Intervista all’insegnante ed editore autarchico Matteo Totaro

Puglia

Di

foto di copertina di Daniele Ferroni

Matteo Totaro è un giovane insegnante, editore e tipografo, originario di Manfredonia per cui non vale l’espressione riservata ai professionisti del mondo del libro di oggi, Vanitas vanitatum, ovvero ossessionato dalla visibilità, dalla politica, e dalla spocchia.

Totaro vive a Monte Sant’Angelo fino al termine degli studi classici, quando si trasferisce a Bologna per frequentare la facoltà di Lettere dell’Alma Mater Studiorum. Amante della poesia e della musica, soprattutto grazie a Eugenio Montale, intraprende un percorso di ricerca sulla poetica del cantautore Paolo Conte e si laurea con una tesi sullo scrittore e libraio Roberto Roversi.

Vincitore di concorso indetto per l’insegnamento nella scuola secondaria, Matteo ottiene la cattedra di Italiano e Storia nel Liceo “Primo Levi” di Vignola. Docente appassionato e scrupoloso, segue i suoi studenti con partecipazione anche nel lungo periodo della chiusura degli istituti a causa del covid, sperimentando nuove forme di apprendimento online.

In una piccola piazza di Monte Sant’Angelo, Matteo Totaro ha aperto la sua private press Officina, in ricordo e memoria di Officina, la rivista fondata a Bologna nel 1955 da Roberto Roversi, Pier Paolo Pasolini e Francesco Leonetti.

Consapevole di quanto sia difficile far innamorare i proprio studenti della letteratura in una società tecnocratica e pubblicare poeti in virtù del fatto che una raccolta cartacea non rappresenta più il raggiungimento di un obiettivo importante per l’autore, ma una semplice tappa di un percorso che spesso si interrompe dopo la prima raccolta, Matteo Totaro è caparbio e determinato a proseguire sulla strada intrapresa muovendosi in uno spazio particolare in cui le regole editoriali ufficiali contano poco, non lavorando su commissione e selezionando con cura gli autori e gli artisti con cui collaborare.

 1 Quando ha iniziato ad appassionarsi alla poesia e come viene trattata in Italia?

È stato con Montale, alla fine del quinto anno di liceo classico. Sono rimasto affascinato dalla musicalità di alcuni versi e dall’originalità di certe immagini. In particolare ricordo la potenza evocativa della poesia “Falsetto” e l’ineluttabilità dell’epifonema con cui si chiude il testo, come l’onda che abbraccia e inghiotte la protagonista Esterina. Poi a Bologna ho conosciuto Roberto Roversi, prima attraverso i testi che aveva scritto per Lucio Dalla, poi personalmente. È stato lui a insegnarmi tutto, ma senza salire in cattedra e assumere il ruolo di Maestro. Mi bastava osservarlo muoversi tra le sue librerie per imparare sempre qualcosa di fondamentale; è stato un apprendimento per osmosi. Devo a lui l’amore per l’oggetto libro e la curiosità per il mondo delle private press che prima di questo incontro mi era completamente sconosciuto.

Che dire, poi, sulla poesia oggi… Conosco direttamente quello che si direbbe “il mondo della poesia contemporanea”, ma solo indirettamente, attraverso libri e riviste, quanto successo negli ultimi decenni del secolo scorso; per questo ogni possibile paragone sarebbe poco significativo. Mi pare comunque che oggi ci sia un grande fermento, dovuto anche alle possibilità che hanno i poeti di raggiungere un numero enorme di lettori attraverso i social. L’abbattimento dei costi di stampa dei libri ha portato a una proliferazione inarrestabile di edizioni, per cui è diventato difficile negli ultimi anni orientarsi nel mondo della poesia, perché chiunque, con un piccolo contributo economico versato alla casa editrice di turno, può pubblicare. Uscire con una raccolta cartacea non rappresenta più il raggiungimento di un obiettivo importante per l’autore, ma una semplice tappa di un percorso che spesso si interrompe dopo la prima raccolta. Sarei curioso di sapere quanti sono i poeti che “smettono” dopo una o due pubblicazioni. Dall’altro lato c’è, effettivamente, anche il mondo “ufficiale” della poesia, fatto di gente molto competente ma che spesso pecca di “amichettismo”, per usare un’espressione brillante coniata dallo scrittore Fulvio Abbate. Ma questo è un altro discorso.

