Resilienza e rinascita (contributo di Renata Rusca)

Arte, Cultura & Società

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Riceviamo e pubblichiamo contributo di Renata Rusca, autrice savonese già nota ai nostri lettori.

Resilienza e rinascita

Sul dizionario, “Resilienza” risulta essere, in psicologia, la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.
Ed è proprio questo che hanno fatto le donne invitate a parlare di sé nell’incontro organizzato dall’Usei il 22 marzo u.s., cioè esse sono riuscite a risolvere le problematicità e, infine, sono diventate donne di successo, che lavorano, che sono fiere del loro vissuto.
– L’otto marzo non può essere solo un giorno ma deve durare tutto l’anno. – è stata l’introduzione di Antonio Garcia fondatore e presidente dell’USEI, Unione di Solidarietà degli Ecuadoriani in Italia, che raccoglie tra soci e volontari persone di qualsiasi paese compreso l’Italia – Io sono molto legato alle donne perché mia madre, mia moglie e mia figlia sono donne. –
Infatti, sarebbe bello davvero che tutti gli uomini fossero consapevoli, come è Garcia, di quanto almeno abbiano avuto bisogno di una donna per nascere!
Dunque, per celebrare la sacra lotta per i diritti di tutte le donne e per la loro emancipazione, davanti a un folto pubblico e ai responsabili di varie Associazioni tra cui ANPI, Italia Cuba, Lezentaciabrea, Circolo Milleluci che hanno fornito il Patrocinio all’importante iniziativa, si sono sedute a raccontarsi cinque signore immigrate.


Epiphana Lubangula (Tanzania), Gabriela Coroner (Ecuador), Siham Achagui (Marocco), Lidia Castillo (Ecuador), Hermelinda Cori (Perù) hanno spiegato le loro difficoltà ma sempre con il sorriso e la forza di chi è riuscito a essere resiliente e, infine, ha raggiunto ciò che desiderava.
Il dolore più grande è certamente lasciare il proprio paese, la propria cultura, i familiari, gli amici, i paesaggi della propria vita. Eppure qualcuno ha il coraggio di farlo per avere una vita migliore per sé e per i propri figli. Lidia, educatrice di ragazzi e adulti, ha ribadito che tornare al proprio paese è sempre un toccasana e da quelle parole possiamo capire quanto sia traumatica la lontananza. Eppure molti migrano, per varie ragioni: studio, lavoro, amore, guerra nel proprio paese, scarsità di lavoro, persecuzioni ecc.
Le intraprendenti signore, arrivate in Italia, hanno studiato la lingua al CPIA (Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti) e spesso sono andate oltre, fino alla laurea, anche perché l’Italia non riconosce i titoli di studio di molti altri paesi. Le loro storie di tante sofferenze avevano, dunque, il gusto della soddisfazione di chi ce l’ha fatta.
Credo che i migranti siano quelli che hanno capito prima di noi che la distinzione tra stati e continenti non l’ha creata Dio e che è giusto che le persone si possano spostare secondo i loro desideri e necessità mentre noi, invece, riconosciamo solo alle merci il diritto di muoversi.
I migranti, poi, sono quelli che lavorando stanno facendo crescere il nostro paese, lo rendono ricco e, molto spesso, si impegnano nei lavori che gli italiani snobbano.
Le cinque signore hanno ricordato anche quanto spesso siano state aiutate da tanti che hanno saputo accoglierle con il rispetto e il riconoscimento della loro dignità.
Non sempre è così, ancora resistono assurdità come il razzismo in generale e la mancanza di parità per le donne. Come sappiamo, sono ideologie che non fanno del bene a nessuno. Ricordo che una volta, si diceva “negro” ma ora non è più considerata una bella parola e quindi si dice “di colore”. Persino nel vecchio West c’era più parità nella terminologia, almeno si diceva “pellerossa” e “bianchi”. Invece, nessuno qui mi chiama “bianca” o “capelli neri” o “occhi castani”. Come mai? Non sarà che dire una persona “di colore” è ancora attestare che quella persona non è uguale a me?
Credo che incontri come questo, dove esseri umani raccontano le loro storie, ci aiutino a capire che facciamo parte tutti della razza umana e che le nostre caratteristiche fisiche non ci separano perché abbiamo tutti un cuore che soffre.
Accogliere gli altri, rispettarli, riconoscere uguali diritti a ognuno, senza alcuna distinzione, infine, allevia anche i mali veri che ci aggrediscono spesso nel corso della vita, sia che siamo indigeni o immigrati, biondi o bruni, alti o bassi.
In conclusione dell’evento, ha parlato la professoressa Angelica Lubrano, Presidente UDI (Unione Donne in Italia), ed è stato un momento di grande intensità perché Angelica da bambina, si è trasferita dal sud in Liguria. Chi non è più giovane sa che i meridionali sono stati maltrattati da noi settentrionali, sono stati ritenuti sporchi, incivili e inferiori, non si voleva affittare loro le case ecc. come succede oggi per i migranti dagli altri paesi. Eppure abbiamo avuto bisogno della loro forza lavoro. Corsi e ricorsi storici, direbbe Vico.

La professoressa Lubrano, infine, ha declamato una sua breve poesia.

Shalom Salām Pace

dedicata a TUTTI i morti in Medio Oriente

Salgo a fatica l’erta già segnata
da sterco scuro
di gregge immacolato.

Avanzo adagio,
persa
nei cocci aguzzi dei miei abbagli
che l’anima s’unisca alle mie mani.

Il rantolo molesto di un trattore
graffia il silenzio antico del pianoro.
Su pietre levigate, un rio sonoro
recita ignaro
il dolce suo gorgoglio,
porgendomi così il suo cordoglio.
Raccolgo la più liscia, la più bianca:
scrivo il tuo nome per il matzevah.

Renata Rusca Zargar

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