Il lavoro e’ un viaggio. C’e’ ma servono competenza e passione

Diritti & Lavoro

Di

di Vittorio Bilardi

Oggi come non mai il mondo del lavoro ha bisogno di nuove competenze. L’innovazione tecnologica e la globalizzazione della conoscenza hanno cambiato e stanno cambiando le regole del sistema e l’industria 4.0 ha già modificato il contesto produttivo, richiedendo professionalità su misura. Si è venuto così a creare, un paradosso sociale nel quale i giovani disoccupati non hanno le competenze necessarie per essere avviati al lavoro e gli studenti non le stanno acquisendo, affacciandosi al mondo del lavoro in ritardo, con le idee confuse e un profilo professionale poco spendibile.

Il sistema scolastico e formativo italiano non è infatti in grado di sostenere la domanda occupazionale, perché è inattuale. La scuola superiore italiana trasmette un’ottima formazione generale, ma non riesce ancora ad orientare i giovani alla scoperta dei propri talenti e a metterli in contatto con le aziende e le professioni del futuro. L’università, è spesso la fotografia di un tempo che non esiste più: percorsi antiquati, distanti dalla realtà e percentuali di laurea ben al di sotto della media OCSE. Il periodo di studio dura troppo a lungo: tra scuole superiori, lauree triennali e magistrali, dottorati e master, un giovane si affaccia al mondo del lavoro a partire dai 25/27 anni, svolgendo lavoretti saltuari, stage e apprendistati, per arrivare alla fatidica soglia dei 30/35 anni con un curriculum striminzito e senza ancora le idee chiare su cosa fare “da grande”. In tutto questo, come se non bastasse, le aziende non soltanto non trovano profili adatti, ma subiscono una costante “obsolescenza professionale” in capo ai propri operai ed impiegati, che spesso sono fermi alle conoscenze che avevano quando sono stati assunti. E chi invece queste conoscenze le possiede, non trova né piani aziendali per trasmetterle ai più giovani, né semplicemente riesce a trovare i successori che un giorno potranno raccoglierne il testimone.

(Parentesi fuori riga: spesso e volentieri, le aziende non sono disposte ad assumere i suddetti profili già in possesso con ampio bagaglio di conoscenze, esperienza  e professionalità, in quanto non sempre è disposta a riconoscere una equa retribuzione). È un tema di Corporate Academy da una parte – ossia processi strutturati di formazione dei giovani a cura dei maestri di mestiere prossimi alla pensione – e di mancanza di nuove leve dall’altra. Questo perché ormai non conta più soltanto l’aspetto economico. E non c’entra granché la Great Resignation, quantomeno quella parte che racconta di decine di migliaia di persone che lasciano il lavoro senza sapere bene cosa fare dopo, pur di approdare a un futuro diverso, di accedere a condizioni lavorative e a un welfare migliore, di poter riconciliare tempi di vita e di lavoro. I problemi descritti sono strutturali e stiamo assistendo a un cambio di “era geologica” nel mondo del lavoro: uno spostamento tellurico iniziato silenzioso dopo la crisi del 2008 e accelerato di colpo dal Covid e da tutto quello che ne è seguito. E chissà per quanto ancora sarà in grado di spostare il mondo del lavoro – e le nostre vecchie certezze – verso nuove direzioni.

E’ necessario attuare un investimento deciso, sistemico, per sostenere un modello formativo rapido, accessibile a tutti e direttamente partecipato dalle aziende e dalle istituzioni, per sbloccare la situazione di stallo in cui ci troviamo. E’ infatti sullo sviluppo dell’industria, della manifattura e delle grandi opere che il nostro Paese si gioca un indispensabile aumento del tasso di occupazione per i prossimi anni. Le opportunità di lavoro si moltiplicano e c’è un disperato bisogno di nuovi professionisti ed operai. Manca soltanto un ponte tra chi cerca e chi offre e dobbiamo riuscire a costruirlo in fretta, oppure anche questo treno ci passerà davanti veloce, per andare a fermarsi in qualche altra stazione troppo lontana da qui. Una cosa è certa: è necessaria una radicale riforma del welfare e del sistema lavoro per una concreta e reale risposta ad un cambio di prospettiva. Se il sistema non cambierà, per interi settori produttivi non ci sarà nessuno sviluppo.

 

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