Osservatorio ISFOA: borse globali ai massimi, ma crescono le disparità economiche

Economia & Finanza

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Nei giorni scorsi 18 Borse Valori hanno toccato i massimi in tutto il mondo, dall’Asia all’Europa agli USA .

Anche Piazza Affari è al top dal maggio 2008.

A guidare il rialzo sono le trimestrali sopra le previsioni, l’economia che cresce ma non troppo, le attese sui tagli dei tassi e l’abbondante liquidità globale.
A vederla con gli occhi dei mercati, la situazione è in apparenza idilliaca.
L’economia europea e statunitense hanno evitato la recessione, tanto temuta.

La congiuntura ha comunque rallentato la corsa quel tanto che basta per far sperare in un calo dell’inflazione e in banche centrali finalmente accomodanti.
Ma non ha frenato abbastanza per far deragliare i conti delle aziende, che infatti – in media – sono stati molto sopra le attese nel primo trimestre 2024.
Ci manca solo il fiocchetto, o la ciliegina, e per le Borse il piatto non potrebbe essere più goloso: per questo ben 18 listini e indici hanno aggiornato i massimi storici tra ieri e mercoledì.
Da Francoforte (+12,8% da inizio anno) a Parigi (+9,5%) a Londra (+9,6%), dalle Borse americane (+11,6% Wall Street e +11% il Nasdaq) fino a quelle asiatiche e africane, l’elenco dei listini che sono sui massimi storici è lunga.
Nei giorni scorsi l’indice Dow Jones ha superato per la prima volta nella storia la vetta dei 40mila punti.
E la Borsa di Milano, pur non essendo al record, è al top dal maggio 2008.
Questo il sentiment che spiega l’attuale clima di appetito per il rischio, con le Borse che difatti salgono da fine ottobre 2022.
Allora l’indice S&P 500 toccava un minimo di periodo a 3.500. Oggi ha invertito i numeri: 5.300 punti. Il 51% in più.
Dopo tanta corsa è giusto prendersi una pausa e osservare il dietro le quinte dei mercati, ovvero quegli indicatori che possono aiutare a capire se il rialzo può essere definito sano oppure se inizia ad esserci troppa euforia o esuberanza irrazionale.
E, soprattutto, per durare?
Perché se si analizzano bene i motivi per cui le Borse sono sui record, si scopre che tutti hanno anche un risvolto della medaglia da tenere monitorato.
In particolare vi sono tre indicatori da tenere monitorati e sotto controllo.
Il primo è rappresentato dal VIX, l’indice della paura che esprime e sintetizza quanto costa assicurarsi (comprando le opzioni) da un ribasso dell’indice S&P 500.
Quando supera 20 punti tendenzialmente i mercati sono nervosi e assicurarsi costa di più. Da un po’ di tempo viaggia intorno ai 12-13 punti.
Per trovare valori più bassi bisogna tornare ai 10 punti del 2018 a ai 9 punti di fine 2017. Questo vuol dire che il mercato è compiacente, rilassato.
Ma in passato lo è stato, stando al VIX , anche un po’ di più prima di rendersi conto di aver esagerato nell’ottimismo.
Un altro parametro usato per queste analisi è lo spread tra i tassi dei bond high yield (ad alto rendimento perché di categoria “junk”, con rating inferiore alla categoria “investment grade”) e quelli dei titoli privi di rischio come i bond del Tesoro USA.
Attualmente questo differenziale – che durante le fasi di turbolenza supera agevolmente i 1.000 punti base – è a 315 punti base.
In pratica gli investitori si accontentano appena di un 3% in più rispetto ai Treasury per assumere rischi molto più elevati nel mondo obbligazionario.
E’ posizionato sugli stessi livelli di fine 2021 (quando il mercato azionario poi iniziò a scricchiolare).
Per trovare un valore più basso bisogna tornare indietro al 2007 quando questo spread scese a 230 punti base.
Qualche mese dopo scoppiò la bolla dei derivati subprime che portò questo differenziale nel 2008 oltre quota 2.000.
Anche qui, come il VIX, questo parametro indica che il mercato è tirato, ma non ancora sui livelli estremi toccati in passato.
Il terzo indicatore è il livello di liquidità presente nei fondi di investimento.
Stando al sondaggio mensile di Bofa Merrill Lynch condotto su un panel di gestori che rappresenta un campione di masse da 1.000 miliardi di dollari, nell’ultimo mese il livello di liquidità (cash) è sceso dal 4,2% al 4%.
È la soglia più bassa da inizio 2022 e solo poche volte nel passato si è scesi ancora di più.
Se questo termometro dovesse continuare a scendere e attestarsi intorno ai minimi storici del 3,7% scoccherebbe indubbiamente un segnale di allarme.
Nel dietro le quinte dell’euforia dei recenti record c’è quindi chi inizia a temere che la festa prima o poi terminerà soprattutto perché negli Stati Uniti la situazione delle famiglie sta diventando veramente preoccupante come evidenziato dai dati sotto riportati .
McDonald’s sta cercando di arginare il calo di clienti nei suoi ristoranti lanciando un pasto da appena 5 dollari. Perché il gruppo di fast food, nonostante conti trimestrali tutto sommato buoni più che altro grazie ai rincari per l’inflazione, soffre il fatto che le famiglie americane stanno riducendo i pranzi fuori.
