Il Mercante di Venezia al Teatro Manzoni: luce e tenebra con Branciaroli illusionista

Lombardia

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Martedì 7 maggio “Il Mercante di Venezia” per la regia e adattamento di Paolo Valerio, è arrivato a due anni dal suo debutto al prestigioso Teatro Manzoni di Milano. Il dramma universale di Shakespeare in cinque atti cala nella notte di Milano attraverso la sobria ma significativa scenografia di Marta Crisolini Malatesta, il caldo e attento gioco di luci affidate a Gigi Saccomandi. Il risultato è notevole ove ci si concentra e si penetra nel dramma religioso che sta a fondo della tragedia del Bardo, tragedia tra le più note del grande drammaturgo proprio per la sua imperitura capacità di narrare, attraverso un “racconto di danaro”, l’irrimediabile tensione tra il cristianesimo e l’ebraismo. Si apre il sipario su una scenografia brulla ove, sin da subito, dominano gli attori con la propria presenza scenica, altrettanto pregevole. Ma è nel personaggio di Shylock che si concentra l’attenzione quando appare d’improvviso da un fondo luminoso e spettrale tanto quanto il personaggio che vuole “introdurre” nella scena. Due storie parallele scorrono innanzi agli spettatori, quella incentrata sul prestito che l’ebreo Shylock concede ad Antonio con il pegno della libbra di carne e la seconda ovvero il corteggiamento di Porzia con la scelta fra i tre scrigni d’oro, d’argento e di piombo. Lo spettatore è subito travolto dall’energica forza recitativa del gruppo di attori che sembrano rappresentare, ciascuno secondo il proprio ruolo e sesso, un pezzo del grande puzzle che trova la sua genesi nella Venezia del ‘600, tra ebrei usurai e mercanti ambiziosi. Un puzzle ove ciascun attore che dà voce al proprio personaggio si distacca dalla rappresentazione per divenire ipostasi teatrale dell’immortale confronto tra bene(Antonio, il mercante di Venezia) e male(Shylock, l’ebreo cupo e spietato), contrasto tra i più ambigui di tutta la storia artistica proprio perché figlio del periodo storico in cui l’opera fu scritta: tra il 1596 e il 1598, quando  l’antisemitismo della società inglese venne stimolato o risvegliato da un episodio che coinvolse Rodrigo Lopez, ebreo portoghese, medico personale di Elisabetta I. Accusato di aver attentato alla vita della regina, fu condannato a morte e giustiziato. La dark comedy veneziana shakespeariana  fu probabilmente assai favorita dall’ondata di antisemitismo partorito da quell’evento.

E dopo le prime scene, gagliarde e sigillate da sentimenti umani quali l’amicizia e il disinteresse che le è figlio, domina la figura dell’ebreo Shylock, prodigiosamente interpretato da Franco Branciaroli, classe 1947, attore che si dimostra ancor una volta superlativo sin dall’ingresso carismatico e solitario sul palco, entro quel silenzio che ingiallisce l’aria prima della tempesta. E la tempesta è nello stesso ricco ebreo che nulla perdona e a nulla si piega ma incarna quella durezza di cuore che facilmente si muta in solitudine interiore ed esteriore. La spietatezza del personaggio, il lucore tetro che lo avvolge per tutta la rappresentazione è reso ancor più teatralmente gigantesco da Branciaroli stesso, la cui recitazione lo pone in primo piano in un mondo ove solo lui sembra spettro e simbolo di tenebra, mentre tutto ciò che lo circondo vive di diva luce: l’amore, le ragazze e la loro sensualità ammagliante, l’amicizia cui anche il danaro può piegarsi, finanche la simpatica superbia dei corteggiatori di Porzia, ciascuno dei quali, ad eccezione di Bassanio, sceglierà lo scrigno errato e perderà la possibilità di conquistare l’agognato amore della donna.

Questa massima prova di Branciaroli cattura lo spettatore per la recitazione tragica dell’attore ma pur così palesemente pervasa da sfumature vocali e mimiche di rara ironia, quell’ironia che maschera il disilluso dileggio di Shylock verso il mondo che lo circonda, sigillata dal suo sguardo gelido e impenetrabile. Qui il dramma shakespeariano raggiunge il suo acme, nella diversità di “colori” tra il mondo greve e tortuoso della mente dell’ebreo seicentesco e l’intima nobiltà di sentimenti che vivono e palpitano attorno a lui, a cominciare da quello che darà genesi all’accordo mostruoso tra Shylock e Antonio ovvero il patto di amicizia ed economico tra Bassanio e Antonio per conquistare la bella Porzia(Valentina Violo). Da qui l’intera vicenda si cangia in un’atmosfera recitativa di rara efficacia: il potente “suono scenico” degli attori non lascia un attimo di spazio agli spettatori, catturati da una rappresentazione di rara classe. Qui il palcoscenico diventa gioco di luci e voce, com’è normale nelle rappresentazioni teatrali, ma anche di insondabili abissi del cuore che si celano dietro le porte chiuse della scenografia scabra dell’adattamento di Paolo Valerio, con la porta della finestra in alto, simbolicamente a rappresentare la sete di vita e felicità del mondo femminile, in palese contrasto con il basso palcoscenico ove si gioca la partita tra Antonio e Shylock. Non manca il serpeggiare, per tutta la rappresentazione, di una travolgente dinamicità, specchio della Venezia seicentesca, carica di commercio ma anche di lotta ipocrita tra le due religioni: l’una, quella cristiana, considerata giusta a differenza dell’ebraica, sacrilega anche perché minoritaria rispetto alla prima.

Branciaroli riesce a rappresentare la ferocia dietro l’apparente bonomia, i demoni della vendetta e della venalità come corollari di un mondo, quello inglese-elisabettiano del 1600, particolarmente giudeofobico. Ecco dunque la sete di vendetta dell’ebreo usuraio umiliato sul cristiano nobile di sentimenti ma umiliatore: un tema che travalica il teatro per penetrare la storia stessa dell’umanità. Ne sono prova le dolenti parole stesse che il drammaturgo inglese mette in bocca al cattivo Shylock al principio dell’Atto III:  “Se ci pungete non diamo sangue, noi? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate non moriamo?”.

Rappresentazione quindi scintillante quella che chiude la stagione del Teatro Manzoni grazie alla bravura della ricca compagnia di attori che emergono, ciascuno per la propria luccicanza recitativa, a cominciare da Piergiorgio Fasolo(Antonio), innamorato platonicamente e ricambiato del suo amico fraterno Bassanio, interpretato da Stefano Scandaletti.

5 stelle meritatissime alla rappresentazione di un dramma o dark comedy che vivrà finchè vivrà il teatro.

 Yari Lepre Marrani

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