Il futuro incerto del Mali senza i caschi blu dell’Onu

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Una tempistica infausta. Il territorio è già in gran parte sotto il controllo delle milizie dei fondamentalisti islamici mentre i numerosi mercenari della Wagner sembrano destinati a divenire una forza sbandata dalle decisioni imprevedibili

AGI – La tempistica non potrebbe essere più infausta: un mix micidiale formato dall’instabilità del Niger, le decine di migliaia di profughi che dal Sudan si accalcano in Ciad, l’offensiva su larga scala dei jihadisti in numerosi paesi della regione, lo sbandamento della Wagner e ora il ritiro dei caschi blu delle Nazioni Unite. Il Mali, posto dalla geografica al centro del Sahel occidentale, rischia sempre più il collasso.

L’Africa compie un altro passo verso il caos, grazie anche alle mire espansionistiche di forze esterne e all’incapacità della comunità internazionale di fronteggiare la situazione. Il ritiro della forza di pace dell’Onu è stato deciso dal Consiglio di Sicurezza lo scorso 30 giugno, il processo di sgombero è già stato avviato. Tra non molto la Missione di Stabilizzazione integrata multidimensionale delle Nazioni Unite in Mali, nome impegnativo per un ennesimo fallimento, non avrà più nemmeno un uomo sul terreno.

Le conseguenze sono al tempo stesso inimmaginabili e immaginabilissime: il territorio è già in gran parte sotto il controllo delle milizie dei fondamentalisti islamici mentre i numerosi mercenari della Wagner, ora che Prigozhin ha perso la vita in un incidente aereo in Russia, sembrano destinati a divenire una forza sbandata dalle decisioni imprevedibili.

La presenza dei caschi blu ammonta al momento a 11.600 soldati e 1.500 agenti di polizia forniti da diversi Paesi. Dovranno andarsene entro tre mesi: il 31 dicembre saranno tutti fuori e gli accordi prevedono la restituzione all’esercito maliano delle 12 basi create negli ultimi dieci anni in tutto il territorio nazionale.

Tre postazioni sono state già dismesse: a Ogossagou, Ber e Goundam nella regione di Timbuctu nel nord del Mali. Se a Ogossagou e Goundam il ritiro dei caschi blu si è svolto senza incidenti, a Ber i militari maliani affermano di aver già dovuto sventare un attacco da parte di presunti ribelli Tuareg. Questi respingono le accuse e le ribaltano sulle forze governative.

La situazione politica è altrettanto preoccupante

Secondo la Fides si è creata una profonda frattura tra la giunta militare che ha preso il potere a Bamako con il golpe del 24 maggio 2021 e le opposizioni, che puntano l’indice sul governo accusandolo di aver fatto approvare a giugno una nuova Costituzione che tradirebbe gli accordi di pace raggiunto ad Algeri alcuni anni fa.

Il particolare più rivelatore è quello contenuto in un comunicato del comando Onu, in cui li stessi Caschi Blu ammettono di “aver impiegato poco più di due giorni per percorrere i 57 chilometri da Ber a Timbuktu, a causa di un duplice attacco in cui quattro caschi blu sono rimasti feriti”. E questa volta non si è trattato degli insorti Tuareg, ma dei fondamentalisti del Gruppo di sostegno per l’Islam e i musulmani (GSIM), un’alleanza jihadista affiliata ad Al-Qaeda.

I jihadisti hanno imposto un blocco da diversi giorni a Timbuktu, dove i prezzi dei prodotti hanno iniziato a crescere. In città, riferisce Africa.express, la situazione è ancora calma, ma gli uomini vicini ad Al Qaeda hanno fatto sapere che è in corso una mobilitazione intorno alla città per “una guerra totale” contro lo Stato maliano, che ha “chiamato i Wagner (attivi in Mali dalla fine del 2021”.

Attualmente in Mali ci sono 1.600 mercenari russi, ma la loro presenza continua essere negata dai governativi, nonostante le conferme di numerosi funzionari russi, nonché’ dalle dichiarazioni rese dallo stesso Evgeny Prigozhin pochi giorni prima di morire.

La simbiosi della Wagner e delle forze regolari non è una novità. La collaborazione è tale che sono state accusate, l’una e le altre, di usare spesso la violenza contro le donne e altre “gravi violazioni dei diritti umani” per diffondere il terrore. Lo riferisce un rapporto redatto dagli osservatori delle sanzioni delle Nazioni Unite. Una violenza “sistematica” in particolare “da parte dei partner di sicurezza stranieri, per diffondere il terrore tra le popolazioni”.

“Queste pratiche creano potenzialmente il timore di rappresaglie, che agisce come deterrente per le comunità e i gruppi armati che altrimenti cercherebbero di minacciare i partner di sicurezza stranieri o di far loro del male”, si legge in un rapporto secondo cui le truppe maliane e “uomini bianchi armati” avrebbero addirittura giustiziato almeno 500 persone e di averne aggredite sessualmente o torturate decine di altre durante un’operazione di cinque giorni nel Mali centrale lo scorso anno. A redigere il rapporto sono stati a maggio alcuni inviati dell’Onu. Il 30 giugno il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha votato all’unanimità la fine della missione di pace. Jihadisti e Wagner restano.

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