Le promesse di ricostruzione di Erdogan a 74 giorni dalle elezioni in Turchia

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Il presidente turco continua a parlare dalle aree terremotate, dove le scosse di assestamento continuano, e invita i cittadini “a stare lontani dalle proprie case danneggiate o insicure”. Ma le richieste di dimissioni aumentano

di Giuseppe Didonna

Erdogan nei luoghi del terremoto

AGI – Chiede di lasciare da parte “capricci e polemiche ideologiche” perché “non c’è tempo da perdere per la ricostruzione”. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, continua a parlare dalle aree terremotate, dove le scosse di assestamento continuano, e invita i cittadini “a stare lontani dalle proprie case danneggiate o insicure“.

Erdogan non sembra intenzionato a posticipare le cruciali elezioni del 14 maggio e si trova con una metà del Paese che chiede le dimissioni del governo e gli riversa addosso qualsiasi responsabilità e l’altra metà che lo ritiene l’unico in grado di avviare e portare a termine una ricostruzione, entro un anno, che, alla luce della distruzione causata dal sisma, sembra un’impresa impossibile.

Anche se le elezioni sono scomparse dai discorsi, dopo i giorni del disastro il presidente ha iniziato a ripetere come un mantra “la ricostruzione sarà portata a termine entro un anno”, ma le elezioni sono tra due mesi e mezzo, così è necessario iniziare subito, altro che dimissioni. “Nessuno nutra dubbi, tutti torneranno sotto un tetto” e cita quanto avvenuto nei recenti terremoti di Elazig e Smirne, sismi di ben altra portata.

“Presto partirà la costruzione di 62 mila abitazioni e 16.714 case nei villaggi”, ha promesso nella provincia di Malatya, una di quelle colpite dal sisma, ma non tra le più colpite. Perché per esempio a Kahramanmaras, vicina all’epicentro, la promessa ha ben altra portata: 83 mila case nelle città e 18 mila nei villaggi. In totale, tra tutte le province colpite, il presidente ha parlato di 309 mila abitazini in un anno.

“Dovete avere un anno di pazienza”, ma è chiaro che le prime pietre verranno poste prima delle elezioni, anche perché la città è un via vai di camion e le ruspe e bulldozer che rimuovono le macerie sono decine.

Non possiamo riportare in vita i nostri defunti, ma possiamo guarire dalle nostre ferite“, discorso populista che però in una tendopoli in questo momento regala speranza. Tuttavia i quasi 45 mila morti pesano sull’operato del governo perlomeno a livello di responsabilità politica. Erdogan aveva già ammesso le difficoltà nel coordinare le prime ore dell’intervento, ieri però ha chiesto scusa alla città di Adiyaman con un’espressione di carattere religioso che suona come “perdonate i miei peccati”.

Già perché Adiyaman, centro di 670 mila abitanti, è stata messa dietro la provincia dell’Hatay e Maras nell’ordine di priorità in ore in cui il freddo spietato di quei giorni ha azzerato le speranze di sopravvivenza di moltissimi. “Lavoreremo duramente per porre fine ai giorni in cui la gente muore sotto le macerie“, ha promesso, con un occhio al 14 maggio e la sicurezza da “uomo del fare” che politicamente in Turchia ne ha decretato il successo in passato.

Basterà? Di certo non a convincere la gran parte di popolazione che ne chiede a gran voce le dimissioni. Dimissioni che non arriveranno mai, ma che anche se arrivassero servirebbero a poco, il 14 maggio si avvicina e l’opposizione non ha un candidato che, se al contrario fosse stato scelto prima del sisma, avrebbe avuto gioco facile a guadagnare consenso in questo frangente.

La coalizione che si oppone a Erdogan ha annunciato che una riunione per la scelta del candidato avverrà il 2 marzo. Se Erdogan porrà le prime pietre per la ricostruzione prima dell’attesissimo annuncio sarà difficile che le urne gli toglieranno la possibilità di mantenere la promessa, quasi impossibile, di ricostruire tutto entro un anno.

 

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