Le condotte antisociali e devianti degli adolescenti

Attualità & Cronaca

Di

di Vittorio Bilardi

Nei confronti degli adolescenti in ogni epoca ed in ogni tempo sono stati descritti dalle cronache preoccupanti ed allarmanti incrementi delle condotte che si oppongono alle norme sociali, ai valori ed ai principi della comunità di appartenenza. Il comportamento ribelle degli adolescenti colpisce l’attenzione per il brusco modificarsi dei comportamenti che avviene nell’arco di pochi mesi. Nell’infanzia infatti il bambino sente il bisogno di integrarsi e di condividere gli aspetti sociali e comportamentali del mondo adulto: il bambino imita e vuole essere come il genitore. Con l’arrivo della pubertà e l’inizio dell’adolescenza al bisogno di integrazione subentra una brusca e repentina messa in discussione delle norme degli adulti, con la messa in atto di comportamenti aggressivi e trasgressivi.

Secondo gli esperti della psicologia evolutiva, è proprio dell’adolescenza il bisogno massimo di trasgredire le regole sociali e le norme comportamentali di qualunque natura esse siano. Quanto più gli adulti, gli educatori, gli insegnanti ed i rappresentanti dell’autorità, come ad esempio le forze di polizia, impongono regole e norme, tanto più si stimola nell’adolescente il bisogno della ribellione e della trasgressione. Non sono quindi le imposizioni e le restrizioni sempre più aspre e repressive che possono mitigare questo bisogno adolescenziale, solo il sostegno affettivo familiare potrebbe essere in grado di aprire una breccia nel muro delle opposizioni e delle ribellioni, e permettere al giovane di accettare prima le regole familiari e poi quelle sociali. All’immatura ed indefinita personalità dell’adolescente non necessariamente serve una opposizione per esprimere se stessa o una forma iniziale di identità personale. Non più bambini, non ancora adulti gli adolescenti vivono in un mondo sospeso dove tutto è proiettato al futuro, a quello che sarà, a quello che succederà. L’unico modo per sperimentare un’attualità è opporsi, ribellarsi, rifiutare le regole della civile convivenza. E questa opposizione avviene non solo verso il mondo degli adulti, ma anche nei confronti dei coetanei stessi. In questo contesto evolutivo, psicologico e sociale prendono facilmente forma svariati comportamenti antisociali e devianti. Fra questi, emergono come prevalenti tre tipi di condotte devianti di rilevanza penale: la violenza e l’aggressione fisica, il vandalismo ed il furto, la disubbidienza e la menzogna.

  1. – la violenza e l’aggressione fisica – il facile ed immediato ricorso all’aggressione ed all’attacco fisico è prevalente non nell’adolescenza, bensì nei bambini molto piccoli che agiscono in modo impulsivo e risolvono con l’attacco fisico qualsiasi forma di contrasto o divergenza con gli altri. I recenti studi sul bullismo scolastico hanno inaspettatamente confermato la sua prevalenza nella scuola elementare, rispetto alle scuole medie inferiori e superiori: la violenza scolastica è massima nella scuola elementare. Statisticamente le liti violenti, le risse, agli attacchi aggressivi sono dunque prevalenti nella scuola elementare rispetto alle scuole di ordine superiore. Tuttavia c’è da aggiungere che in quei bambini, che d’abitudine ricorrono alla violenza ed all’attacco fisico, allorquando questo comportamento permane anche nell’età adolescenziale, la condotta aggressiva diviene più eclatante e distruttiva per l’incremento della forza e delle potenzialità offensive legate alla crescita fisica ed alla potenza muscolare, minime nell’infanzia e massime nell’adolescenza.

Quei bambini quindi che hanno imparato da piccoli ad interagire in modo aggressivo e violento con il mondo circostante tendono a mantenere stabile questo comportamento anche nelle età successive ed in modo particolare nell’adolescenza. Dietro queste osservazioni sono state effettuate anche delle ricerche di tipo genetico, per cercare nei cromosomi una particolarità, una causa biologica scatenante. Tuttavia nessun elemento di tipo genetico o biologico è stato riscontrato come pertinente e quindi gli studiosi sono giunti alla conclusione che la stabilità del comportamento aggressivo si deve alla modalità di rinforzo legata al modo altrettanto aggressivo e violento con cui gli altri rispondono a questa condotta. Vale a dire che l’adulto od il coetaneo che risponde con altrettanta aggressività stabilizza e cronicizza nel bambino l’idea che il mondo va affrontato “a muso duro”, picchiando, lottando, aggredendo. Con il subentro della ragione dunque non si mitiga né si riduce questo comportamento, non si trasforma il pugno con una frase, con un discorso, il conflitto non apre la strada ad un dialogo, bensì si organizza l’attacco in modo più studiato, premeditato, efficace. In quegli adolescenti in cui permane una condotta aggressiva, questa nel tempo diviene stabile, gravemente lesiva, pericolosa.

