Analista: “L’Occidente non ha più armi. Kiev rischia di non farcela”

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Intervista al direttore di Analisi Difesa, Gianandrea Gaiani: “In Ucraina i russi stanno avanzando e Kiev sta perdendo i suoi migliori uomini per una decisione politica di Zelensky”

di Luigi Conte

© FOCKE STRANGMANN / AFP- Ucraina

 

AGI – “In Ucraina i russi stanno avanzando e Kiev sta perdendo i suoi migliori uomini per una decisione politica di Zelensky”. A spiegarlo all’AGI è Gianandrea Gaiani, direttore della rivista online Analisi Difesa, facendo il punto sulla situazione militare a un anno dall’inizio del conflitto. “Come se non bastasse, l’Occidente non ha più armi né munizioni da fornire”, sottolinea l’esperto.

“Oggi, in Ucraina, le forze russe hanno una posizione militare di vantaggio e stanno avanzando, seppur lentamente. Questa situazione ha indotto il capo delle Forze armate ucraine, Valery Zaluzhny, a chiedere al presidente Volodymyr Zelensky di poter attuare una ritirata su posizioni più difendibili ma tale richiesta è stata sempre bocciata per non cedere un metro ai russi. Il risultato è che Kiev sta sacrificando i migliori uomini e rischia di non farcela. E l’Occidente non ha più munizioni da dare”.

“La guerra è iniziata con una grande offensiva russa su 1.500 chilometri di fronte che, analizzandola oggi, è stata una grande esibizione militare, di forza. Uno show – osserva Gaiani – che avrebbe dovuto portare in breve tempo a un negoziato di spartizione territoriale con Kiev. Ma così non è andata e i russi si sono trovati a dover far fronte non solo a una grande resistenza ucraina ma anche al supporto militare di ogni tipo che i Paesi della Nato hanno fornito all’Ucraina. Questo ha portato i russi a dover fare i conti con la loro inferiorità numerica rispetto agli ucraini e quindi a compiere scelte dolorose sul piano politico ma azzeccate sul piano militare, ovvero ritirarsi da alcune zone dove avevano preso il controllo per ridurre la lunghezza del fronte, per fortificare la difesa, come hanno fatto in maniera disordinata nella regione di Kharkiv e in maniera molto più ordinata a nord di Kherson.

Il vantaggio militare dei russi

Oggi – sottolinea Gaiani – i russi hanno una situazione di vantaggio militare che nasce anche da questa scelta strategica di ritirarsi da alcune zone nel momento in cui mobilitavano nuovi militari e richiamavano 300mila riservisti. Oggi quella decisione, che nei mesi scorsi determinò un acceso dibattito anche a Mosca, dove i vertici militari, e in alcuni casi anche quelli politici, furono molto criticati per questi insuccessi, in realtà ha messo le forze russe nella condizione di ripartire all’offensiva. Cosa che i russi hanno fatto. Era da luglio che non conducevano azioni offensive su vasta scala e nell’ultimo mese hanno invece ripreso a farlo, avanzando lentamente, ma lungo tutti i circa mille chilometri di fronte”.

“Insomma – prosegue l’esperto -, se escludiamo la zona di Kherson, dove il fronte è diviso dal fiume Dnepr, con i russi che non sono tornati al di là del fiume e gli ucraini non sono scesi a sud del fiume, tutti gli altri settori del fronte vedono i russi avanzare. E’ successo nella regione di Zaporizhzhia e sta accadendo nell’oblast di Lugansk, dove i russi si stanno avvicinando a Lyman e Kupiansk, che sono i capisaldi da cui si ritirarono nei mesi scorsi. Ma i russi stanno avanzando soprattutto nella provincia di Donetsk e nella zona di Bakhmut, stanno scardinando quella che era la seconda linea difensiva ucraina nella regione di Donetsk.

E Bakhmut – osserva Gaiani – è una città strategica perché è il caposaldo di questa seconda linea difensiva ucraina a Donetsk, che poi è una linea dalla quale gli ucraini avrebbero voluto lanciare l’offensiva per riconquistare completamente i territori in mano ai secessionisti. Una caduta di Bakhmut costringerebbe gli ucraini a ritirarsi sulla linea più arretrata, cedendo ulteriore terreno in questa regione, una delle 4 che i russi hanno unilateralmente annesso con i referenmdum di settembre.

