“Fare antimafia non significa giocare a guardie e ladri ma conquistare diritti”

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L’antimafia palermitana è di nuova divisa, ma c’è chi propone una ‘terza via’: “Non mi accontento di un concetto vuoto di legalità, me lo insegnò Rita Borsellino”, spiega Mariangela Di Gangi, voce storica del volontariato nel capoluogo siciliano

(AGI) – Sono cinque i giorni che separano la festa di Santa Rosalia dal ricordo della strage in via D’Amelio: se il 14 luglio Palermo sembra muoversi all’unisono e in festa e dimenticare la spietata divisione tra ricchi e poveri, avvicinandosi al 19 luglio diventa chiaro che quest’ultima non è finita con la caduta Cosa Nostra, avvenuta sotto i colpi della repressione guidata dallo Stato, e che la mafia cresce e si nutre del degrado sociale.

“Fare antimafia non significa giocare a guardie e ladri: stimo il movimento delle Agende rosse, ed è bene che si parli di legalità, ma se lo Stato garantisse i diritti, non vi sarebbe bisogno per loro di dover affrontare vie illegali. Non ho mai giustificato i ragazzini che spacciano, ma non me la sento di condannare loro prima di chi li mette in condizioni di poter vivere solo spacciando.E tutto questo me lo ha insegnato la mia maestra di vita: Rita Borsellino“, spiega all’AGI Mariangela Di Gangi, voce storica del volontariato nei quartieri popolari del capoluogo siciliano. Consigliere comunale, 38 anni, dal 2012 al 2022 presidente di Laboratorio Zen , Di Gangi propone una ‘terza via’ alll’antimafia palermitana, lontana sia dai protocolli istituzionali delle ricorrenze sia dai “fanatismi” di alcuni segmenti della società civile. E si lascia “ispirare” dalla ‘Santuzza’: “La nostra città – dice – non poteva che avere una patrona come Santa Rosalia, con la sua storia di ribellione, liberazione e servizio”.

In vista dell’anniversario della strage di Via D’Amelio, Di Gangi non rinuncia a voler stare nel movimento dell’antimafia ‘sociale’ e ribadisce di aver partecipato il 23 maggio scorso al corteo non istituzionale che contestò il palco delle celebrazioni all’Albero Falcone, ma spiega il senso della sua opera di ‘mediazione’ affinchè il 19 luglio non si ripetano gli scontrini visti nel giorno del ricordo della strage di Capaci, quando “è venuta a galla e si è manifestata una modalità differente di stare negli anniversari delle stragi e degli omicidi di mafia”. “In realtà questa differenza di visione c’è sempre stata, ma in vista di ogni 19 luglio – sottolinea Di Gangi all’AGI – ho sempre mediato con una parte molto distante da me”.

Il 19 luglio vede sfilare tradizionalmente in via D’Amelio un corteo della destra, che in Paolo Borsellino, militante da giovane per quella parte politica, ha indicato una propria icona: “Per tanti anni, quando lavoravo con Rita Borsellino e davo il mio piccolo contributo per l’organizzazione della manifestazione dell’anniversario della strage del 19 luglio – ha scritto Di Gangi su Facebook il giorno dopo gli scontri – io sono stata colei che ha avuto l’onere e l’onore di coordinare, di concerto con la famiglia , le diverse presenze in quella piazza, che andavano dagli scout a tante associazioni, dalle Agende Rosse alle rappresentanze istituzionali,passando per i bimbi e le bimbe dei quartieri Ho avuto dunque anche l’ingrato compito di ‘trattare’ coi promotori del corteo promosso dalla destra cittadina e che ogni anno approdava in via D’Amelio. Si, proprio io che ero la ‘comunista’ e che politicamente ero forse la meno appropriata a dialogare coi ‘fascisti’, mi armavo (tanto quanto loro, immagino) di santa pazienza e ci accordavamo su percorsi e orari, nel comune intento di evitare tafferugli e che una giornata importante per tutti e tutte potesse essere macchiata da polemiche. Perché questa era la volontà della famiglia Borsellino: niente scontrini in via D’Amelio. Mi sono presa della democristiana da alcuni e della collaborazionista da altri. E pazienza. Ma ogni sera del 18 luglio, per anni,andavo a dormire certa che tutte le modalità di stare in quella piazza fossero preventivamente in condizione di non configurare, se non politicamente”.

“E – continua in questa intervista all’AGI – se la famiglia Falcone ha scelto di istituzionalizzare quell’anniversario, a mio avviso la famiglia Borsellino ha scelto di mettere a disposizione per la città quel ricordo evitando un’ingessatura istituzionale che potesse in qualche modo compprimere il pensiero che viene fuori da quella piazza.Paolo o di istituzionalizzare quell’anniversario, a mio avviso la famiglia Borsellino ha scelto di mettere a disposizione per la città quel evitando ricordo un’ingessatura istituzionale che potesse in qualche modo compprimere il pensiero che viene fuori da quella piazza.Paolo(Borsellino, ndr) non è di destra nè di sinistra, Paolo è della citta’, Paolo è di chi crede nei valori dell’antimafia e di chi crede che le istituzioni debbano essere libere da dinamiche che lui stesso combatteva”.

