È morto Daniel Ellsberg, l’uomo che con i “Pentagon Papers” fece scoprire le bugie sul Vietnam

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Aveva 92 anni. Si era espresso anche contro l’intervento militare in Iraq e più di recente contro il sostegno all’Ucraina invasa dai russi

Ellsberg passò ai media statunitensi gli studi secretati della Difesa americana sulla guerra del Vietnam. Successivamente si era espresso anche contro l’intervento militare in Iraq e più di recente contro il sostegno all’Ucraina invasa dai russi.

Ellsberg, scomparso nella sua casa di Kensington, California, era malato da tempo: aveva un cancro al pancreas. A marzo in un messaggio inviato per email aveva annunciato la sua malattia e dichiarato che i suoi medici gli avevano dato da tre a sei mesi di vita.

Per tutti Ellsberg resterà l’uomo dei “Pentagon Papers”, la gola profonda che consegnò ai giornalisti 7 mila pagine di rivelazioni da cui emersero le mancanze da parte di presidenti degli Stati Uniti e rappresentanti del Congresso, che avevano mentito agli americani e a migliaia di sodati partiti per il Vietnam.

Nessuno a Washington credeva che la guerra sarebbe stata vinta, ma nessuno aveva mosso un dito per fermarla. Lo scandalo scavò un solco profondo in un Paese già diviso sulla guerra, e provocò la reazione della Casa Bianca, che cercò di screditare Ellsberg, gettando le basi per quello che, di lì a poco, sarebbe stato uno scandalo ancora più clamoroso: il Watergate, dal nome del palazzo in cui lo staff dell’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon aveva montato congegni per spiare le riunioni del partito rivale, quello dei Democratici.

All’epoca Ellsberg venne incriminato per spionaggio, per aver complottato ai danni degli Stati Uniti, oltre a una serie di reati di cui si sarebbe occupata la corte federale di Los Angeles.

Ma poco prima che la giuria si pronunciasse, il giudice aveva rigettato il caso, citando la cattiva condotta del governo, incluso un piano per spiare illegalmente Ellsberg, piazzando microspie nello studio del suo ex psichiatra. “La demistificazione del presidente – commentò Ellsberg – è appena cominciata”.

La sua storia per molti versi fu il riflesso dell’esperienza americana in Vietnam, cominciata negli anni ’50 come un tentativo di contrastare il comunismo in Indocina, e finita nel 1973 con l’umiliante sconfitta di una guerra logorante, in cui erano morti più di 58 mila soldati americani e milioni di vietnamiti e cambogiani.

Ma la vera storia, con tutta l’ipocrisia della guerra, non sarebbe emersa se non fosse stato per un marine di Detroit, nato il 7 aprile 1931, figlio di un ingegnere, partito dal Michigan, un ragazzo che a 15 anni aveva perso madre e sorella in un incidente stradale, causato dal padre che si era addormentato al volante.

Ellsberg avrebbe fatto della sua vita un campione di resistenza: si era diplomato con tutti gli onori, aveva studiato a Harvard e poi a Cambridge, in Inghilterra, laureandosi tra i migliori.

Nel ’54 si era arruolato ed era stato aggregato al battaglione dei marine diretto in Medio Oriente per seguire la crisi di Suez del ’56. Non aveva partecipato ad azioni di guerra, ma grazie ai suoi titoli aveva guadagnato considerazione all’interno dell’esercito, diventando con il tempo analista militare e poi, nel ’64, consigliere del segretario alla Difesa Robert McNamara. Quel nuovo ruolo lo portò dentro i segreti della guerra in Vietnam.

Scelto come esperto militare al fianco del generale Edward Lansdale, Ellsberg per diciotto mesi partecipò a missioni e pattugliamenti, tutte situazioni che gli offrirono una conoscenza di prima mano della situazione americana al fronte.

