In Afghanistan c’è l’apartheid di genere

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La denuncia dell’ex viceministra del governo di Kabul Atefa Tayeb fuggita nei giorni del panico all’aeroporto. Ora combatte da Londra per i diritti delle donne afghane

di Francesca Venturi

©  AFP – Donne afgane

AGI – Le donne dell’Afghanistan non si arrendono, e continuano a lottare contro quella che si sta configurando come un vero “apartheid”, una segregazione di genere attuata sistematicamente dal regime dei talebani instaurato il 15 agosto del 2021. Le leggi per impedire alle bambine e alle ragazze di andare a scuole, alle donne di lavorare, e la chiusura dei mezzi di informazione che cercano di opporsi si succedono.

A Roma, l’ambasciatore che rappresenta il governo decaduto della Repubblica islamica di Afghanistan, Khaled Ahmad Zekriya, ha lanciato in questi giorni l’allarme chiedendo che proprio l’Italia si faccia promotrice di un incontro internazionale di contrasto al regime di Kabul.

afghanistan apartheid di genere denuncia viceministra atefa tayeb

Della situazione in Afghanistan ha parlato con l’AGI Atefa Tayeb, che prima dell’avvento dei talebani era viceministra degli Affari parlamentari. E’ stata fra le persone che il Regno Unito ha aiutato a lasciare il Paese in quel tragico momento di 20 mesi fa, e ora si trova all’Imperial College di Londra dove prosegue la sua carriera accademica, con un dottorato sullo sviluppo dell’educazione. È anche molto impegnata nella lotta per i diritti civili delle sue connazionali rimaste a casa, soprattutto per quanto riguarda le questioni scolastiche.

“La mia famiglia – dice all’Agi – è sempre stata impegnata nelle questioni legate all’educazione e ha deciso di investire sulla mia istruzione. Andando contro le pratiche conservatrici nella nostra società, mio padre non solo mi ha consentito di iscrivermi alla facoltà di medicina, ma mi ha anche dato la possibilità di dirigere una scuola privata e un’università, che offrivano opportunità di istruzione a migliaia di bambini e adulti”.

Come donna politica e impegnata nella società civile, al momento del ritorno al potere dei talebani ha dovuto lasciare il Paese: ci può raccontare la sua esperienza?

È vero avevo un incarico politico ma tuttavia la natura della mia posizione era molto tecnica, quella di collegare come un ponte i due pilastri dello stato rappresentati dal governo e dal parlamento. Avendo in precedenza vinto una Borsa di Studio Chevening del governo britannico, nonostante la situazione caotica, Londra è riuscita a farmi partire, assieme a due giovani membri della mia famiglia. Come la maggior parte degli afghani che hanno lasciato Kabul in quei giorni, abbiamo superato ostacoli e situazioni che non si possono nemmeno raccontare, almeno fino a quando non siamo arrivati all’aeroporto. Sono sicura che tutti voi avete visto le immagini di quello che succedeva: noi eravamo parte di quel momento tragico: rimarrà un triste ricordo per il resto dei nostri giorni.

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© AFP

Da quando i talebani sono tornati al potere per le donne in Afghanistan la situazione è drammaticamente peggiorata, di giorno in giorno. Può raccontarci quali sono i problemi principali?

Per capire la situazione delle donne in Afghanistan è necessario entrare nel merito della “cultura politica” talebana. I talebani rappresentano il gruppo più conservatore della società e le donne hanno un valore secondario nel loro sistema di realtà: in altre parole, sono convinti che le donne siano inferiori agli uomini. Pertanto, è una responsabilità innata degli uomini quella di controllarne pensiero, comportamenti e azioni.

Questo sistema di valori si è ora tradotto nella politica del governo.