2 Quali sono i maggiori problemi che un docente deve affrontare nella scuola di oggi e cosa manca ancora a quest’ultima?

Parlando della materia che insegno, Lingua e letteratura italiana, di sicuro il primo ostacolo che un docente si trova a dover affrontare è il disinteresse degli studenti per un mondo che questi ultimi ritengono lontano e incomprensibile. È l’incubo in cui sprofonda Alice nel libro di Lewis Carroll, un mondo (apparentemente meraviglioso) in cui il soggetto non ha libertà di agire perché non conosce i principi che lo regolano. A questo problema se ne aggiunge un altro: oggi la scuola non è più l’unica agenzia formativa a cui gli studenti possono rivolgersi, anzi è probabilmente la meno “accattivante” tra quelle disponibili. Questo, in sintesi, il problema strutturale, a cui si aggiungono altre questioni meno importanti ma comunque significative, come l’eccessiva “burocratizzazione”, che nella maggior parte dei casi frena l’entusiasmo anche dei docenti più intraprendenti, o la partecipazione dei genitori degli alunni ad alcuni momenti scolastici dai quali fini a poco tempo fa erano (giustamente) esclusi.

3 Lei che insegnante è? Qual è il suo metodo?

Penso che alla base di tutto debba esserci la sincerità, verso gli studenti e verso la materia che si insegna. Non si può trasmettere ciò che non si ama. Per questo motivo scelgo di focalizzarmi sugli autori che davvero mi piacciono, anche a costo di contravvenire a quelle che sono le indicazioni ministeriali. Mi piace portare in classe le mie passioni; egoisticamente a volte utilizzo la scuola come una palestra in cui sperimentare gli interessi culturali (in primis letterari, ma anche musicali o cinematografici) che coltivo nella vita privata. Ammetto di usare gli studenti come cavie, ma mi pare che l’esperimento funzioni. Quando i ragazzi capiscono che il docente ama davvero quello che porta in classe allora lo ascoltano, si fidano, perché comprendono che non sta mentendo. Per questo motivo non nego ai miei alunni la possibilità di seguirmi sui social, perché lì condivido quasi esclusivamente contenuti culturali e questo rappresenta per loro la prova del fatto che il mio non è solo un lavoro ma una vera passione, quasi una ragione di vita.

4 Come si muove nel mercato editoriale italiano?

Per quanto io la consideri una casa editrice, la mia piccola tipografia si muove in uno spazio particolare in cui le regole editoriali ufficiali contano poco. Non lavoro su commissione e non devo vivere di questa attività; perciò posso permettermi di aprire il mio atelier “per ferie”, quando la chiusura della scuola mi consente maggiore libertà. Seleziono con cura gli autori e gli artisti con cui collaborare e i pochi esemplari dei libretti che stampo vengono venduti privatamente a collezionisti e amici. Non c’è un distributore e non ci sono librerie che hanno in conto vendita i miei lavori: sono un editore autarchico!

