Nicola Bombacci: il Comunista 1921 – 1936

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Come preannunciato, in premessa alle due mie precedenti note critiche sulla figura di Nicolò Bombacci, detto anche Nicola o Nicolino, politico e rivoluzionario italiano della prima metà del XX secolo, pubblichiamo alcuni articoli di approfondimento dello studioso Claudio Usai. Ecco il secondo.

Nicola Bombacci: il Comunista 1921 – 1936 (Seconda Parte)

Di Claudio Usai

Come detto nella prima parte di questo lavoro, per comprendere i termini della crisi democratica della politica italiana tra la Prima Guerra Mondiale e la Marcia su Roma, una piena conoscenza del fenomeno massimilista e degli uomini che lo incarnarono è assolutamente necessaria, in particolare l’approfondimento della figura di Nicola Bombacci. Egli aveva aderito alla scissione del Partito Socialista italiano, avevamo detto, partecipando al primo congresso del Partito comunista d’Italia, venendone a nche eletto membro del Comitato Centrale nel gennaio 1921. Fra il 1920 e il 1921 Bombacci aveva comunque dispiegato al massimo grado la sua attività: aveva fondato e diresse il giornale Il Comunista di Bologna e Imola, organo della fazione comunista; dal febbraio al luglio dello stesso anno fu direttore dell’Avanti comunista, che si pubblicava a Roma e che era un chiaro riferimento polemico alla distizione con l’Avanti socialista. Il suo nome figura inoltre in questo periodo tra i collaboratori, insieme a Bordiga, Gramsci e Terracini, dell’Internazionale comunista svoltasi a Pietrogrado (futura Leningrado) e Roma e dell’Internazionale della gioventù e del Fanciullo proletario. Dopo aver svolto attività “diplomatica” in Urss su incarico del governo Nitti, in realtà il rivoluzionarismo di Bombacci, nella violenza suggestiva delle sue espressioni verbali, che gli sviluppi della situazione italiana misero presto a dura prova, celava un notevole margine di spontaneità irriflessa e irrazionale. Tipiche a questo proposito, le formulazioni contenute nel progetto per la costituzione dei già citati soviet italiani, concepiti astrattamente, in netta contrapposizione con l’esperienza dei consigli di fabbrica; si veda infatti a tal riguardo la polemica avviata sull’Ordine nuovo da Togliatti nel febbraio e nel marzo 1920 e le mai nascoste simpatie per l’Impresa dannunziana e la Carta del Carnaro, in cui Bombacci vide l’espressione di “dinamismo”, che ricorreva anche nel suo discorso di Livorno sulla situazione italiana e internazionale, come un “dinamismo” storico e sociale, non ben analizzato e specificato. La “guerra totale” aveva mutato radicalmente il significato delle grandi passioni collettive del XXI° secolo, “la classe e la nazione”, coniugandole all’interno di una concezione rivoluzionaria e totalitaria della politica, che eludeva la classica partizione destra-sinistra. Che nel dopoguerra vi fosse in atto un rimescolamento fra le correnti rivoluzionarie lo avrebbe dimostrato in modo esemplare, appunto l’Impresa di Fiume. In tal senso non deve sorprendere la simpatia che uomini come lo stesso Bombacci, ma perfino Gramsci, provarono nei confronti del “Vate”. Gramsci definì quella di Fiume “un’occasione perduta” e la sua liquidazione un indubbio indebolimento della classe operaia; Bombacci la definì come “perfettamente e profondamente rivoluzionaria”. Di qui il contrasto che, nel quadro del più profondo conflitto tra bordighiani e ordinovisti, sotteso al processo di formazione di un più omogeneo e saldo gruppo dirigente del nuovo partito, si venne a determinare in forma di questione personale, fra lui e la più solida e ideologizzata compagine comunista. Già al congresso di Roma del marzo 1922, Bombacci, che si stava sempre più accostando ora, alla “destra” incipiente ed eterogenea degli esponenti Tasca e Graziadei e si attestava peraltro sulle posizioni dell’Internazionale moscovita, a favore del “fronte unico politico” (per i comunisti il social-fascismo), a quel punto fuoriuscì dal Comitato Centrale. Nel 1923 aderì definitavamente alla corrente di Tasca, ma nello stesso tempo sollevò nei confronti tanto del partito che del Comintern problemi relativi al suo disagio finanziario. Si aprì a questo punto una complicata vicenda disciplinare e procedurale, che si protrasse per quattro anni, con una prima espulsione e una riammissione nel ‘24 e con la definitiva estromissione dalle file del Pdc’I per “opportunismo” nel ‘27. All’inizio di questa vicenda si collocò, fra l’altro, l’intervento alla Camera dei deputati sul trattato di commercio fra l’Unione Sovietica e l’Italia, in cui il deputato comunista aveva accennato a una convergenza politico-ideologica fra il comunismo russo e il fascismo italiano. Privato dell’appoggio sia comunista sia dell’Internazionale e privato del mandato parlamentare, nel 1921 era stato però eletto nella circoscrizione di Trieste; perseguitato dallo stesso fascismo, che nel 1926 fece devastare la sua casa di Roma, dopo la legislazione speciale di quell’anno, si avviò a compiere “l’atto di dedizione” al nuovo regime. Come nell’estrema sinistra era stato, in fondo, un eccezionale campione del diffuso confusionismo del dopoguerra, così nel suo nuovo atteggiamento portò non poche derivazioni demagogiche del suo recente passato. Negli “anni del silenzio”1926 – 1933, Bombacci continuò a vivere a Roma con la famiglia, mentre la collaborazione con l’Ambasciata sovietica sembrò che non si potè prolungare oltre il 1930. Date le gravi condizioni economiche e di salute del figlio Wladimiro, Mussolini gli concesse alcune sovvenzioni in denaro per le cure del figlio e gli trovò un impiego all’Istituto internazionale per la cinematografia educativa della Società delle Nazioni (IICEE) a Roma. Dal 1933 Bombacci si avvicinò sempre più chiaramente al fascismo, tanto che con il 1935 si può parlare di una vera e propria “adesione”. Dopo un periodo di relativa inattività politica, utilizzando le sue vecchie conoscenze nel campo dei transfughi del sindacalismo e sdel ocialismo, fondò,  la rivista La Verità, che diresse dal 1936 al 1943. Da qui ripartiremo nell’ultima parte di questo lavoro.

Fonti:

  1. Ambrosoli, Né aderire né sabotare, Milano 1961, ad Indicem;
  2. Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra, Milano 1926, pp. 167-173; F. Catalano, Storia del C.L.N.A.I., Bari 1956, p. 147;
  3. Onofri, La grande guerra nella città rossa, Milano 1966, pp. 388-390;
  4. Togliatti, Opere, I (1917-1926), Roma 1967, pp. 755-757;
  5. Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del partito comunista italiano nel 1923-24, Roma 1962, passim;
  6. De Felice, Mussolini, il rivoluzionario, Roma 1965, pp. 20, 97, 368, 554 s., 588; Id., Mussolini, il fascista, Roma 1966, pp. 158, 564;
  7. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, da Bordiga a Gramsci, Torino 1967, adIndicem;

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