La ritirata ucraina da Bakhmut, che secondo alcuni potrebbe avvenire presto, porterebbe quindi gli ucraini a dover ripiegarsi sull’ultima linea, quella su Kramatorsk e Sloviansk, che peraltro sono già sotto il tiro dell’artiglieria russa. La ragione per cui gli ucraini stanno pagando questo prezzo importante – puntualizza Gaiani – è legata anche a una scelta politica, e non strettamente militare, compiuta in questi mesi da Kiev. Secondo alcune voci militari russe, ma anche ucraine, il capo delle Forze armate ucraine, Valery Zaluzhny, chiede da tempo a Zelensky di poter attuare una ritirata su posizioni più difendibili ma tale richiesta è stata sempre bocciata da Zelensky e dai vertici politici.

L’Ucraina ha sacrificato le sue migliori brigate

In questi mesi, in base all’obiettivo di non cedere un metro di terreno, l’Ucraina ha sacrificato le sue migliori brigate, quelle dei veterani che avevano combattuto per tutto un anno, o comunque dall’inizio dell’attacco russo. È una scelta strategica dettata da motivazioni politiche più che militari che ricorda, a mio parere, quella che fecero i tedeschi tra il 1942 e il 1943 sul fronte russo, quando Hitler negò a Friedrich von Paulus di ritirare la sesta armata da Stalingrado perché non bisognava cedere un metro di terreno. Ma quando in guerra combatti su posizioni sfavorevoli e bruci tanti uomini con l’obiettivo di non cedere un metro di solito il risultato finale è che dopo un po’ perdi comunque quel territorio che volevi tenere a tutti i costi ma non hai più le forze, come numeri, capacità, addestramento, mezzi, per condurre attacchi o contrattacchi. Credo che l’Ucraina stia correndo questo rischio”.

E per quanto riguarda la fornitura di armi da Europa e Stati Uniti? “La mia impressione – risponde Gaiani – è che l’Occidente, al di là delle dichiarazioni di facciata che abbiamo visto anche alla conferenza sulla sicurezza di Monaco, non ha più armi da dare, non ha più munizioni da fornire. L’Europa ha fra l’altro eserciti molto limitati nei numeri, perché ci siamo strutturati per combattere guerre a bassa intensità, contro nemici insurrezionali quali i talebani o l’Isis. Nel Donbass sono 80mila i soldati ucraini, così come sono 80mila i soldati delle maggiori potenze europee messe insieme. Adeso noi europei abbiamo una difficoltà a continuare a rifornire gli ucraini, abbiamo poche munizioni.

Oggi, se gli eserciti europei dovessero sostenere un conflitto come quello nel Donbass, con le munizioni che hanno a disposizione resisterebbero sei giorni al massimo, non di più. E per aumentare la produzione di munizioni servono anni perché occorre ristrutturare un apparato industriale, potenziarlo investendo miliardi. E bisogna anche avere molto acciaio, che l’Europa praticamente non produce più. Ma come fai a produrre carri armati se non hai l’acciaio o lo trovi a prezzi molti alti?

Da parte loro, gli americani non sembrano intenzionati a fornire armi a lungo raggio in grado di colpire in profondità la Russia. E per quanto riguarda la richiesta dei caccia, va detto che servono anni – in condizioni di pace, e non di guerra – per riorganizzare una forza aerea, fra l’altro con aerei non più di tipo sovietico ma di tipo occidentale. Finita la guerra l’Ucraina lo farà, ma non è possibile farlo adesso con il conflitto in corso, in tempi così stretti. Lo stesso discorso vale per i carri armati: i Leopard 2 dovevano essere tanti, ne arriveranno forse 100, 150 al massimo, ma non sono queste le armi che fra sei mesi cambieranno la storia di questa guerra. Anche addestrate i carristi con carri occidentali è un problema. Insomma, quelle sulle armi sono chiacchere più di valore politico che militare”, conclude Gaiani.

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