Pluririvoluzionari all’Acqua di Rosa

Arte, Cultura & Società

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Nel panorama intellettuale contemporaneo, un fenomeno emergente, eppure tristemente familiare, è quello dei “pluririvoluzionari all’acqua di rosa”. Questi intellettuali si distinguono per una prolifica produzione di analisi sociografiche, in cui ogni problematica sociale viene ricondotta a presunte ed ulteriori rivoluzioni epocali. Tuttavia, dietro la facciata di un costante richiamo al cambiamento e all’innovazione, si nasconde una sostanziale incapacità di fornire soluzioni concrete ai problemi che descrivono.

Il loro mantra è il celebre “panta rei” di Eraclito, il tutto scorre, utilizzato come una giustificazione per una continua e superficiale descrizione di trasformazioni sociali. Si potrebbe quasi dire che vivono in un perpetuo stato di rivoluzione, dove ogni cambiamento è epocale e ogni epoca è rivoluzionaria, al punto che quasi non se ne possa più tenere il conto esatto. Questa tendenza a vedere ovunque rivoluzioni e cambiamenti epocali non è altro che un’involuzione concettuale, un involucro che avvolge e nasconde la loro mancanza di sostanza.

Questi intellettuali sono esperti nel diagnosticare le malattie della società, ma incapaci di prescrivere una cura efficace. Le loro analisi sono verbose e ripetitive, piene di riferimenti a teorie e concetti complessi, ma carenti di una chiara chiave metodologica e interpretativa. Si limitano a descrivere i sintomi, senza mai arrivare a proporre una terapia aldilà dei proclami. La loro verbosità, lungi dall’essere un segno di profondità, è piuttosto un espediente per mascherare la vacuità delle loro idee.

L’approccio di questi intellettuali è caratterizzato da un narcisismo evidente, in cui la loro stessa presenza sulla scena intellettuale diventa l’oggetto principale della loro opera. La millanteria è il loro biglietto da visita: si presentano come i veri interpreti del cambiamento, i profeti delle nuove epoche, eppure, alla fine, non offrono nulla di tangibile. Sono, in definitiva, la pareidolia di se stessi: vedono forme e significati dove non ce ne sono, e proiettano su di sé un’immagine grandiosa e ingannevole.

In questo contesto, il “pluririvoluzionario all’acqua di rosa” diventa un simbolo di una generazione di intellettuali imprigionati nel proprio ego e incapaci di vedere oltre il proprio riflesso. Invece di contribuire al dibattito con idee e soluzioni concrete, si perdono in una retorica vuota e autoreferenziale. La loro incapacità di fornire risposte pratiche ai problemi reali è il loro più grande fallimento, e la loro ostentata erudizione non fa che accentuare la loro inefficacia.

Per superare questa impasse, è necessario un cambio di paradigma. Gli intellettuali devono ritornare a un impegno autentico con la realtà, abbandonando le vane pretese di rivoluzione continua e concentrandosi su proposte metodologiche solide e attuabili. Solo così potranno davvero contribuire alla soluzione dei problemi sociali e diventare, finalmente, qualcosa di più della semplice proiezione di sé stessi.

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