Chi è la madre surrogata?

Interviste & Opinioni

Di

Editoriale

di Antonio Peragine e Daniela Piesco

La madre surrogata è colei che porta a termine una gravidanza per conto di altri.Più nel dettaglio, la madre surrogata è una donna che “si presta” a condurre una gravidanza, fino al parto, per conto di persone che non possono avere figli per diversi motivi. L’atto di portare a termine una gestazione per altri prende il nome di maternità surrogata. Tuttavia, nel linguaggio comune, riferendosi a questa particolare pratica, non è raro sentir parlare anche di “utero in affitto”.

L’intraprendere un percorso di surrogazione di maternità non è un atto consentito ovunque. Difatti, ciascuno Stato è provvisto di una propria legislazione in merito. In Italia, ad esempio, la legge vieta a qualsiasi donna di diventare madre surrogata.

I genitori intenzionali o committenti

Con il termine maternità surrogata, dunque,si definisce la pratica in cui una donna si obbliga contrattualmente a portare avanti una gravidanza per conto dei cd. genitori intenzionali o committenti. Viene così impiantato nel suo utero un embrione creato artificialmente mediante inseminazione o fecondazione in vitro di un ovocita di donatrice anonima (o della stessa madre surrogata o della madre committente) e del seme del padre intenzionale (o di donatore anonimo).

Si distingue tra maternità surrogata tradizionale e maternità surrogata gestazionale a seconda che l’ovocita fecondato con seme del padre committente (o di donatore di gameti maschili) appartenga rispettivamente alla madre surrogata o a una donatrice anonima (o più raramente alla madre intenzionale). La madre surrogata si impegna altresì a rinunciare a qualsiasi diritto sul bambino al momento della nascita: il neonato viene affidato immediatamente ai genitori intenzionali e il rapporto di genitorialità legale viene quindi stabilito in favore di entrambi o del solo genitore intenzionale-genetico, in base alla normativa locale applicabile, secondo modalità giuridiche diverse (quali, ad esempio, il rilascio di un certificato di nascita o l’emissione di un provvedimento giurisdizionale successivo al parto che attesti la co-genitorialità della coppia committente sul bambino).

Sul piano etico/giuridico

A causa dei rischi di sfruttamento della madre surrogata e dei pericoli legati al traffico di minori, tale tecnica procreativa è oggetto di accesi dibattiti sul piano etico-giuridico. Essa è variamente disciplinata a livello statale: in alcuni ordinamenti è ammessa, in altri è vietata, in altri ancora è meramente tollerata, senza essere in alcun modo disciplinata. L’ordinamento italiano vieta e sanziona penalmente qualsiasi ricorso alla maternità surrogata (art. 12, 6° comma, legge n. 40/2004 recante norme sulle tecniche di procreazione medicalmente assistita).

Il cd turismo procreativo

Le profonde divergenze normative esistenti a livello statale circa l’ammissibilità e la regolamentazione della maternità surrogata, oltre all’assenza di norme uniformi a livello internazionale, spingono sempre più coppie e singoli a recarsi all’estero al fine di realizzare ivi il proprio progetto parentale, allorquando quest’ultimo è vietato o anche soltanto disciplinato più severamente nello Stato di appartenenza (cd. “turismo procreativo”). Nella prospettiva internazionalprivatistica, l’istituto della maternità surrogata viene in rilievo rispetto alla domanda di riconoscimento dello status filiationis del minore nato all’estero a seguito di maternità surrogata proposta nello Stato di origine dei genitori intenzionali, quando nello Stato richiesto tale pratica è vietata o regolata con condizioni più stringenti rispetto alla normativa applicata nello Stato di nascita.

La questione può chiamare in causa diverse norme di diritto internazionale privato a seconda che lo status di figlio sia contenuto in provvedimenti stranieri di natura amministrativa (certificato di nascita straniero) e/o giudiziaria (provvedimento con cui si attribuisce prima o dopo la nascita la co-genitorialità legale a entrambi i genitori intenzionali a prescindere dal legame genetico di questi ultimi con il minore: es. parental order del Regno Unito).