Ciò che vide, come i massacri dei civili inermi, le morti dei soldati americani, innescò in lui la trasformazione che lo avrebbe portato a raccogliere documenti segreti e comunicazioni di governo, da cui emerse l’ipocrisia e come Washington e il Pentagono avessero volutamente taciuto i rischi e il sicuro fallimento a cui sarebbero andati incontro gli Stati Uniti. Nonostante questo, non avevano fermato la guerra.

Tornato dal Vietnam, Ellsberg era totalmente cambiato: aveva partecipato a conferenza pacifiste. A una di queste, aveva ascoltato le parole di un uomo, Randy Kehler, che aveva annunciato quanto fosse orgoglioso di aver un figlio pronto ad andare in galera pur di non partire per il Vietnam. “Lasciai l’auditorium – racconterà Ellsberg nel libro “The Right Words at the Right Time” – andai nel bagno degli uomini, mi sedetti sul pavimento e piansi per un’ora”.

L’analista cominciò a scrivere lettere ai giornali, si unì alle proteste contro la guerra, scrisse articoli e testimoniò ai processi avviati nei confronti dei renitenti alla leva. Ma l’azione più importante fu quando fotocopiò uno studio condotto dal Pentagono e diede le pagine al senatore William Fulbright, presidente della commissione Relazioni estere, e ad altri rappresentanti del Congresso. Ma tutti si rifiutarono di agire.

Allora, frustrato dall’assenza di reazione, Ellsberg contattò Neil Sheehan, un vecchio giornalista del New York Times conosciuto in Vietnam. Gli diede le chiavi di un appartamento, dove erano depositati i quarantasette volumi del Pentagono. Il giornalista, gli disse, aveva tutto il tempo per consultare i documenti, ma non portarli via. Sheehan non rispettò gli accordi: considerandoli “proprietà del popolo”, fece copie di ognuna delle 7 mila pagine e le portò a New York, dove squadre di giornalisti lavorarono per settimane nella suite di un hotel.

Ellsberg non seppe della mossa del giornalista fino a quando, il 13 giugno del 1971, il New York Times non uscì con la prima delle annunciate nove puntate dello scoop. Dopo la terza, il dipartimento Giustizia ottenne il blocco delle pubblicazioni, ma lo scandalo era ormai fragoroso. Nel frattempo l’analista aveva inviato documenti anche al Washington Post. Il governo lo denunciò.

I “Pentagon Papers” rivelarono il cinismo dei vertici militari e politici. Il tentativo di spiare la gola profonda porterà poi all’arresto di alcune persone, che saranno responsabili anche del Watergate, il caso di spionaggio che avrebbe portato alle dimissioni del presidente Nixon nel 1974.

Ellsberg verrà incriminato per spionaggio ma poi prosciolto. Da allora è rimasto l’icona del pacifismo attivo, della gola profonda del Pentagono, e una voce critica verso tutte le guerre.

Aveva attaccato i presidente George W. Bush per la decisione di invadere l’Afghanistan, dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. E sempre lui aveva criticato la Casa Bianca per la guerra in Iraq.

Nel pieno delle tensioni tra Usa e Cina, l’ex analista aveva parlato di un altro report segreto, che lui stesso aveva copiato, e che indicava come nel ’58 gli Stati Uniti avessero pianificato un attacco nucleare alla Cina, dopo che Mao aveva attaccato le isole controllate da Taipei, nello Stretto di Taiwan. La crisi venne superata quando la Cina fermò gli attacchi.

Da allora Ellsberg si era ritirato a vita privata, in California, dove ha atteso la fine dei suoi giorni. La madre aveva sempre sperato che diventasse un pianista ed era per questo che lo aveva instradato a una rigida educazione musicale, fatta di ore di esercitazione al pianoforte. Un’esperienza bruscamente interrotta nell’incidente in cui la madre e la sorella di Ellsberg persero a vita. Era il 1946 di un giorno che simbolico dell’esistenza della futura gola profonda d’America: il 4 luglio, giorno dell’Indipendenza, il più patriottico di tutti.

 

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