Due diligence”, una “guerra tra poveri” resa obbligatoria dall’UE?

In nome di una presunta – e per qualcuno sicuramente conveniente – sostenibilità ambientale, Bruxelles ha istituito l’onere di spionaggio e denuncia da parte delle imprese produttive nei confronti dei propri partner (clienti o fornitori inclusi) che, a livello sociale e ambientale, non rispettino un approccio etico lungo tutta la filiera del valore. Pena una multa, per giunta salata. E fa già ridere così

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Pare che l’Unione europea, con la recente direttiva approvata e battezzata CSDD (Corporate Sustainability Due Diligence directive, trad. lett.: “Direttiva sulla diligenza dovuta in materia di sostenibilità aziendale”), che mirerebbe a stringere il cerchio sulle aziende commerciali scarsamente attente all’impatto sociale ed ecologico proprio e del rispettivo partenariato, si sia spinta ben oltre la responsabilità sociale e ambientale, puntando a condizionare a 360 gradi interi processi economici.

In un negoziato recente, infatti, Consiglio e Parlamento europeo avrebbero trovato un’intesa preliminare sulla normativa per la sostenibilità d’impresa, già studiata e passata in rassegna lo scorso giugno, con il voto favorevole dei 366 deputati contrapposti ai 225 contrari e alle 38 astensioni.

Sanzioni pari al 5% del fatturato per chi tace su acquirenti o suppliers

Nonostante si riesca a scorgere – almeno sommariamente – una strategia comunitaria che provi a spingere le multinazionali verso un comportamento produttivo etico e sostenibile, in realtà resta il fatto che, dietro questi ultimi regolamenti, sono celati provvedimenti d’infrazione significativi, che potrebbero arrivare addirittura al 5% del ricavo annuo imprenditoriale.

La “trovata” di Bruxelles, infatti, non solo punterebbe a mettere sotto la lente d’ingrandimento ogni aspetto dell’attività di filiera – ponendo particolare attenzione al rispetto delle prerogative umane ed ecologiche – ma anche a “stangare” le aziende medio-grandi che decideranno di non adeguare i propri step produttivi ad un nuovo “sistema di gestione della conformità” (disponibile anche in modalità digitale) che includa persino strumenti atti a “denunciare” i propri acquirenti o suppliers, inadempienti ai medesimi criteri. In pratica sembra che, a breve e presumibilmente in concomitanza con le urne europee del 2024, tutta la responsabilità delle intere catene di produzione e distribuzione ricadrà sulle imprese, con lo scopo – forse nemmeno ancora del tutto compreso – di pressarle tanto da farle fallire?

Attualmente queste disposizioni coinvolgerebbero solo le ditte comunitarie con oltre 250 dipendenti e un fatturato maggiore di 40 – nonché le “società madri” con almeno 500 lavoratori e ricavi per oltre 150 – milioni di euro (mentre per i centri le cui sedi risultino collocate al di fuori dell’Europa, invece, le norme riguarderebbero solo quelle con un saldo superiore ai 150 milioni di euro), anche se la possibilità futura di allargare le medesime regole anche alle piccole e medie imprese resta comunque alta. Cosa dovranno fare? “[…]identificare e, se necessario, prevenire, porre fine o mitigare, l’impatto negativo che le loro attività hanno su diritti umani e ambiente, come il lavoro minorile, la schiavitù, lo sfruttamento del lavoro, l’inquinamento, il degrado ambientale e la perdita di biodiversità”, oltre che […]“monitorare e valutare l’impatto sui diritti umani e sull’ambiente dei loro partner della catena del valore, compresi i fornitori, la vendita, la distribuzione, il trasporto, lo stoccaggio, la gestione dei rifiuti e altre aree”.

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Confindustria per l’Europa: allarme per la crescente “invadenza normativa”

Alla complessità degli incartamenti burocratici che, in modo esponenziale, continuano ad affliggere ogni giorno il mondo imprenditoriale, ora si aggiunge quindi la “diligenza dovuta” (tuttora non è ben chiaro, però, a chi e perché sia “dovuto” qualcosa): un’azione che potrebbe ulteriormente compromettere la competitività delle aziende nostrane, come ha evidenziato il rappresentante di Confindustria per l’Europa, Stefan Pan, sottolineando un crescente orientamento verso normative sempre più invasive che colpiscono soprattutto le “PMI” e le loro capacità di gareggiare a livello globale.

Non ci dovrebbero essere obblighi di “due diligence” sulla parte a valle della catena del valore: le disposizioni dovrebbero essere riferite esclusivamente alla catena di fornitura, in particolare ai fornitori con cui le imprese hanno un rapporto contrattuale diretto, potendone influenzare il comportamento”, avrebbe dichiarato l’industriale bolzanese.

Comunque sia, attraverso l’istituzionalizzazione di un concetto nuovo, sembra più che altro che si voglia creare un precedente: ossia che alle imprese non solo si potrà richiedere virtuosità, ma anche imporre l’esercizio di un ruolo attivo nel monitorare e, all’occorrenza, “accusare” i propri collaboratori commerciali. Altrimenti il rischio di ritrovarsi multati, oltre che esposti a pubbliche “condanne“, sarà più che concreto.

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Fonti online:

ByoBlu (testata giornalistica ed emittente televisiva nazionale; articolo di Giorgio Valleris del 27 dicembre 2023), portale legislativo dell’Unione europea, ELMI, EQS Group, Integrity Line (EQS Group),  Agendadigitale.eu, Confindustria, sito istituzionale della Commissione europea;

Canali YouTube: WeWorld Onlus, ICC Italia.

Antonio Quarta

Redazione Il Corriere Nazionale

Corriere di Puglia e Lucania

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