Malattie neurodegenerative: entrare in empatia con chi soffre di Alzheimer  

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Felicità, paura, sorpresa, tristezza…quante emozioni albergano nell’animo umano, anche in quello di chi soffre di una patologia come l’Alzheimer. Si, perché se è vero che questa malattia produce problemi cognitivi di vario tipo, lo stesso non vale per la dimensione emotiva della persona fragile, che restando intatta può diventare il terreno su cui costruire una relazione empatica. Questo il cardine su cui si erige Validation, un metodo comunicativo fondato sull’empatia che Erika Ongaro, educatrice, consulente in ambito socio-sanitario e docente del metodo Validation in Italia, spiega nel suo libro “Le emozioni e l’Alzheimer. Come entrare in relazione con la persona affetta da demenza e affrontare lo stress” (Maggioli editore, 2021). Chi accudisce un soggetto colpito da questa patologia dunque, sia questi un familiare o un caregiver professionista, può instaurare con quest’ultimo un rapporto profondo, basato su ciò che l’assistito “sente”,  migliorandone così la qualità di vita.

Il malato è prima di ogni cosa una persona

Ongaro mette in evidenza quanto sia prioritario, ai fini di entrare in comunicazione con chi è affetto da malattie neurodegenerative, “vedere di nuovo la persona nella sua globalità e non solo come demente”. L’Alzheimer dunque non si sostituisce alla persona, che invero conserva aspetti tramite i quali l’interazione è ancora possibile. Benché infatti questo male comporti problemi come la perdita della memoria e difficoltà di linguaggio, la dimensione emozionale rimane integra: “le emozioni nella persona fragile restano eccome scrive l’autrice, “anche nelle situazioni in cui la malattia è particolarmente avanzata è possibile osservare paura, rabbia, tristezza, gioia sul viso dell’altro”.

Questo aspetto apre la possibilità al caregiver di dare vita a momenti estremamente significativi; come scrive Ongaro infatti “noi non possiamo creare un giorno meravigliosamente perfetto per la persona affetta da demenza, ma possiamo creare un momento meravigliosamente perfetto […] Le emozioni che avrà provato le faranno percepire ancora l’esserci in quanto persona e non solo come malato”, ed è su questa scorta che si muove il metodo Validation.

Validation, i quattro passi della relazione empatica

Validation è una tecnica comunicativa sviluppata negli anni settanta da Naomi Feil, gerontologa americana che per prima ha sperimentato modalità d’interazione nuove, basate sul concetto di accoglienza emotiva e volte a promuovere il benessere del malato. In questa prospettiva, spiega l’educatrice, “la partita relazionale non si gioca più su ciò che capisco cognitivamente in qualità di caregiver, ma soprattutto su ciò che la persona sente”. La portata rivoluzionaria di questa visione sta nel fatto che l’operatore può comprendere l’anziano basando la relazione non sulla comunicazione razionale, imperniata sulla coerenza e consequenzialità dei discorsi, ma sulle emozioni che traspaiono dallo sguardo, dai gesti, dalle parole della persona assistita. Nel metodo Validation la relazione empatica viene a instaurarsi attraverso quattro passi: osservare, calibrare, rispecchiare e ritornare.

 L’osservazione è necessaria per cogliere quanto vissuto dalla persona fragile in quel determinato momento: “devo rendermi conto di quali stimoli la persona gradisce o meno, che cosa la fa sentire a suo agio, se il dolore è ben controllato” spiega l’autrice. Segue la calibrazione, ovvero riconoscere lo stato d’animo dell’assistito in base ai segnali ricevuti, leggendo sia il linguaggio verbale che non verbale. Nella terza fase, il rispecchiamento, è possibile entrare in sintonia emotiva con il soggetto fragile mediante la postura, la mimica facciale, il tono di voce: “se una persona è triste e come caregiver sono riuscito a entrare nella bolla empatica è plausibile che i muscoli del mio viso mostrino tristezza […] il mio tono di voce sarà adeguato alla situazione […] sarò anche capace di restare in silenzio, inteso come ricco di un’interazione non verbale”. Rispecchiare l’altro non significa copiarlo, ma entrare in una relazione basata sulla condivisione delle emozioni e quindi sulla fiducia. L’ultimo passo, il ritorno, è “la capacità del caregiver di uscire dalla bolla empatica”, rientrando in se stesso.

L’educatrice fornisce anche suggerimenti pratici per favorire l’instaurarsi di un rapporto empatico. Tra questi, utilizzare domande aperte per “far sì che la persona possa raccontare dei suoi sentimenti”, riformulare quanto da lei espresso per dimostrarle la propria attenzione, ricorrere al canto o alla preghiera quando il paziente, nelle ultime fasi della malattia, non è in grado di parlare.

Relazionarsi e comprendere persone colpite da malattie neurodegenerative è quindi possibile; come d’altronde scriveva Marcel Proust “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.

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