Il vero trauma è separare un bambino dalla «madre di gioia»

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“Mi scusi, sa che nemmeno gli animali mammiferi possono essere staccati dalla madre prima dei due mesi di vita?”. Così mi scrive oggi una signora in un commento ad un articolo di Ritanna Armeni, riguardo alla gestazione per altri”. Della stessa idea la giornalista Stefania Rossini, che scriveva su L’Espresso di qualche anno fa: “Il dibattito sulla stepchild adoption ha reso di colpo evidente che è definitivamente tramontata una parte essenziale della cultura del Novecento. Quella che, da Freud in poi, ci aveva insegnato che i rapporti tra gli uomini sono per lo più guidati da istanze non controllabili dalla ragione e che (semplificando molto) la salute mentale di un individuo si gioca in gran parte nei primi mesi di vita, nel rapporto ancora simbiotico con la madre, con la quale è stato tutt’uno e dalla quale dovrà poi lentamente separarsi. E’ sorprendente che questo argomento non abbia avuto alcuno spazio neanche tra quanti osteggiano la legge paventando la legittimazione dell’utero in affitto, come è assordante il silenzio mediatico degli psicoanalisti, forse zittiti dallo spirito del tempo che riduce ogni obiezione a partigianeria”.
Per la signora che mi ha scritto oggi, trascrivo la risposta che diedi alla gionalista de L’Espresso.

“Gentile giornalista, io credo, ma posso sbagliare, che il silenzio degli psicoanalisti sia da attribuire al semplice fatto che la storia, la vita, l’esperienza della vita, ci hanno fatto capire che non è vero che la salute mentale di un individuo si gioca “nel rapporto ancora simbiotico con la madre, con la quale è stato tutt’uno”. Sa quante donne fino a non molto tempo fa, morivano di parto e i piccoli venivano allattati da balie e crescevano con questa e con parenti della madre deceduta? Inoltre: “Fino agli inizi del Novecento nelle classi agiate era consuetudine affidare i bambini ad un’altra donna, spesso scelta tra i contadini o il personale di servizio, perché provvedesse all’allattamento. Si trattava quindi di una sorta di “madre surrogata” a cui le signore di buona famiglia si rivolgevano per evitare che l’allattamento avesse ripercussioni negative sull’aspetto del loro corpo” (Beatrice Spinelli).

Questi bambini non si separavano completamente dalla madre, ma neppure erano in rapporto simbiotico con lei. Umberto Saba venne allevato per tre anni da una balia, che avendo perso un figlio, riversò sul piccolo Umberto tutto il suo affetto, che il bambino ricambiò, tanto da considerarla, come egli stesso scrisse, «madre di gioia». Quando la madre lo rivolle con sé, il poeta, all’età di tre anni ebbe il suo primo trauma di cui tratterà nelle poesie raccolte sotto il titolo Il piccolo Berto (1926). Dove sono le statistiche dimostranti inequivocabilmente che i bambini separati dalla donna che li ha portati in grembo, abbiano maggiori problemi degli altri bambini?

Io credo che un neonato abbia bisogno di calore umano, di nutrimento, di cure e, se la parola non dà fastidio, di amore, ma sì, di tanto amore. Il vero trauma è separare un bambino dalla «madre di gioia», vale dire dalla persona che si prende cura del bambino sin dalla nascita, che provvede ai suoi bisogni compreso quello d’essere amato, coccolato, accarezzato.

Renato Pierri

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