5 La soddisfazione più grande che le ha dato la sua Officina del giorno dopo?

Quando ho pubblicato il primo libretto con tre poesie inedite di Roberto Roversi ho ricevuto una telefonata da una giornalista che mi ha intervistato e dedicato una pagina intera nella sezione cultura di Repubblica Bologna. È stato un bel modo per iniziare questa avventura…

 6 Quali autori vorrebbe venissero riscoperti e studiati di più?

Ogni docente è libero di costruire il proprio percorso didattico all’interno del mare magnum della letteratura italiana. Dico sempre ai miei studenti che non esiste “una sola storia della letteratura”, ma tanti possibili itinerari. Certo, alcune tappe sono imprescindibili: non si possono saltare a piè pari Dante, Leopardi, Montale. Se dovessi fare il nome di un autore da riscoprire, ovviamente farei quello di Roberto Roversi, spesso citato per aver fondato con Pasolini la rivista “Officina”, o per aver scritto i testi di tre album di Lucio Dalla, ma più raramente per il suo lavoro di poeta, romanziere, sceneggiatore teatrale e cinematografico.

7 E’ ancora possibile in Italia un’idea di letteratura che sondi le possibilità del linguaggio?

Certo. Mi pare che la maggior parte della poesia contemporanea vada in questa direzione. E a tratti mi pare un limite, se mi è permesso dirlo.

 8 Niccolò Ammaniti dimettendosi dopo aver vinto il Premio Strega, dichiarò a Repubblica: «Non fanno per me queste stanze in cui i libri non contano niente, così come non conta come sono scritti e chi li leggerà, semmai conta quanto potere riescono ad alzare, con quanta polvere copriranno le vergogne di un sistema simile alle logiche di quelli criminali». Lei si rivede in queste parole, cosa ne pensa dei premi letterari in Italia?

È una domanda che bisognerebbe rivolgere agli scrittori più che a me. Spesso mi capita di confrontarmi con loro sull’argomento. Molti condividono le parole di Ammaniti ma poi non si tirano indietro quando c’è da ritirare un premio. Roberto Roversi era davvero irreprensibile da questo punto di vista. Mi confessò di non averne mai ritirato uno (in anni in cui i premi letterari erano molto più importanti di oggi, soprattutto a livello economico). L’unica volta in cui fu costretto a farlo fu quando il postino gli fece firmare una raccomandata davanti al portone di casa. All’interno c’era un assegno a tre zeri per un premio vinto.

9 Le pubblicazioni a cui è particolarmente legato e perché

Mi piacciono i libri belli esteticamente. Chi l’ha detto che un libro non si sceglie (anche) dalla copertina? Da qualche anno sugli scaffali delle librerie mi capita spesso sotto gli oggi una collana di un noto editore italiano che presenta sulla copertina, nell’angolo alto di destra, un taglio in diagonale. Sto aspettando che qualcuno mi spieghi la logica di questa scelta estetica. Scherzi a parte, amo le edizioni stampate in tipografia in pochi esemplari numerati. Potrei citare tanti editori ma mi limito ad Alberto Casiraghy di “Pulcinoelefante”.

10 Prossimi obiettivi e un nome su cui sta puntando.

L’obiettivo principale è sistemare definitivamente la mia tipografia e lavorare con più costanza. Lo scorso anno ho dovuto affrontare un trasloco, e solo i tipografi sanno cosa significa trasferire una tipografia. Le macchine e i caratteri pesano tantissimo: spostare piombo e ghisa non è un gioco da ragazzi. Quindi punto a risistemare il materiale a disposizione e a riconfigurare il mio nuovo spazio in base alle necessità.

Ho letto tanti poeti interessanti negli ultimi mesi ma per scaramanzia non faccio nomi. Sono contento, invece, di aver pubblicato due autori che sono finiti nella cinquina della prima edizione del premio Strega Poesia 2023; mi riferisco a Vivian Lamarque e Stefano Simoncelli. Autori che apprezzo molto e con i quali ho anche un rapporto d’amicizia. La possibilità di incontrare gli scrittori che amo e di collaborare con loro è uno dei motivi principali che mi hanno spinto a intraprendere questa attività un po’ folle. In fondo i libri sono solo pezzi di carta, dotati però di un potere magico: il potere “di far incontrare le persone”, come mi confessò tempo fa Alberto Casiraghy rispetto ai motivi che lo hanno spinto a pubblicare in trent’anni più di 10.000 plaquette!

Annalina Grasso

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