Erdogan in equilibrio tra Israele e Gaza

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“Invito entrambe le parti alla moderazione”. Questo il primo commento del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che ha poi rilanciato la soluzione dei due Stati definendo “necessaria” la fondazione di uno Stato palestinese

AGI – Il conflitto esploso in seguito all’attacco sferrato dall’organizzazione terroristica palestinese Hamas e la durissima rappresaglia di Israele sulla striscia di Gaza rischiano di mettere a dura prova i rapporti tra Ankara e lo Stato ebraico, tornati alla normalità dopo anni caratterizzati da accuse e tensioni. “Invito entrambe le parti alla moderazione”.

Questo il primo commento del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che ha poi rilanciato la soluzione dei due Stati definendo “necessaria” la fondazione di uno Stato palestinese. Appena pochi giorni prima del conflitto esploso in Medio Oriente il leader turco aveva annunciato una prossima visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu in Turchia.

Una visita che rappresenta il coronamento di un difficile processo di normalizzazione durato più di due anni. Risale ad appena un anno fa infatti la nomina di nuovi rappresentanti diplomatici dei due Paesi, tornati ad occupare le rispettive ambasciate dopo un lungo periodo in cui i rapporti diplomatici sono stati azzerati.

Un lungo cammino che ha fatto ripartire le relazioni istituzionali e diplomatiche, durante il quale Erdogan ha ripetuto che il sostegno turco nei confronti dei palestinesi non sarebbe venuto a mancare e che la violazione della moschea di Al Aqsa e Gerusalemme costituisce la ‘linea rossà che lo stato ebraico non deve varcare. Erdogan e Netanyahu hanno in realtà avuto un breve faccia a faccia lo scorso settembre a New York, in occasione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite.

Un incontro tra due leader i cui rapporti sono stati caratterizzati da anni di pesanti accuse proprio per la durezza delle politiche israeliane nei confronti della popolazione palestinese. La dura reazione di Israele avrebbe in passato scatenato Erdogan, da anni considerato ‘re di Gazà per non aver mai fatto mancare il proprio sostegno ai 2 milioni di palestinesi schiacciati da 16 anni di embargo. Un embargo che il leader turco ha sempre definito ‘inaccettabilè e ripetutamente tentato di forzare.

E a conferma della popolarità di Erdogan a Gaza vi sono le immagini dei festeggiamenti con cui i palestinesi hanno celebrato la rielezione del presidente turco alla fine di maggio scorso. Più delle istanze filo palestinesi di Erdogan a pesare sulla bilancia del riavvicinamento è stato questa volta il comune interesse in ambito energetico.

Ankara e lo stato ebraico hanno in cantiere il progetto di un gasdotto che consenta il passaggio via Turchia, e lo smistamento verso ovest, del gas del grande giacimento israeliano denominato ‘Leviatanò. Un progetto su cui Ankara punta, tanto che era previsto per questa settimana un viaggio in Israele del ministro dell’Energia. Un motivo ulteriore che spinge Erdogan alla prudenza nelle dichiarazioni di questi giorni, molto lontane dai toni incendiari che hanno caratterizzato il recente passato.

“Più si ritarda nella ricerca di una soluzione più la pace rimarrà un miraggio per questa terra. È importante tornare a lavorare alla soluzione dei due Stati. Non si può più rinviare la fondazione di uno Stato palestinese con i confini stabiliti nel 1967 (da risoluzione Onu ndr) con capitale Gerusalemme. Una pace giusta non ha perdenti.”, ha detto il leader turco ieri.

Erdogan, piuttosto che mantenere le istanze del passato e compiacere l’opinione pubblica turca storicamente schierata al fianco della Palestina, stavolta chiede una soluzione “secondo quanto stabilito dal diritto internazionale”, dichiara di essere pronto a fare “tutto il possibile per far finire gli attacchi” e garantisce che Ankara “mantiene vivi tutti i canali diplomatici”.

Una diplomazia che negli ultimi anni si è dimostrata tentacolare e che si sta confermando tale anche in questa occasione. L’esplosione del conflitto ha immediatamente messo in moto il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, per anni numero uno dei servizi segreti di Ankara e fedelissimo di Erdogan. Fidan ha parlato con il collega del Qatar Sheikh Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, con il capo della diplomazia saudita Faisal bin Farhan Al Furhan al-Saud e con il ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry.

Tuttavia le telefonate più rilevanti sono state con il rappresentante palestinese per la politica estera Riyad al-Maliki, e sopratutto con il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian, capo della diplomazia del Paese che più di tutti sostiene apertamente l’offensiva di Hamas. Non è mancata tuttavia una telefonata con il segretario di Stato americano Anthony Blinken.

I movimenti di Fidan dimostrano che il raggio d’azione di Ankara in questo momento non va sottovalutato. Sono infatti diversi gli esponenti di Hamas cui la Turchia garantisce asilo e protezione.Come avvenuto nel conflitto in Ucraina, Ankara si conferma uno dei pochi Paesi nella posizione di giostrare su più fronti.

E come per l’Ucraina anche in questo caso Erdogan è atteso da una sorta di equilibrismo diplomatico. Da un lato l’importanza di mantenere in piedi i rapporti faticosamente ricuciti con lo stato ebraico e mantenere vivo l’importantissimo piano energetico; dall’altro la necessità di agire in coerenza con il passato, e rispondere a una classe politica e a una opinione pubblica apertamente filo palestinese, pronta a metterlo alla gogna in vista delle elezioni amministrative previste tra 5 mesi.

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