Inchiesta IPM Beccaria, il carcere che non educa produce violenza e malessere

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La carcerazione deve essere una misura residuale per i minorenni

Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) esprime profonda preoccupazione per i fatti emersi con l’inchiesta che ha coinvolto numerosi agenti dell’Istituto penale minorile Beccaria di Milano.

In primo luogo, per il CNCA la vicenda del Beccaria evidenzia con chiarezza che la carcerazione deve essere una misura del tutto residuale per i minorenni. È il principio alla base del Dpr 448/88, che regolamenta la giustizia minorile nel nostro paese. L’ordinamento prevede altre possibilità che vanno intese come prioritarie, a cominciare dall’istituto della messa alla prova. Un approccio che ha subito un netto passo indietro con l’approvazione del cosiddetto Ddl Caivano, che ha invece aumentato il ricorso alla carcerazione, in particolare ampliando il ricorso alle misure cautelari ed escludendo dalla messa alla prova diverse tipologie di reato.

In secondo luogo, la Federazione sottolinea che va recuperata la centralità dell’educazione anche negli istituti di pena. Il fine resta quello della rieducazione del reo, che comporta una responsabilizzazione da parte del giovane autore di reato sull’atto commesso e sulle sue conseguenze. Un carcere che ricorre al mero contenimento, con detenzione e farmaci  come unici elementi della vita nel penitenziario, crea un contesto in cui tutti i soggetti coinvolti stanno peggio, più facile è il ricorso alla violenza, più difficile gestire ragazzi che vivono un forte malessere. Per questo è necessario che anche gli agenti penitenziari partecipino, con gli educatori, a percorsi formativi rivolti alla rieducazione dell’autore di reato, e a una supervisione continua.

Infine, il CNCA ricorda che la situazione del Beccaria è stata oggetto più volte, da molti anni, di numerosi allarmi da parte di chi segue le vicende del penale minorile. Per vent’anni l’istituto non ha avuto un proprio direttore e da parecchi anni risulta sotto organico. Per quindici anni, buona parte della struttura è stata chiusa per ristrutturazione. Il carcere milanese è stato abbandonato a sé stesso. Anche per gli istituti penitenziari vale la regola che se vogliamo servizi di qualità, dobbiamo investire, con risorse economiche adeguate e con l’attenzione che queste istituzioni meritano. Proprio per non creare contesti che producono violenza e disagio.

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