Anche quelli low cost. Planet Fitness, società quotata a Wall Street che gestisce palestre, per arginare lo stesso problema ha deciso di imboccare la strada opposta: alzare il costo dell’abbonamento dopo ben 25 anni, da 10 dollari a 15. Cercando così di compensare il calo dei clienti.
Queste notizie, degli ultimi giorni, sembrano di poco conto.
Ma in realtà potrebbero essere la punta di un iceberg più grande.
Potrebbero segnalare – insieme a tante altre – che l’economia statunitense non sia così forte e resiliente come le statistiche macroeconomiche e i bilanci trimestrali di Wall Street (in media) sembrano mostrare a prima vista.
I dati, messi tutti in fila, sembrano anzi segnalare una spaccatura all’interno della società americana: una parte della popolazione e delle società continua a correre incurante dell’inflazione e dei tassi elevati, ma un’altra parte – quella medio-bassa – inizia davvero a soffrire.
Mutui onerosi, insolvenze ai massimi da oltre un decennio su carte di credito e prestiti per l’auto, risparmi da Covid finiti, fiducia dei consumatori in caduta.
In media l’economia USA continua a galoppare, ma nella realtà sembra sempre più spaccata in due.
Le trimestrali a Wall Street lanciano proprio questo allarme.
E i dati macroeconomici pure.
ALARME TRIMESTRALI
La Borsa americana ha raggiunto il record storico, anche perché la stagione delle trimestrali – tutt’ora in corso – sta andando a gonfie vele.
Ad oggi il 79% delle aziende quotate a Wall Street ha battuto le attese, in media (secondo Bloomberg) dell’8,41%: risultato sopra la media delle solite trimestrali.
Eppure se si escludono le big tech, le grandi banche e altri settori in salute, si scopre che non per tutti è stata una stagione così rosea.
A soffrire sono state le società che più hanno a che fare con i consumatori. Starbucks (catena di bar) il 30 Aprile ha diffuso conti inferiori alle attese.
E il primo maggio, dopo i conti, il titolo è caduto in Borsa del 15,88%.
Doordash, gruppo attivo nei servizi di consegna pasti, ha chiuso in rosso. E il titolo nel primo giorno dopo i conti è caduto del 10,32%.
Uber ha chiuso in perdita (oltre le attese) e dopo è caduto a Wall Street del 5,72%.
Netflix il 18 Aprile ha riportato utili superiori alle attese, ma ha deluso sulle prospettive dell’intero anno. E il titolo è caduto del 9% il giorno dopo i conti.
Etsy, sito web dedicato all’e-commerce di seconda mano, ha denunciato – per bocca dell’amministratore delegato – che i dati trimestrali «sono messi sotto pressione da un contesto economico sfidante per i prodotti discrezionali». E il titolo è poi caduto del 15,06%.
Persino McDonald’s soffre per il calo della clientela nei ristoranti. Insomma: la gente sembra avere sempre meno soldi, colpita da tassi alti e inflazione.
L’OMBRA DEI DATI MACRO
Quello che i conti trimestrali raccontano, sembra trovare conferma nei dati macroeconomici.
Non solo è scesa oltre le attese la fiducia dei consumatori misurata dall’Università del Michigan, come qualche settimana fa era calata quella del Conference Board.
Ma anche la fiducia delle piccole imprese USA cala: secondo l’indice pubblicato da Bank of America, il loro ottimismo è sceso ai minimi da 11 anni.
Il motivo – si evince da vari dati – sembra evidente e le famiglie americane iniziano davvero a soffrire per i tassi alti, per l’inflazione che erode il potere d’acquisto sulle fasce medio-basse e per il mercato del lavoro che mostra segnali di rallentamento.
Ma soprattutto le famiglie americane hanno un problema in più ormai: secondo i dati della FED di San Francisco, hanno esaurito del tutto gli extra-risparmi accumulati durante la pandemia, che erano arrivati a 2.100 miliardi ad agosto 2021.
E i dati confermano l’affanno. I tassi di insolvenza sulle carte di credito sono negli USA ai massimi dal 2012 al 3,10% secondo i dati della FED.
Ma se si guardano solo le piccole banche, sono arrivati al 7,80%: record almeno dal 2001, quando parte la statistica.
I default sui prestiti per comprare l’auto sono in media al 2,66%, massimo dal 2010.
Ma se si guarda la fascia d’età 18-29 anni, il tasso di insolvenza sale al 4,79%: anche qui, massimo dal 2010,ed in questo caso si fa riferimento al periodo successivo alla recessione del 2009 causata dal crack di Lehman Brothers.
Inoltre le famiglie sono schiacciate da affitti che sono rincarati 1,5 volte più velocemente dei redditi negli ultimi 4 anni.
E anche i debiti sono pesanti: secondo i dati della FED di New York le famiglie americane hanno debiti record per 17.500 miliardi di dollari sommando mutui (70% del totale), carte di credito, prestiti auto e finanziamenti per studenti.
Sono questi i dati di un’economia in salute?
Tenendo bene a mente una delle più famose citazioni di Warren Buffett: «Sii timoroso quando gli altri sono avidi, e avido solo quando gli altri sono timorosi».

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