A Varsavia 170 eventi ricordano la rivolta degli ebrei

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Per commemorare l’ottantesimo della rivolta divampata il 19 aprile 1943, nella capitale polacca sono state previste importanti iniziative come l’inaugurazione della Mostra al Museo Polin

di Marco Patricelli

© Wojtek RADWANSKI / AFP
–  Ghetto di Varsavia

AGI – Oltre 170 eventi culturali di altissimo profilo, in massima parte tra aprile e maggio, per commemorare l’ottantesimo della rivolta degli ebrei di Varsavia divampata il 19 aprile 1943. Per la ricorrenza nella capitale polacca sono state previste diverse importanti iniziative come l’inaugurazione della Mostra al Museo Polin dedicato alla storia degli ebrei polacchi  (Attorno a noi – Mare di fuoco – Il destino dei civili ebrei durante l’insurrezione del Ghetto di Varsavia) con l’esposizione di fotografie inedite scattate segretamente da un pompiere polacco, la celebrazione ufficiale con il presidente della Repubblica Andrzej Duda al Monumento agli Eroi del Ghetto il 19 aprile e in serata il concerto dell’Orchestra sinfonica israelo-polacca diretta da Anna Sułkowska-Migoń al Grande teatro – Opera nazionale, con l’esecuzione dell’8ª Sinfonia op. 53 “Kwiaty Polskie” (Fiori polacchi) di Mieczysław Weinberg sul poema omonimo di Julian Tuwim, e un brano composto per l’occasione da Elżbieta Sikora.

Il capo delle SS Heinrich Himmler voleva fare un regalo di compleanno ad Adolf Hitler avviando le operazioni di liquidazione del Ghetto di Varsavia con la deportazione degli uomini ancora validi, ma la vera sorpresa gliela fecero gli ebrei polacchi alla vigilia della loro Pasqua, il 19 aprile 1943, perché le SS e i poliziotti del SD prima trovarono le strade deserte e poi furono attaccati armi in pugno.

Gli ebrei combatterono senza speranza e senza paura, ribellandosi apertamente ai nazisti che li ritenevano “razza inferiore” e “subumani”, e che il 20 gennaio 1942 nella Conferenza di Wannsee avevano dato il via libera alla “Soluzione finale”: lo sterminio di 11 milioni di ebrei studiato da Reinhard Heydrich era stato deciso da appena 15 gerarchi. La Polonia già nell’immediatezza della conquista e della spartizione nel 1939 aveva conosciuto persecuzioni, deportazioni, uccisioni di massa e sfruttamento del lavoro schiavistico. Nel Governatorato Generale dominava il terrore. In centinaia di ghetti dove gli ebrei erano rinchiusi in condizioni inimmaginabili di sovraffollamento, di mancanza di igiene e di penuria di tutto.

Il lager di Treblinka aveva conquistato già una fama sinistra, perché lì venivano eliminati migliaia di uomini, donne, anziani e bambini rastrellati a ondate nella capitale, in uno spazio recintato con un muro di tre metri che copriva il 2,4% della superficie di Varsavia dove era stato concentrato il 30% della popolazione. In ogni stanza, in media, c’erano da 7 a 9 persone, con un regime calorico insufficiente a sopravvivere, fame, freddo e malattie. Nel Ghetto erano nate organizzazioni armate, per una resistenza disperata, che esplose con quella che è considerata la prima sollevazione popolare antinazista della seconda guerra mondiale.

I tedeschi, superata la prima fase di sconcerto, reagirono sotto la guida del generale SS Jürgen Stroop. Nell’impossibilità di stanare i combattenti ebrei dagli scantinati e dai sotterranei, iniziarono ad appiccare il fuoco a un palazzo dopo l’altro. Quando quelli rimasti intrappolati ai piani superiori preferivano lanciarsi dai balconi avvolti dalle fiamme i nazisti in senso di scherno li chiamavano “paracadutisti”.  Gli insorti avevano pochissime armi, e ancor di meno ne aveva potuto o voluto fornire l’Armia Krajowa, l’esercito clandestino polacco. La sorte degli ebrei era segnata sin dall’inizio.

La rivolta sarà soffocata nel sangue e per i nazisti la questione si sarebbe chiusa ufficialmente il 16 maggio 1943, con la dichiarazione di Stroop dopo la distruzione della sinagoga fatta saltare in aria: “Il Ghetto ebraico di Varsavia non esiste più”. Le SS avevano ottimisticamente previsto che l’insurrezione sarebbe stata domata in tre giorni. Molti esponenti della resistenza preferirono uccidersi piuttosto che cadere in mano ai tedeschi, ancora di più erano caduti in combattimento come il comandante sul campo, il ventitreenne Mordechai Anielewicz.

Circa settemila ebrei che si erano arresi vennero passati subito per le armi dalle SS, più di 55.000 furono deportati nei campi di concentramento e di sterminio. Alcuni, però, rimasero nascosti nel sottosuolo per imbracciare nuovamente le armi al fianco dei polacchi dell’AK nell’insurrezione del 1944.

Stroop scrisse il 24 maggio un dettagliato rapporto per Himmler, minimizzando le perdite tedesche (16 morti  e 85 feriti) e asserendo di aver ucciso nei combattimenti quasi 14.000 ebrei, senza sapere che stava consegnando alla storia la prova di un crimine e la testimonianza di una rivolta intrisa di disperazione, dignità e coraggio. In quel dossier di 75 pagine c’è una foto, tra le 95 a corredo, universalmente nota: un bambino che alza le mani davanti a un SS col mitra.

Non si è riusciti a dare con certezza un nome al bambino, ma conosciamo quello del suo aguzzino, Josef Blösche, condannato per crimini di guerra e giustiziato a Lipsia nel 1969: per quello che aveva fatto a Varsavia era stato decorato al valore. Stroop era già stato processato, condannato a morte e impiccato il 6 marzo 1952 proprio dove sorgeva il Ghetto da lui distrutto.

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