Non ci sono più i musicisti di una volta

Economia & Finanza

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È sempre più difficile guadagnare nell’era dello streaming. Le royalties tendono a essere scarse e i concerti producono meno entrate”, scrive il Washington Post

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AGI – Non ci sono più i musicisti d’una volta. Soprattutto a tempo pieno. C’è chi, per esempio, vende anche case per arrotondare i miseri introiti dei diritti musicali. Non tutti sono star del calibro che possono vantare i migliori guadagni del settore. La maggior parte deve accontentarsi di quel che c’è.

E quel che c’è non è molto, perché “è sempre più difficile guadagnare nell’era dello streaming. Le royalties tendono a essere scarse e i concerti producono meno entrate”, scrive il Washington Post, tant’è che molti lamentano come “l’ascesa dello streaming abbia portato a assegni di royalty molto più risicati” d’un tempo. Cioè quando per comprare musica si doveva andare in un negozio di dischi e tutto era più sicuro. Vendite e incassi.

“Poi è arrivata Napster, l’app per la condivisione di file che ha sconvolto l’industria musicale. È poi è giunta iTunes. Non era un meccanismo perfetto, ma gli utenti dimostravano ancora il bisogno di acquistare canzoni, il che si traduceva in diritti d’autore in qualche modo tradizionali. Ben presto, però, lo streaming ha dominato il mercato, con Spotify in testa al gruppo.

non ci sono più musicisti di una volta 
Spotify

E le royalties sono crollate”, scrive il Post, che sottolinea: “Per ogni dollaro guadagnato su Spotify, 58,5 centesimi vanno al proprietario della registrazione d’una canzone (di solito un’etichetta discografica), Spotify trattiene 29,38 centesimi, 6,12 centesimi vanno a chi detiene i diritti di pubblicazione (di solito l’autore) e 6 centesimi vanno a chiunque possieda i diritti meccanici (il cantautore)”, stando ai risultati di una ricerca del 2016 di Manatt, Phelps & Phillips, una società di servizi professionali.

Commenta il quotidiano: “Per vari motivi complicati – tra cui il taglio di Spotify e il gran numero di stream necessari per arrivare a quel dollaro – questo schema porta a meno soldi per i musicisti, dicono gli esperti”.

Quindi le cose sono peggiorate per tutti i creativi, “ma sono diventate particolarmente difficili per i cantautori, che da tempo hanno perso alcune potenziali fonti di guadagno, come tour e merchandising”. Poi c’è il tempo che intercorre tra l’esecuzione del lavoro e l’essere pagati.

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“Se scrivo una canzone, potrebbe volerci un anno prima che esca l’album”, ha dichiarato Nuri Taylor, secondo cui il pagamento della royalty non è immediato mentre “prima, venivamo pagati quando le persone compravano un album o un disco in vinile o un Cd o scaricavano una canzone. Ora quelle entrate sono state tagliate drasticamente”. “Cinque anni fa, ho iniziato a guardare un po’”, ha aggiunto, “ma ho visto le mie royalty praticamente dimezzate”, taglia corto Nuri Taylor.

La cantante spiega così di aver ottenuto la sua licenza immobiliare tre anni, “perché pensavo non sarei riuscita a sostenermi solo come cantautrice per i prossimi 10 o 15 anni se non fosse cambiato qualcosa nell’industria musicale”. Il lavoro attuale le consente flessibilità di scrivere canzoni ma anche di fare “praticamente l’agente immobiliare a tempo pieno”. Chiosa in conclusione il Post: “I cantautori non sono gli unici a soffrire nell’era digitale. Solo nell’1% dei casi gli artisti possono guadagnarsi da vivere vendendo concerti negli stadi e merchandising”.

Ma la maggior parte di loro non fa neanche tournée. “Non so chi diavolo stia facendo soldi con Spotify”, chiude Will Sheff, candidato ai Grammy 2010 per le migliori cover e frontman della band indie rock Okkervil River, che ha fondato ad Austin nel 1998.

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