Sul punto la giurisprudenza della Corte europea

Sul punto la giurisprudenza della corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa in diverse occasioni a partire dal 2014. È ormai consolidato il principio di diritto enunciato nelle cause “gemelle” Mennesson c. Francia e Labassee c. Francia (2014), ove la Corte ha riscontrato la violazione del diritto all’identità personale (art. 8 CEDU) dei minori nati all’estero a seguito di maternità surrogata in relazione al rifiuto opposto dalle autorità francesi di trascrivere i certificati di nascita di questi ultimi laddove uno dei genitori intenzionali (il padre) sia anche il genitore genetico dei minori. Tale principio, enunciato rispetto a una coppia di cittadini francesi, eterosessuali e regolarmente coniugati in Francia, è stato poi applicato anche in altri casi (Foulon e Bouvet c. Francia; Laborie c. Francia). Più di recente, nel primo parere consultivo reso dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo il 10 aprile 2019 in forza del Protocollo 16 allegato alla CEDU, la Corte ha affrontato il profilo della tutela convenzionale della domanda di riconoscimento della responsabilità genitoriale legale in favore della madre intenzionale-non genetica.

La giurisprudenza italiana

Dopo alcune pronunce più risalenti sul riconoscimento in Italia del rapporto di filiazione straniero derivante da maternità surrogata, la giurisprudenza italiana sul tema sembra aver sviluppato due diverse linee di tendenza. Da un lato, in forza degli obblighi di tutela sanciti dall’art. 8 della CEDU derivanti dal principio Mennesson c. Francia e Labassee c. Francia, l’ordinamento giuridico italiano riconosce il rapporto di filiazione in questione rispetto al solo genitore genetico (ossia il partner maschile di una coppia eterosessuale o omosessuale). Dall’altro, esso nega, per contrasto con l’ordine pubblico, il riconoscimento dello status parentale con il genitore intenzionale-non biologico (ossia il partner maschile o femminile di una coppia omosessuale o eterosessuale), imponendo, in via alternativa, al genitore intenzionale la possibilità di ricostituire in Italia il proprio legame parentale attraverso la domanda all’autorità giudiziaria italiana dell’adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44, lett. d, della legge n. 184/1983 (Cass., sez. un., sentenza 8 maggio 2019, n. 12193).

Tale posizione resta tuttora invariata nonostante le questioni di legittimità costituzionale proposte dinanzi alla Corte Costituzionale italiana con ordinanza della Corte di cassazione del 29 aprile 2020. La Corte Costituzionale infatti si è pronunciata con sentenza n. 33/2021 ove ha dichiarato infondate le questioni sollevate invitando contestualmente il legislatore italiano a statuire quanto prima in materia.

Conlusioni

La motivazione a diventare madri surrogate va dal desiderio di dare la gioia di un figlio a un’altra donna (il caso più frequente per chi ha figli, ha una famiglia e lo fa gratuitamente) al bisogno di denaro. Dal punto di vista etico due sono le posizioni. Da un lato i contrari, per ragioni morali e perché vedono questa opportunità come un bieco sfruttamento della capacità riproduttiva della donna, specie nei Paesi poveri. Dall’altro chi la ritiene corretta, se le parti in causa sono tutelate da leggi internazionali condivise per una maternità surrogata equa (Fair Trade Surrogacy). Anche la coppia committente può in effetti essere abusata dal punto di vista economico ed affettivo, quando spende cifre da capogiro (spesso intascate dalla clinica) e/o quando la madre surrogata si tiene il bambino perché ha cambiato idea.

Per i fautori della legge vale la regola generale della teoria sociale dei contratti, che vede l’individuo come “uomo economico” con motivazioni morali e/o politiche per soddisfare desideri individuali. Se questo contratto è biologicamente fattibile, dicono, non resta che regolamentarne i termini, anche considerando che la ricerca di madri surrogate in Paesi poco costosi pone problemi critici di diritto internazionale, prevenibili con un’unica regolamentazione legislativa.

E il bambino? E le emozioni e le dinamiche in gioco

Antonio Peragine e Daniela Piesco

direttore@corrierenazionale.net

foto tempi.it

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