Il cappellano della ong Mediterranea: “Ripristinare le missioni di soccorso”

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Il sacerdote, don Mattia Ferrari, intervistato dall’AGI ha definito quanto avvenuto a Cutro “non una tragedia ma una strage”

di Alessandra Rossi

© don mattia ferrari

– don Mattia Ferrari

 

AGI – “Una delle cose più delicate sono le videochiamate con i ragazzi bloccati in Libia, nei lager libici. Mi è capitato in video chiamata di dover dare l’estrema unzione a ragazzini di 15 anni in fin di vita per colpa dei lager”. Lo racconta all’AGI don Mattia Ferrari, 30 anni e, da 4, cappellano per la ong Mediterranea Saving Humans.

Nelle scorse ore il giovane sacerdote, che molte volte ha assistito ai soccorsi in mare da parte della ong, ha condiviso su Facebook il suo dolore per il naufragio dei migranti avvenuto sulle coste calabresi, con decine di morti, tra i quali diversi bambini. Don Ferrari, che domani sera sarà a palazzo Ducale di Genova per l’incontro “Rotte, naufragi e salvataggi nel Mediterraneo centrale”, ha definito quanto accaduto a Cutro non una tragedia, ma una strage“.

Il perché è da ritrovarsi, secondo il sacerdote, nel contesto in cui è maturata la vicenda: “Dalla fine di Mare nostrum, nel 2014, abbiamo assistito al progressivo ritiro delle missioni di soccorso – spiega – Guardia costiera e Guardia di finanza stanno continuando a soccorrere, ma da 10 anni si sono progressivamente ridotti gli spazi di soccorso. Il più grande cambiamento c’è stato nel 2017, con gli accordi con la Libia che hanno istituito i respingimenti che, come Italia, appaltiamo alla Guardia costiera libica: quest’ultima – prosegue il sacerdote – intercetta i migranti e li mette nei lager. Sappiamo molto bene, grazie alle inchieste di Nello Scavo per “Avvenire”, che gli accordi Italia-Libia hanno visto il coinvolgimento diretto della mafia libica, in particolare di Abdurahman al-Milad (“Bija”) e Mohamed al-Khoja, che si trovavano ai tavoli con i servizi segreti italiani nel 2017. In questi anni il potere della mafia libica si è rafforzato: oggi Bija e al-Kohja hanno ruoli di potere ufficiale, il primo è maggiore della Guardia costiera libica, il secondo direttore del Dipartimento per il contrasto dell’immigrazione irregolare che gestisce circa 12 centri di detenzione finanziati dall’Unione europea. Parliamo di due super boss della mafia libica, indicati come tali dai report dell’ONU. Hanno avuto ruoli negli accordi Italia – Libia e oggi gestiscono i respingimenti, i centri di detenzione, i lager.

Ed è in quei centri che si consumano le tragedie a cui più volte don Ferrari ha assistito: “Quando la mafia libica capisce che una persona è allo stremo, la butta fuori dal lager, in mezzo alla strada – racconta – Uno di questi ragazzi era cattolico e i suoi amici hanno pensato di fargli avere almeno la benedizione finale: mi hanno chiamato e ho dovuto dare la benedizione ad un ragazzo che chiaramente di lì a poche ore non ce l’ha fatta. Si chiamava Samy. Così come quella calabrese non è stata una tragedia ma una strage, quando tu vedi questo ragazzo che finisce la sua vita in mezzo alle torture, non è colpa del caso: si trovava lì a causa della nostra ingiustizia globale che lo ha costretto a fuggire da casa sua. Con la chiusura dei canali legali di accesso – prosegue don Ferrari – lo abbiamo costretto ad attraversare il deserto, la Libia e il mare. Infine, noi finanziamo la cosiddetta guardia costiera libica che lo ha catturato mentre attraversava il Mediterraneo e lo ha deportato nel lager. Noi abbiamo una triplice colpa”.

Il sacerdote aggiunge che, “quando in video chiamata ti trovi davanti agli occhi il suo corpo scheletrico e i suoi occhi pieni di paura e disperazione, capisci che abbiamo toccato con mano l’apice della bruttezza, della disumanità che noi esseri umani abbiamo costruito e che continuiamo a perpetrare”. Ma è anche possibile, secondo don Ferrari, riscattare tutto questo: “In mare la storia di molte persone sarebbe già scritta: persone in fuga dall’ingiustizia che di lì a poche ore annegheranno. Ma la storia la fanno gli esseri umani – osserva  – Ho visto persone con la storia già scritta che hanno incontrato una nave con a bordo ragazze e ragazzi di tutta Europa coraggiosi che li hanno strappati dalle acque, salvandoli e cambiando un destino segnato”.

Il sacerdote evidenzia che negli ultimi 10 anni “non c’è stata una risposta strutturale ai naufragi, ma si è scelto di rafforzare i respingimenti e, per fortuna, queste scelte italiane, maltesi ed europee sono state contrastate dalla cosiddetta civil fleet, quindi da Mediterranea e altre realtà che sono andate fisicamente a soccorrere le persone in mare e a salvarle dai respingimenti. E’ da questa civil fleet che rinasce dal basso la civiltà europea”.

Per don Ferrari, le soluzioni per evitare altre stragi nel Mediterraneo sono tre: “bisogna subito ripristinare missioni di soccorso europee, bisogna aprire canali legali di accesso perché le persone non si troverebbero in mezzo al mare se avessero l’opportunità di migrare in modo legale e sicuro. Infine, quella di oggi non è una crisi migratoria, ma una crisi della giustizia globale che va superata cambiando il sistema da tutti i livelli. Finché il sistema capitalista, neoliberista comporterà lo sfruttamento forsennato dei popoli del sud del mondo e dell’ambiente, fintanto che continueranno queste guerre, le persone – conclude – saranno costrette a migrare”

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