Andreotti, Craxi e Moro visti dalla CIA: il saggio inchiesta di Raffaele Romano

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Questo libro ha, come scopo principale, quello di realizzare un’inchiesta giornalistica che miri a far conoscere all’opinione pubblica fatti che i veri storici, quelli di professione, si incaricheranno, poi, di collocare in modalità scientifica’

Raffaele Romano

Un affresco ampio e preciso,quello Raffaele Romano,di una larga fetta della nostra storia. Nel suo ultimo libro ‘Andreotti, Craxi e Moro visti dalla CIA'(332 pagine, 13 euro, disponibile su Amazon)l’autore affronta e analizza l’ingerenza ombra degli Stati Uniti nella politica e negli affari interni Italiani attraverso i documenti desecretati di diplomatici, servizi di intelligence, Dipartimento di Stato, Casa Bianca, interviste, articoli e Commissioni parlamentari di indagini italiane e straniere.

Il saggio si apre con un appello dell’autore al Presidente Joe Biden di continuare sulla strada già intrapresa con l’emanazione dell’ordine esecutivo che desecretava la documentazione inerente l’attacco alle Twin Towers e fare lo stesso con gli atti che riguardano l’Italia per il periodo che va dal 1978 al 1994.

Nel libro di Romano non c’è alcun compiacimento, ma semplicemente un’analisi rigorosa degli eventi accaduti attorno a tre autorevoli, seppure diversissimi, statisti italiani: Andreotti, Craxi e Moro, costretti ad affrontare vicende poco chiare, dalle quali, in ultima analisi, sono rimasti schiacciati”. Scrive Enrico Fagnano nella prefazione.

Tutti i personaggi sono esaminati con accuratezza, a volte con pazienza certosina e cura chirurgica. Lo spaccato di storia così restaurato appare più che esauriente e, a dispetto della sua specializzazione saggistica, si legge come un romanzo. Ma si studia anche come una lezione per il mondo di oggi.

Ma veniamo alle vicende messe in evidenza nel libro.

ll Pci italiano,infatti,sulla base della ricostruzione operata dall’autore intesseva rapporti con gli Stati Uniti, già nel lontano 1970, e dietro Tangentopoli e il caso Moro ci fu la direzione degli Stati Uniti che entrarono negli affari interni della politica italiana e influenzando in molti casi con conseguenze catastrofiche, il destino del nostro Paese.

Viene,inoltre,denunciato,con documenti ufficiali top secret, che già fra gli anni sessanta e settanta c’erano stati stretti rapporti fra molti alti dirigenti del Pci e l’ambasciata americana a Roma quando, visto il periodo storico, si riteneva fosse la DC l’unico partito depositario di una speciale relazione con gli USA.

Invece continui,regolari e costanti furono gli incontri con Luciano Barca, Giorgio Amendola, Sergio Segre, Alfredo Reichlin, Giuseppe Boffa, Giorgio Napolitano solo per citarne alcuni, e da un articolo di Stefano Marroni si apprende della cena con lo “spione” della CIA a cui partecipa l’inflessibile Giancarlo Pajetta.

Fra i tanti documenti desecretati c’è il deflagrante testo di un telex di Allen Holmes vice di Gardner e anche Deputy Chief of Mission a Villa Taverna in cui definisce l’Italia “una nazione a sovranità limitata” dovuto all’interventismo americano che spesso adottava il Dipartimento di Stato: “in base a quale diritto presumiamo di avere tale ruolo e pensiamo di sapere cosa è meglio per l’Italia rispetto agli italiani stessi?” concludendo che un’ingerenza di tale portata “sarebbe impensabile in un’altra nazione dell’Europa Occidentale”.

Non meno importante è poi, la rilevanza della documentazione di Henry Gonzalez, presidente della Commissione sulle banche della Camera dei rappresentanti a Washington, e Guido Gerosa vicepresidente della Commissione d’inchiesta sulla Bnl in Italia, laddove emergono gli stretti rapporti fra CIA e narcos sudamericani e lo stesso Saddam Hussein al quale era stato posto l’embargo ma, allo stesso tempo, lo si alimentava tramite la filiale di Atlanta.

