Il Def non piace ai sindacati. Critiche da Confindustria

Economia & Finanza

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Il documento di economia e finanza varato dal governo meloni viene bocciato da Cgil, Cisl e Uil. Confindustria approva la destinazione di 3 miliardi al taglio dei contributi sociali ma chiede che il fondo venga integrato

di Andrea Managò

Confindustria

AGI – I sindacati confederali bocciano il Def varato in Cdm la scorsa settimana dal governo di Giorgia Meloni: puntano il dito soprattutto sull’ammontare delle risorse per il taglio del cuneo fiscale, ritenuto insufficiente pur con diverse sfumature. Anche le associazioni datoriali, a partire da Confindustria, nel corso delle audizioni sul Def di fronte alle Commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato, domandano più risorse per il taglio delle tasse in favore dei redditi più bassi per poter contrastare il peso dell’inflazione.

Il giudizio più negativo arriva dalla Cgil che sostiene il documento di economia e finanza “non sia adeguato alla fase che sta attraversando il Paese”. Per il vicesegretario generale della Cgil, Gianna Fracassi, il taglio del cuneo fiscale “è insufficiente, chiediamo si arrivi al 5% e all’introduzione del fiscal drag, ovvero l’indicizzazione delle detrazioni”. Secondo la Cgil, mancano “10 miliardi di euro” necessari per “prorogare le misure di sostegno a famiglie e imprese” già varate in precedenza dal governo Draghi e dal governo Meloni.

Il taglio del cuneo fiscale va integrato

Anche per la Cisl il taglio del cuneo fiscale è “ancora insufficiente”. Il segretario confederale Ignazio Ganga sostiene: “Non sappiamo come e se sarà coperto il taglio contributivo, come saranno garantiti i finanziamenti per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego, per i quali il ministro competente ha dichiarato che occorrono almeno 7-8 miliardi, ma per noi ne occorrono ben di più”.

Mentre la Uil, tramite il segretario confederale Domenico Proietti, sottolinea che si tratta di “un’occasione mancata, era necessario un Def che tracciasse una prospettiva di sostegno a una crescita duratura, invece vediamo tornare indietro verso anni in cui si parlava di austerity e non di sviluppo della nostra economia e questo è un grave errore”. Più positiva l’Ugl, che parla di documento che si muove sulla “linea prudenziale della legge di bilancio”, visto il protrarsi dell’incertezza internazionale, “con un atteggiamento condivisibile”.

Confidustria invece valuta positivamente la destinazione dei 3 miliardi al taglio dei contributi sociali per i lavoratori dipendenti a basso reddito, ma il direttore del Centro Studi, Alessandro Fontana, annota: “Anche se si tratta di un ammontare esiguo che dovrebbe essere integrato con altre risorse da recuperare attraverso un’attenta revisione della spesa”. Poi aggiunge: “Questo intervento porta a 7,2 miliardi le risorse complessive destinate al taglio del cuneo, sommando i 4,2 già stanziati con la Legge di bilancio 2023, che potrebbero far scendere il cuneo per i redditi sotto i 25 mila euro di circa 4 punti percentuali”.

Confindustria fa notare che lo scenario economico, sebbene sia migliore rispetto a qualche mese fa, “appare oscurato da diverse nubi e richiederebbe interventi decisi” per sostenere i redditi delle famiglie meno abbienti, spingere gli investimenti delle imprese e proteggere le imprese dei settori energivori. “Per quanto riguarda i conti pubblici, è positiva la scelta del Governo – aggiunge – di confermare gli obiettivi programmatici di deficit fissati a novembre scorso, che prevedono una riduzione progressiva di deficit e debito”.

Confindustria però avverte: “Solo nel 2024 gli Usa e l’Eurozona sono attesi riprendere slancio. In questo contesto, per il 2023 ci attendiamo una dinamica rallentata del Pil italiano”. Anche Confesercenti, tramite Antonello Oliva, responsabile Ufficio economico, specifica: “Apprezziamo la previsione di destinare con il taglio del cuneo 3 miliardi ai contribuenti fino a 25 mila euro. Occorre pero’ anche riprendere il tema della detassazione degli incrementi retributivi, allo scopo di ridurre ulteriormente le imposte sul lavoro e permettere un recupero più ampio del potere d’acquisto dei lavoratori”.

 

 

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