I talebani hanno vietato alle donne di andare a scuola, lavorare, andare nei parchi pubblici e nei bagni pubblici. Stanno anche cercando di estendere il loro controllo sul processo mentale delle ragazze attraverso un’enorme campagna di propaganda.  Recentemente mi hanno raccontato che i predicatori talebani stanno cercando di influenzare anche il ragionamento della parte moderata della società, con la diffusione delle loro interpretazioni islamiche tribali e ultra-fanatiche. Per riassumere: quello che si sta realizzando in Afghanistan è un vero apartheid di genere, un sistema di governo basato sulla subordinazione completa delle donne in tutti gli aspetti della loro vita.

Certamente avrà ancora molti contatti nel suo Paese: come vivono la situazione le donne e gli uomini che sostengono le loro battaglie, c’è resistenza? Ci sono azioni per contrastare il regime?

 

Beh, le donne non si sono arrese. Nonostante siano state lasciate da sole e alla loro iniziativa, continuano a respingere e a opporsi al regime dei talebani. I movimenti delle donne a Kabul, Takhar e Herat sono la pietra angolare della resistenza civile contro i talebani. E la loro brutale risposta non è ancora riuscita ad aver ragione delle proteste e delle richieste di questi movimenti. Molte attiviste per i diritti delle donne sono state picchiate e arrestate, molte anche giovanissime sono in prigione ora, ma il terrore non le ha fermate: le ragazze ci sono, per strada, sui social media e nei media tradizionali. Vogliono che le loro  voci siano ascoltate: e noi abbiamo tutti la responsabilità morale di ascoltare e amplificare le loro voci.

Poco tempo fa è stata decisa la chiusura di un’emittente indipendente gestita da donne, Radio Sada e Banowan, nella città di Faizabad, nella provincia di Badakhshan a nord di Kabul. Come considera questa ennesima azione contro le donne?

Si tratta di qualcosa che ci aspettavamo dai talebani fin dall’inizio. Loro sono contro la libertà e soprattutto contro i media. Uno dei primi decreti, quando sono salite al potere, è stato quello di vietare alle giornaliste di apparire sugli schermi televisivi e poi di obbligarle a  indossare il velo. Sono loro ad avere il pieno controllo anche sul contenuto dei media, inclusi radio e televisione. Era impensabile che non chiudessero quella stazione radio, permettendo di rilanciare la voce delle donne e la loro denuncia su quanto sta accadendo. Non sono sorpresa.

Come si possono sostenere dall’esterno le lotte per la libertà delle donne afghane? C’è qualche speranza di influire sulle azioni del potere talebano, o la comunità internazionale dovrebbe puntare a un nuovo cambio di regime?

Nei primi tempi del loro ritorno al potere, circolava una teoria ottimistica secondo cui trovandosi di fronte a una società cambiata in 20 anni di politiche per le donne, persino i talebani avrebbero capito che potevano accettarla ed esercitare il potere in un modo diverso. Ma quanto accaduto negli ultimi mesi ci dice che si tratta di un gruppo eterogeneo: come governanti de facto, la loro priorità assoluta è mantenere la loro unità come gruppo ideologico. Mi pare che stiano ignorando le richieste pubbliche, concentrandosi invece sulla politica di appeasement nei confronti del loro naturale elettorato, formato di conservatori. Ma a pagare un prezzo enorme di questo loro gioco sono le persone e soprattutto le donne. I talebani dipendono finanziariamente molto dagli aiuti internazionali: il regime non può reggere nemmeno un mese senza aiuti, e questa è una leva importante. Allo stesso tempo, la comunità internazionale deve essere molto chiara nel suo messaggio a Kabul: nessuna ricompensa per i cattivi comportamenti. I talebani devono percepire che la pazienza della comunità internazionale e quella della popolazione afghana hanno un limite. Quanto al cambio di regime, dobbiamo fare molta attenzione a che cosa vogliamo. Il meccanismo per un cambiamento deve essere esaminato con grande attenzione: la storia dell’Afghanistan è piena di sanguinosi cambi di regime.

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