Essendo quindi molto visibile per i danni e le conseguenze che vengono prodotti ecco che l’aggressività di pochi adolescenti facilmente induce ad estendere l’antisocialità di un adolescente a tutti gli adolescenti, effettuando una generalizzazione che caratterizza e penalizza un’età con una specifica e negativa condotta comportamentale. Gli adolescenti maggiormente propensi all’aggressività fisica sono prevalentemente maschi, prevalentemente studenti delle scuole tecniche e professionali e rientra in questo tipo di condotta anche il bisogno di “fare colpo” sulle ragazze con pubbliche esibizioni di forza. Solo crescendo si percepisce il reale effetto che l’aggressività esibita produce sulle ragazze: solo col tempo il ragazzo comprende che si è interessanti solo se non si è aggressivi. Un ulteriore dato interessante al riguardo dell’aggressività adolescenziale maschile deriva dall’osservazione sperimentale che la condotta aggressiva prevale nei ragazzi che praticano uno sport agonistico. Evidentemente nei gruppi sportivi è tollerata, anzi è favorita, la messa in atto dell’aggressività come espressione dell’agonismo sportivo.

L’aggressività fisica adolescenziale è quindi collegata alle difficoltà relazionali, alle scarse competenze sociali ed all’abitudine a risolvere i conflitti attraverso l’attacco e la prevaricazione.

  1. – il vandalismo ed il furto – negli atti di vandalismo e nel furto l’adolescente esprime alcune delle motivazioni patologiche già osservate nell’aggressività e nella violenza, in questo caso non dirette verso una persona od un coetaneo, ma verso un oggetto da lui posseduto oppure verso un oggetto pubblico, la cui valenza sociale esprime e raccoglie tutta la rabbia dell’adolescente verso la società. Nel vandalismo prevalgono altre valenze psicologiche, come ad esempio il marcato rifiuto del mondo adulto, compreso il mondo scolastico, e di tutto quello che in qualche modo rappresenta un pubblico valore sociale condiviso. Sono presenti in queste condotte anche bisogni di espressione di forti emozioni, di liberazione di insopportabili frustrazioni o di stati d’animo intollerabili.

E’ infatti la richiesta di sperimentare delle forti emozioni che spinge l’adolescente a guidare in modo spericolato, a rischiare banalmente la propria vita in stupide dimostrazioni di coraggio (vedi finestra sui “giochi pericolosi”) oppure nel fumare spinelli o bere cocktail di psicofarmaci ed alcol. Il picco delle condotte antisociali, ribelli e pericolose in tutto il mondo si colloca tra i 16 ed i 17 anni, quindi sono implicati non solo fattori sociali, ma anche tipici ed universali fattori psicologici evolutivi. Attraverso le condotte rischiose ed antisociali il giovane sperimenta un propria forma di identità, sente per la prima volta di essere qualcuno e qualcosa, non solo per la “visibilità” pubblica dei suoi atti, ma anche per l’essere diventato comunque un “eroe”, anche se spesso purtroppo un “eroe negativo”. In alcune società tribali questo bisogno adolescenziale viene in qualche modo “istituzionalizzato” con delle prove di coraggio che rappresentano degli obbligati riti di passaggio dal mondo bambino al mondo adulto. In una società in cui è fondamentale apparire per sentirsi vivo, per essere, ecco che assume importanza anche il “segno” lasciato sul muro, sulle vetrine, sui mezzi pubblici, sui monumenti e sulle statue, sulle macchine.

Tutti segnali di sé non altrimenti esprimibili con il linguaggio, poiché questo comporta un ascolto da parte di adulti, che spesso sono assenti, od un confronto con altre idee ed opinioni a cui non sono abituati. Inoltre assume importanza anche il possesso di un oggetto, come il telefonino, il motorino, un capo di vestiario, un “feticcio” in grado di riprodurre il simbolo di uno status, di una certa identità sociale e di una facile riconoscibilità tra coetanei. Nell’adolescente è massimo il bisogno di differenziarsi dagli adulti ed al contempo di integrarsi nel gruppo dei pari, di uniformarsi completamente alle scelte del gruppo di appartenenza. Se l’integrazione e l’omologazione non riesce, per motivi economici o sociali, ecco che si producono frustrazioni, marcate emozioni negative che richiedono sfoghi distruttivi vandalici oppure il bisogno del furto, per appropriarsi comunque di oggetti di cui si ha un estremo ed incontrollabile bisogno. Nessuna di queste azioni viene accompagnata dalla riflessione o dalla consapevolezza degli effetti che possono essere prodotti nell’altro o dalle future conseguenze giudiziarie: si agisce senza pensare, senza riflettere, dietro la fortissima spinta del comportamento emotivo e compulsivo.

