Il Vietnam visto con i miei occhi

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di Vincenzo Vespri

Invitato in Vietnam a un convegno, sono stato di fatto messo di fronte ai ricordi di gioventù quando era in corso la guerra del Vietnam fra Americani e Vietcong e i collettivi della scuola parlavano solo dei bombardamenti americani su Hanoi. Mi sono sorpreso a constatare che sostanzialmente quello che sapevo del Vietnam derivava dai film di guerra. Mi veniva in mente la marcia di Topolino di Full Metal Jacket, le imboscate del Cacciatore, il colonnello Kurtz di Apocalypse Now e, sempre di Apocalypse Now, gli elicotteri che attaccano con La Cavalcata delle Valchirie e “il mi piace l’odore di napalm al mattino, è odore di vittoria”. Tutte le sfumature possibili per quanto riguarda gli Americani. Niente dalla parte vietnamita anche se sono stati loro a vincere la guerra.

Arrivato in Vietnam, m’accorgo che non c’è l’esaltazione per la vittoria, anzi per le vittorie militari conseguite. Hanno vinto la guerra con la Francia, hanno vinto la guerra con gli USA, hanno almeno pareggiato la guerra con la Cina. Sono di tradizione buddista, sono inclini a non portare rancore, ma a difendere fino in fondo le idee che ritengono giuste. Se uno legge, con gli occhi di adesso, la storia politica di Ho Chi Min, scopre che era una persona ragionevole che si era convinto (ed aveva convinto il suo popolo) che il colonialismo doveva essere combattuto ad ogni costo. Aveva provato a ottenere l’indipendenza in modo pacifico, aveva fatto un accordo per ottenerla se avessero aiutato gli Alleati a combattere i Giapponesi, ma Francesi e Americani pensarono bene di non mantenere la promessa fatta. Stalin colse al volo l’opportunità e appoggiando la (giusta) guerra di Ho Chi Min, rese tutta l’Indocina comunista mettendola nell’area d’influenza dell’Unione Sovietica.

Il fatto che il Vietnam abbia vinto due guerre e mezzo lo si vede solo da come sono orgogliosi delle loro tradizioni e del loro paese (cosa che non succede ad esempio in Europa, ma noi l’ultima guerra l’abbiamo persa). Il fatto che siano socialisti, la si capisce per la presenza a un convegno tecnico anche i non tecnici (commissari politici? Ruoli analoghi?) e da immancabili puntualizzazioni politiche (ad esempio quando affermavo che si vedeva che era un paese buddista, mi hanno sempre risposto che erano atei e il buddismo era solo folclore e tradizione per loro).
Gli aspetti più caratteristici (e che meno mi aspettavo) sono il traffico (caotico e creativo) incentrato su mandrie di motorini che fanno di tutto (vanno sul marciapiede, vanno in senso contrario, vanno in 4 su un solo motorino, trasportano intere piante e mobili…) e la presenza di orde di turisti russi (non potendo andare in Occidente, si sfogano in altri paesi). Ho chiacchierato con loro. Mi hanno detto che la colpa della guerra in Ucraina è solo degli americani e che finora la Russia non ha avuto gravi contraccolpi né economici né sulle perdite umane (sono morti molti soldati, ma non soldati di leva cosa che avrebbe generato un’opinione pubblica contraria). Quindi i reportage di un Putin isolato ed odiato dal popolo russo, per quel che ho potuto vedere io, sono falsi.

Hanoi nel suo centro storico è carina e relativamente poco turistica. In Viertnam, oltre al centro di Hanoi, ho visitato la scenografica baia di Halong (9000 piccole isole molto pittoresche). Ho visitato anche Anghor Wat in Cambogia. Luogo molto bello e spirituale ma troppo infestato da turisti. Troppi, quasi come al centro di Firenze. Capaci di rovinare qualunque ambiente. Il nuovo aeroporto di Anghor Wat è stato inaugurato un mese fa. È mastodontico e molto lontano dalla città. I turisti finiscono per essere prede dei taxisti che offrono corse a prezzi esagerati. Per evitare di essere presi per il collo, i turisti devono improvvisare soluzioni estemporanee e fantasiose (all’andata, ho letteralmente costretto un turista giapponese a condividere la corsa, al ritorno ho preso un bus dove io ero l’unico passeggero). Scioccante inoltre la procedura del visto: all’arrivo all’aeroporto uno vede una ventina di sportelli e pensa di recarsi a uno qualunque di questi ma è sbagliato. La burocrazia cambogiana procede in orizzontale: si va al primo sportello dove si consegna il passaporto, poi si segue il percorso del passaporto da sportello a sportello. Prima ti chiedono di pagare in uno sportello, in un altro ti danno l’eventuale resto, in un altro ancora ti timbrano il passaporto, etc etc. A livello politico, da notare che la mia guida al tempio di Anghor Wat mi ha detto che molti Cambogiani rimpiangono Pol Pot (ma non era una bestia sanguinaria?) perché con lui tutti erano uguali e combatteva la classe di latifondisti terrieri.

Insomma, viaggio che si è rivelato molto interessante e che mi ha fatto vedere che la realtà potrebbe non essere quella dipinta in Occidente.

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