Dalle due importantissime interviste all’ex ambasciatore Reginald Bartholomew e quella a Peter Semler ex console a Milano fatte da Maurizio Molinari nel 2012 quando era corrispondente della Stampa di Torino, si mette in luce, con l’ammissione di Bartholomew,del legame fra l’ex console di Milano e la procura di Milano. Quando arrivò a Roma nel ’93, spezzò definitivamente tali rapporti ma i giochi ormai erano fatti. Inoltre ammise che, approfittando della presenza a Roma di Antonino Scalia della suprema Corte USA, decise di convocare a Villa Taverna sette importanti e mai nominati giudici italiani per spiegare loro le gravi violazioni dei diritti della difesa nelle indagini di Tangentopoli.

Fino a giungere all’intervista di Paolo Mastrolilli, succeduto negli USA a Molinari, a Daniel Serwer, incaricato d’affari e quindi capo della rappresentanza diplomatica americana a Roma, che come autore di un rapporto su Tangentopoli afferma che un protagonista di Tangentopoli «potrebbe essere un pupazzo manovrato dagli Usa» e all’ovvia replica dell’intervistatore su chi fosse il pupazzo la risposta fu :

Non ricordo con esattezza, ma, come sapete, chiunque potrebbe essere accusato di esserlo in Italia, specialmente durante quel periodo!” Un’ingerenza quella degli Usa, le cui manovre provocarono risultati devastanti per il nostro Paese.

L’anello di congiunzione che tiene banco e che lega tutti i fatti è dunque la continua presenza ingombrante degli Stati Uniti. A partire dalla manipolazione di Lucky Luciano, che fu “assoldato” dagli americani per i suoi contatti con la mafia per favorire lo sbarco delle loro truppe in Sicilia, ad Augusta.

Dopo qualche decennio dall’esecuzione di Moro, Steve Pieczenik, così si chiamava il nuncius” dell’amministrazione americana nella commissione nominata da Cossiga per “gestire” il sequestro Moro, dichiarò in due interviste rese a giornali italiani che egli aveva lavorato contro la possibilità di recuperare o di liberare il presidente della DC, ritenendo che “la fragile democrazia italiana non avrebbe assorbito il colpo”. Era perciò necessario insistere nella politica della “fermezza“ che, ben si sapeva e lo sapeva Pieczenik, conduceva alla soppressione dell’ostaggio.

Questo saggio rappresenta una vera e propria inchiesta giornalistica, una lente di ingrandimento sulla nostra storia per conoscere i fatti e tutto il loro retroscena spesso non dichiarato. Grazie a testi come questo, abbiamo la possibilità di analizzare un’altra realtà per costruire la nostra visione critica e sviluppare altri punti di vista per poter compiere in ogni ambito scelte consapevoli

L’autore

Raffaele Romano è nato a Napoli e vive a Roma da oltre 45 anni. Giornalista d’inchiesta, docente, politico e saggista, ha collaborato al quotidiano finanziario Ore 12,al quotidiano l’Avanti per diversi anni e al quotidiano Il Messaggero come free lance. Dal 1989 al 1992 ha fatto parte dell’Ufficio Stampa dell’allora Sindaco di Roma.

Attualmente collabora con la rivista on line “La Voce di New York”con la testata on line “Nuovo giornale nazionale” e con “Radio Hofstra” di New York nella trasmissione “Sabato Italiano” in cui si occupa di cinema italiano.

Scrive per alcuni siti web articoli di Economia, Finanza ed Esteri; ha pubblicato un saggio di Storia Contemporanea vincendo nel 1992 il Premio Letterario “Nazareno” per la sezione della saggistica con una biografia storico-politica su Giacomo Matteotti. È stato pubblicato a novembre del 2016 dal titolo: “I furbetti della Penisola”.È appena stato pubblicato il secondo volume della trilogia di Raffaele Romano con l’edizione Amazon che, dopo “Andreotti, Craxi e Moro visti dalla CIA”, propone in continuità con la possibilità di accedere a documenti “top secret” il sequel con “Il Sindacato italiano visto dalla CIA. Dal Fascismo alla Guerra Fredda”.

 

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