Un regionalismo incasinato

Attualità & Cronaca

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Un economista Gianfranco Polillo, a capo di un Dipartimento Economico che assisteva la Presidenza del Consiglio citando dati forniti dall’ISAE (Istituto di Analisi Economiche, controllato dal ministero del Tesoro) dichiarò circa venti anni fa, che quel federalismo del Titolo V  costava un aggravio di 60 miliardi di euro.

Valore confermato poi da Massimo Bordignon della Università Cattolica di Milano.

Ieri è stata approvata al Senato del Titolo V la cosiddetta autonomia regionale. Non è ancora legge perché necessita del passaggio alla Camera, che sicuramente modificherà qualcosa e quindi ritorno al Senato e, comunque poi ci sono da approvare le Intese Stato /Regione sulle materie trasferite.

Lombardia e Veneto ne hanno chiesto 23, l’Emilia Romagna 15.

 Prima però vanno definiti i LEP (livelli equivalenti di prestazione)cioè i servizi minimi e loro finanziamento, che dovranno essere garantiti ai cittadini sull’intero territorio nazionale.

LEP determinati entro due anni dall’entrata, in vigore del Ddl Calderoli. Nei 5 mesi successivi poi, vanno chiusi gli accordi Stato e Regioni.

Un regionalismo fortemente incasinato e pasticciato, che attenta all’unità del Paese per ragioni squisitamente economiche anche se ammantato da termini come efficienza, risparmio e concetti vacui.

Questa pericolosa deriva inizia con la legge costituzionale n.3 del 2001 approvata, in Parlamento con 4 voti di scarto dalla maggioranza e un referendum popolare partecipato dal 34% degli aventi voto.

Un Titolo V elaborato dal centrosinistra!

Cancellato l’art. 119 riferito al Mezzogiorno, introduceva il diritto degli enti locali a compare al gettito dei tributi erariali, «riferibile al loro territorio» e istituiva, nel contempo, un fondo di perequazione per i territori con minore capacità fiscale.

Concetti oggi, in contrapposizione non solo per l’altissimo debito pubblico, ma ancor più dall’attuazione dal 2027 del Nuovo Patto di Stabilità e Crescita.

Oggi assistiamo alla attuazione del terzo comma dell’art 116 ovvero realizzare“ ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”.

Una riforma del Titolo V della Costituzione messa, a segno dai governi D’Alema e Amato.

Erano 18 le materie di competenza regionale nella Costituzione del 1948, ma poi nella riforma del 2001 viene introdotto il principio della legislazione concorrente e le materie sottratte allo Stato diventano 23.

 Considerato che ogni materia è costituita da un determinato numero di funzioni da trasferire, ci saranno regioni che ne chiederanno alcune decine e chi di più. Ogni funzione ha dei costi, ecco che la richiesta dei  “fabbisogni”,  delle risorse economiche da trasferire e poi da trattenere, si farà più o meno alta a seconda dei casi.

L’ultimo giorno di febbraio 2018 prima di“ andare a casa cacciati dagli elettori”, il governo Gentiloni compie l’ultimo atto, che guarda caso riguarda il regionalismo differenziato approvando gli Accordi Preliminari con i presidenti delle Regioni  Emilia Romagna, Lombardia e Veneto.

 IL contenuto di questi Accordi? Quattro“ corpi contundenti” della unità del Paese: a) fabbisogni standard, come superamento dei fabbisogni storici; b) la patacca dei residui fiscali primari; c)  il riferimento alla popolazione residente; d) il gettito dei tributi maturati nella regione.

 Nella bozza è scritto che“ Decorsi tre anni dall’entrata in vigore dei decreti di cui all’art. 4 comma 1, qualora non siano stati adottati i fabbisogni standard, l’ammontare delle risorse assegnate alla Regione per l’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui alla presente intesa non può essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse”.

Senza scendere nei particolari è un modo, per chiedere più soldi.

 IL riferimento poi ai“ residui fiscali primari”, che corrispondono alla differenza tra il totale delle imposte pagate dai cittadini allo Stato e i trasferimenti che lo Stato eroga alla regione.

Alcuni economisti contestano il conto affermando che comuni e regioni attraverso le addizionali incassano risorse, che aumentano le sperequazioni tra territori.

Quanto sarà il costo di questa riforma? Secondo il Sole 24 Ore di alcuni anni fa sarebbero 21 miliardi. Altre stime quantificano, in 106 miliardi in più alla Lombardia,41 al Veneto  e 43 alla Emilia Romagna.

 Doveroso osservare che fu il Conte I nel Consiglio dei Ministri del 14 febbraio del 2018, a mettere in“ frigo” il regionalismo differenziato chiedendo un rinvio, per approfondimenti su costi e incidenza sulle entrate dello Stato.

 IL pasticcio della riforma del 2001 ha prodotto 5 regioni a statuto speciale, tre che chiedono e ottengono più poteri ai sensi del Titolo V e le restanti che non li chiedono.

Ogni cittadino deve fare qualcosa, per far crescere il dibattito su questo tema e concorrere alla formazione di una pubblica opinione informata.

Opposizione, a un regionalismo fai da te con il rischio della disgregazione della Unità nazionale.

 

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