Resta cruciale il tema del rapporto con le istituzioni, con chi in un dato momento le incarna: “Se fai memoria – spiega – quelle possono andare bene, perchè un ruolo la memoria lo ha nella crescita di un paese; poi, però c’è l’impegno per cambiare le cose, che non può coincidere con il “volemose bene”. Le verità giudiziarie e gli arresti non bastano: serve che clientelismi, favori e prevaricazioni, tutto quello su cui le mafie basano il consenso, non siano più necessari : qui non c’è stata alcuna vittoria, i diritti sociali hanno subito ulteriori contrazioni.Il problema non sono personaggi condannati o con connivenze certificate con alcuni mondi;il problema è che non ci siamo emancipati da un sistema che ancora oggi è egemone.Non c’è stato l’avanzamento che consenta a un giovane dello Zen di prendere una strada diversa dallo spaccio.Non mi sono mai concentrata sui processi: le verita’ storiche servono, ma chi si impegna deve mettere sassolini ogni giorno affinchè quelle cose non debbano più accadere. E ciò che mi ha insegnato a Rita Borsellino: io, come lei, ho scelto di impegnarmi politicamente anche nelle istituzioni e di fare in modo che lo Stato sia occupato da persone che non sono Stato. Fare antimafia significa togliere il sistema di intermediazione, ad esempio dare la possibilità al cittadino di farsi togliere il cassonetto dell’immondizia davanti casa senza doversi rivolgere al consigliere della circoscrizione. Diritti e non favori, questa è antimafia”.

E’ per questo motivo che il corteo del 23 maggio ha contestato la presenza di Roberto Lagalla , sindaco di Palermo, sul palco delle celebrazioni? Perché non è stato fatto lo stesso con Leoluca Orlando, che accusò Giovanni Falcone al Csm e da sindaco di Palermo ha lasciato che la città cadesse di nuovo in mano all’intermediazione clientelare? “Quando Falcone fu accusato da Orlando, prima delle stragi, – risponde Di Gangi – non era facile capire da che parte stare. Per il resto non mi sono mai ‘schifiata’ di andare dentro le istituzioni per cambiare le cose. Penso che esistano tentativi : guardo ai fatti, e Falcone provoò a usare il proprio potere, usandolo bene, ma erano anni in cui lo scontro politico era forte Mi si chiede se Lagalla è come Ciancimino.Ho contezza di Ciancimino attraverso la storia e non ho ragione di credere che sia così, non mi spingerei mai dire una cosa del genere. Credo però che in questa città vi siano dei sì e dei no da dire, e Lagalla non è stato così netto. Con Lagalla posso parlarci, ma ciò non significa andare d’accordo: credo di essere rimasta coerente dicendo in Consiglio comunale le ragioni per cui la città non meritava questo governo. Uso i termini ‘mafia’ e ‘mafioso’ – prosegue – con grande cautela: altrimenti si arriva a dire che tutto è mafia e niente è mafia. Lagalla non è mafioso, nella sua giunta non ci sono mafiosi, ma esiste anche la corruzione, esistono le clientela”.

“Quanto a Orlando – aggiunge – anche quella giunta ha fatto meno di quanto si poteva fare per creare le condizioni affinchè le persone possano emanciparsi dalla criminalità organizzata. Non dipende tutto, naturalmente, dall’amministrazione comunale. Le mafie sono cambiate, e dieci anni allo Zen mi hanno fatto capire che lì non c’è mafia ma criminalità e illegalità come unico strumento per vivere.Il centrosinistra non si è battuto abbastanza.C’è una perdita di credibilità che la mafia sia un disvalore e l’antimafia un valore mi sembra condiviso, ma bisogna spiegare ai ragazzi che non si tratta di formule vuote. La rivoluzione non l’abbiamo fatta, abbiamo fatto memoria e non impegno.Su determinate cose, però, la giunta Orlando era chiara, netta e limpida, almeno nei simboli e nel linguaggio. Stessa chiarezza non vedo dall’altro lato”.

A Palermo sembra tornata l’antimafia dei diktat ideologici, quella di un movimento che scomunicava chiunque non fosse d’accordo con loro, come Leonardo Sciascia o lo stesso Giovanni Falcone. “Fanatismo e legalità sono speculari: si tratta di steccati. Per esempio delle Agende rosse, che pur stimo per il lavoro che fanno in alcuni quartieri come la Kalsa, non condivisi quel dare patenti di antimafia sulla base di sentenze, procedimenti giudiziari, così come mi sta stretta l’esaltazione del ruolo della magistratura o delle forze dell’ordine: non stiamo giocando a guardie e ladri, sono un terzo e voglio giocare pure ma in altro modo, lontana da un concetto vuoto di legalità”.

Chi guida realmente il movimento antimafia oggi a Palermo? “La Cgil e Our voice – risponde – hanno avuto un ruolo importante, ma non credo si tratti di una guida. Dentro il movimento ci sono persone ben strutturate, con una storia. Non vedo leader, al momento, e Palermo non è fatta per protagonismi . Guarda cosa è accaduto allo Zen (il quartiere dove è stata arrestata una presieduta considerata simbolo nella lotta alla mafia, ndr). Lo Zen è molto resiliente agli eroismi, ma chi ha raccontato in questi anni quello che accadeva llì era molto distante da quel posto.Se qualcuno avesse approfondito come veniva gestita l’assistenza durante il lockdown, si sarebbe accorto che esisteva una rete di associazioni di cui la scuola Falcone non faceva parte.Nel consiglio comunale che si è tenuto allo Zen abbiamo preso impegni che molto hanno a che fare con l’antimafia: un ragazzino di lì per arrivare alla scuola superiore deve superare le forche caudine, perchè non c’è l’autobus, e se c ‘è è piccolo; e se arriva in ritardo la professoressa ti guarda male. Poi ti ritiri da scuola e magari fai l’ambulante, arriva lo Stato e ti chiede la licenza. C’è una Palermo che va a grande velocità e l’altra lentamente, con difficoltà anche a rappresentarsi. E’ un problema che riguarda la politica tutta, da destra a sinistra inclusi i populisti. Fare antimafia significa confrontarsi con questo tema, racchiuso in un modo di dire: ‘Cu non n’avi pititto (fame, ndr),

© (AGF) –  Paolo Borsellino (AGF)

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