Aspetti e conseguenze delle mutilazioni dei genitali femminili

Femminicidi & Violenza

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Con il termine mutilazione dei genitali ci riferiamo a una procedura finalizzata alla rimozione totale o parziale dei genitali esterni femminili.

Dalle informazioni provenienti dall’UNICEF, questa pratica di escissione sembra essere diffusa in Somalia, Eritrea, Gibuti, Ghana, Camerun, Niger, Costa d’Avorio, Etiopia, ma anche in Afghanistan, Yemen e in Egitto, anche se in quest’ultimo paese si è cercato di intervenire per vietare la pratica dal 2008.

Secondo l’UNICEF, il fenomeno delle mutilazioni raggiunge, addirittura, il 90% della popolazione femminile. Le conseguenze sulle bambine soggette alla pratica sono notevoli, sia sul piano psicologico che fisico, con problematiche anche sulle possibili e future gravidanze.

Come evidenzia l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), è difficile stimare con precisione, quante siano le donne e le ragazze costrette a subire le mutilazioni.

L’OMS indica quattro diverse tipologie di infibulazione: clitoridectomia, asportazione, infibulazione, cauterizzazione o taglio della vulva, con conseguenze fisiche e psicologiche dolorose. Le ragazze sottoposte a queste pratiche, infatti, possono incorrere in infezioni e malattie, anche perché, solitamente, vengono effettuate in ambito familiare ed effettuate senza alcuna condizione igienica. Per le giovani donne, già sottoposte a mutilazione genitale, ad esempio, il primo rapporto sessuale è doloroso e viene vissuto come una esperienza drammatica.

Va detto che, quando si parla di mutilazione ai genitali, ci si riferisce anche, non necessariamente, alla mutilazione in sé stessa, ma anche ad un insieme di pratiche lesive dell’apparato genitale nelle donne come lacerazioni, incisioni e raschiamento. Per cui, c’è tutto un insieme di pratiche a cui le donne sono sottoposte e che – come osserva l’UNICEF – costituiscono una lesione dei diritti delle donne, donne private della propria integrità sessuale e riproduttiva.

Sempre l’UNICEF informa che, alla base dell’infibulazione femminile, ci sono diversi fattori che conducono a praticarla come le credenze, perché simbolo di uno status sociale, piuttosto che ragioni estetiche o igieniche, in quanto, in alcune culture i genitali delle donne sono considerati osceni e ripugnanti e, addirittura, portatori di malattie e per questo motivo vengono rimossi; infine, ci sono anche ragioni religiose, per le quali l’infibulazione è sinonimo di purezza sessuale nelle donne. In questo caso, la modifica sul corpo si traduce, quindi, in un riconoscimento identificativo dell’identità sessuale.

L’aspetto davvero più preoccupante è l’età delle ragazze sottoposte a mutilazione, le quali possono subire una pratica così terribile già a 14 anni, anche se l’età potrebbe essere ancora più bassa, con bambine di soli 4 anni e anche con meno di un anno di vita, nel caso dell’Eritrea.

Per quanto riguarda il fattore religioso, non c’è correlazione tra pratica della mutilazione e religione islamica, anche se i popoli nei quali sembra prevalere la consuetudine alla pratica, per lo più, provengono da quella religione. In realtà, il problema va collegato al fatto di appartenere ad un contesto tribale ed arcaico, nel quale, la pratica della mutilazione trova “terreno fertile”, in quanto ha un preciso significato: quello di un passaggio dall’infanzia all’età adulta e ciò vale per le donne come per gli uomini. È quindi, la caratteristica tribale di una società ad incidere sulla diffusione delle mutilazioni, aspetto che sembra accomunare, proprio per la connotazione tribale di alcune culture, anche altre religioni, nel caso degli animisti o della religione ebraica.

Per quanto riguarda il nostro Paese, l’EUROSTAT (Ufficio statistico dell’Unione Europea) sottolinea che, in relazione alla percentuale di giovani donne e bambine richiedenti asilo, circa il 9% di queste potrebbe essere in pericolo di subire mutilazioni ai genitali. Inoltre, secondo i dati forniti dal Ministero della Salute italiano, le donne che hanno subito la pratica sono più di 200 milioni, anche se, ci sono altrettante circa 3 milioni di ragazze in età di sviluppo potenzialmente in pericolo di subire mutilazione.

In tal senso, nel nostro Paese, la normativa vigente prevede che, nel rispetto della Legge 9 gennaio 2006, n.7, i soggetti colpevoli di aver praticato mutilazione, vengano puniti con reclusione fino a 12 anni, con possibilità che la pena possa essere aumentata, nel caso in cui la vittima di mutilazione sia una minorenne.

 di Laura Sugamele

foto .ctr.it

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