria collettiva.

La canzone di Paolo Capodacqua è un’opera d’arte che celebra non solo Gianni Rivera, ma anche un’Italia che forse non esiste più. Con il suo stile inconfondibile e le sue melodie evocative, Capodacqua ci regala un affresco emozionante di un’epoca passata, fatto di sogni, lotte quotidiane e momenti di pura bellezza. La sua voce e il suo arpeggio creano un’atmosfera che trascende il tempo, rendendo omaggio a un campione che è diventato leggenda.

Massimo Longo

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