Adolescenti non in grado di prevedere dunque le conseguenza dei propri atti o non in grado di capire gli effetti emotivi e psicologico delle proprie gesta sulle altre persone. Questa incapacità non è una caratteristica tipica dell’età in quanto potenzialmente sono in grado di effettuare entrambe le riflessioni. In realtà esprimono una marcata carenza educativa, che non ha permesso loro la maturazione della consapevolezza degli effetti delle proprie azioni sugli altri e sul futuro. Il pensiero ipotetico e deduttivo compare intorno alla pubertà e si afferma proprio nell’adolescenza quando il ragazzo inizia a rimuginare sempre più sugli altri, sul suo futuro, sugli studi, sul lavoro, sulla vita che vorrà realizzare.

3 – la disobbedienza e la menzogna – nell’adolescenza è molto diffusa l’abitudine alla violazione della regola della sincerità per cui si mente facilmente per nascondere, agli adulti, agli insegnanti, ai genitori, le proprie vere azioni. Questo tipo di violazione della norma della sincerità è parimenti diffuso sia tra i maschi e che tra le femmine ed alcune indagini psicologiche hanno evidenziato che ben oltre il 50% dei ragazzi e delle ragazze mente abitualmente ai propri genitori. Mentre le altre condotte antisociali hanno il picco di incidenza sui 17 anni, la tendenza a mentire cresce con l’età ed è massima proprio in quei giovani adulti che dovrebbero integrarsi nel mondo del lavoro e nelle relazioni sociali ed affettive, ma da cui ne rimangono sempre più estraniati e distanti.

Allo sviluppo della cosiddetta maturità non segue quindi l’abitudine alla sincerità, al dialogo ed al confronto, ma ad un modo sempre più raffinato ed efficace di sottrarsi alla volontà altrui e di agire di nascosto in base alle proprie scelte. Dietro questi ragazzi si trova spesso una situazione familiare molto disgregata in cui i genitori o non ci sono o è carente il dialogo che c’è stato e c’è con loro, genitori che non offrono alcuna disponibilità né sostegno affettivo. La famiglia in ogni caso gioca un ruolo importante sia per l’affermazione che per la prevenzione delle condotte antisociali e devianti. La famiglia è il primo nucleo sociale in cui si muove il bambino e ciò che impara in famiglia lo trasferisce poi negli altri contesti, a cominciare dalla scuola. La famiglia dovrebbe saper coniugare le regole, il controllo, le norme da rispettare con l’affetto, il dialogo ed il sostegno. I bambini, i ragazzi, gli adolescenti possono accettare le regole della convivenza civile solo se accompagnate da rispetto, ascolto e sostegno affettivo. Il rispetto ed il sostegno affettivo promuovono la capacità di assumersi delle responsabilità e di saper negoziare le proprie esigenze con quelle altrui. Dopo la famiglia è la scuola ad assumere il ruolo importantissimo della formazione al rispetto delle regole sociali. La scuola è la prima istituzione che il bambino incontra ed il rapporto che si verrà a creare rappresenterà il modello con cui in futuro il giovane e poi l’adulto instaureranno il loro rapporto con la società.

E’ stato osservato che un buon inserimento scolastico facilita anche un buon inserimento lavorativo ed un basso sviluppo di condotte antisociali e devianti. La scuola quindi non deve fornire solo informazione e cultura, ma anche un insieme di regole e di norme, adeguatamente esplicitate e motivate, la cui violazione deve essere seguita da sanzioni proporzionate e certe. È la scuola che deve promuovere l’assunzione di responsabilità che aiuterà poi il giovane a non lasciarsi coinvolgere dai comportamenti devianti o a rischio. La famiglia prima e la scuola poi devono sviluppare nel giovane le competenze sociali e comunicative, devono promuovere l’elaborazione di uno scopo personale, delle strategie per realizzarlo e la capacità di valutare le proprie prestazioni, la capacità di assumersi degli impegni e di esserne responsabili.

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