La rievocazione delle lavandaie

Eventi, Musica & Spettacolo

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Editoriale di Daniela Piesco Co-Direttore Radici 

L’avvento degli elettrodomestici ha decisamente agevolato i compiti casalinghi, e ci ha privati di alcune abitudini che appartengono ormai alla memoria del passato.

Uno di questi è l’usanza delle lavandaie, diffusa fin dall’inizio del secolo scorso, di ritrovarsi al lavatoio o sulla riva del fiume con montagne di panni sporchi. Queste donne, abitualmente di estrazione povera, si occupavano di ritirare i panni sordidi per conto di categorie più benestanti quali professionisti, commercianti facoltosi (che allora non si lavavano “in famiglia”)e, avvoltili in un panno più grande capace di contenerli tutti (ecco la “mappata” della lavandaia) li portavano via, per poi puntualmente riportarli lavati e profumati in una bella cesta dopo alcuni giorni.

Ma dove portavano le loro “mappate”? Dove e come lavavano i panni? È rimasta una traccia di questo lavoro che risultava così pesante, che anche le donne di famiglie modeste, pur se non godevano di nessun aiuto per le faccende domestiche, quasi sempre avevano però la loro “lavandaia” di fiducia?

Ieri giovedì 28 settembre, c’è stata la proiezione e la presentazione del cortometraggio “La rievocazione delle Lavandaie” presso il cinema-teatro San Marco di Benevento, nell’ambito dell’evento Social Film Festival ArTelesia. Si è trattato di un cortometraggio che ha avuto l’obiettivo di far rivivere proprio l’antica figura della lavandaia, che di buon’ora e con molti sacrifici giungeva sulla riva del Fiume per lavare i suoi panni, tra litigi, pettegolezzi e canti.

L’Archeoclub di Apice ha provveduto alla produzione di questo cortometraggio, che è nato da un idea di Michele Intorcia. La regia, le riprese e montaggio sono stati affidati a Dario Montenigro, mentre la sceneggiatura con i suoi dialoghi e canti insieme ai costumi sono stati curati e ricercati da Angela Albanese e Antonella Morante. La scenografia, infine, è stata curata da Walter Mesisca e Alessio Errico.Oltre ad una decina di donne hanno preso parte alle riprese anche cinque bambini e un asinello.Sul set hanno partecipato: Carmela Frusciante, Maria Pia Rubino, Ines De Leucio, Grazia Luongo , Filomena Porcelli, Elena Mirra, Ester Zullo, Raffaella Zullo, Carmen e Maria Francesca Pignone, Giuseppe, Alessandro e Claudia Mesisca, Grazia e Sara Errico.

Il cast

Il cortometraggio è stato girato tra il borgo di Apice Vecchia e il tratto di fiume che un tempo era attraversato dalla via Appia, in località Ponte Rotto. Per tali motivi il file del cortometraggio è stato anche consegnato nelle mani dei funzionario Unesco al fine di contribuire alla valutazione della candidatura dell’antica Regina Viarum

Sul palco a sinistra il sindaco di Apice

L’obiettivo era riportare alla memoria momenti d’infanzia e di un’epoca in cui la vita quotidiana era strettamente legata alla vita del fiume.Io da ragazza era solita andare al fiume per lavare i panni.Mi sono sentita coinvolta nel lanciare un messaggio alla nuova generazione,ossia quello di fare tornare i fiumi ad essere quelli di una volta. Uno stimolo in più per averne cura, sensibilizzare non solo i politici del luogo, ma noi tutti in quanto siamo i veri custodi dell’ambiente.È stato entusiasmante girare quelle scene al fiume ,il corto è il frutto dello straordinario lavoro e dell’entusiasmo di tutte noi interpreti,del fugace ritorno della lavandaia sulle sponde del Calore.É stato,inoltre un richiamo antico e potente. Abbiamo rappresentato la testimonianza vivente del profondo legame che univa le persone al fiume ed è bello che siano state proprio le donne a risvegliarlo” ha affermato una delle interpreti,la signora Filomena Porcelli, che ho intervistato a fine rappresentazione.

Non è soltanto una rievocazione -ha raccontato Michele Intorcia, ideatore – ma un qualcosa che spero possa andare oltre, è una forma di riavvicinamento e riappropriazione di un luogo che in passato brulicava di persone e di bellezza ambientale”

La sceneggiatura con i suoi dialoghi e canti del periodo insieme ai costumi sono stati curati e ricercati da Angela Albanese e Antonella Morante: «Il fiume un tempo costituiva una ricchezza per il paese, una risorsa inesauribile, perché produceva benessere economico, sociale, ludico, artistico e sportivo. Altra risorsa economica e sociale era rappresentata dal lavoro svolto nelle acque del fiume, dalla lavandaia, una figura che è stata per moltissimo tempo, parte importante del quotidiano comune della gente. Un tempo in ogni famiglia c’era una lavandaia e il suo compito principale era quello di lavare i panni sporchi del marito e dei figli. Alcune donne poi, per necessità, trasformarono quest’attività in un vero e proprio mestiere, svolto presso le famiglie benestanti e presso famiglie in cui la donna di casa era ammalata e non poteva lavare i panni. Fare il bucato al fiume significava anche socializzare, in effetti il rito del bucato al fiume, era per le donne, anche se faticoso, un momento d’incontro e un luogo di aggregazione femminile, occasione e luogo di litigi e di dicerie, si scambiavano consigli e pettegolezzi, si partecipava alle gioie e alle disgrazie delle une e delle altre, si cantavano canzoni nostalgiche e patriottiche, strambotti ironici e amorosi, si rideva e, spesso, si rifletteva sulla “disgraziata” condizione delle donne” .

Sul palco con il microfono la prof.Angela Albanese il presidente dell’Archeoclub Alessio Errico , Antonella Morante , Ines De Leucio, Raffaella Zullo

Grazie a questa rievocazione possiamo riflettere su un legame stretto e storicamente preciso, tra il mondo femminile delle lavandaie, e quello del sole, del “sole mio”. Ripercorrere l’origine (o una delle origini) di questo mito, è interessante, anche perché questa via tutta femminile dissocia, per così dire, un legame molto insistito da una certa letteratura folklorica di “napoletanità”, quello del sole legato alla vita beata, dell’abbandono ozioso e al dolce far niente, quasi fatalmente connaturato alla dolcezza del clima e al calore del sole.

Il sole, invece, di cui ci parla questa “via femminile”, è un sole tutto intriso di un lavoro antico e diffuso tra le donne, il lavoro, appunto, delle lavandaie.

Jesce sole, jesce sole
(Esci sole,esci sole)

Un sole, dunque, invocato ma assente, un sole che si nega e che è invece essenziale per l’ antico mestiere .

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