Il salvataggio mancato a Kahramanmaras, l’ultimo dramma dalla Turchia

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La scorsa domenica, nella regione devastata dal sisma, mentre le narici bruciano per i fuochi accesi e la polvere delle macerie sollevata dal vento rende difficile tenere gli occhi aperti, si è consumato il dramma della famiglia Aydin

©  Didonna-Agi –

AGI – La Turchia continua a vivere giorni di dolore intenso, spezzato solo dalla notizia di salvataggi che, con le ore che passano, assumono sempre più contorni miracolosi. Una donna con i suoi due figli è stata estratta dalle macerie di una casa di Antakya oggi, quando di ore dal sisma ne erano passate 228. Appena un’ora prima una donna di 74 anni di nome Cemile era stata salvata a Kahramanmaras.

Non tutti i tentativi di salvataggio vanno però a buon fine. La scorsa domenica, nella devastazione che a Kahramanmaras lascia senza parole, mentre le narici bruciano per i fuochi accesi alimentati con ciò che capita e la polvere delle macerie sollevata dal vento rende difficile tenere gli occhi aperti, si è consumato il dramma della famiglia Aydin.

A quasi una settimana dal sisma, il cane da ricerca dei pompieri giunti dalla Spagna ha individuato tracce di vita sotto un palazzo rimasto in piedi, ma sprofondato di diversi metri. “Il cane ha iniziato a scodinzolare e abbaiare, era il segnale che aspettavamo“, racconta all’AGI Hipolito Lucena, uno dei sanitari della squadra giunta dalla Spagna.

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© Didonna-Agi

“È arrivato l’esercito che con i radar termici ha confermato tracce di vita di tre persone. La situazione è difficilissima, stanno lavorando da 12 ore per raggiungere i sopravvissuti. Sono arrivati i minatori e stanno creando un sistema di tunnel perché c’è il rischio che venga giù tutto”. Alla domanda su quanto un’operazione del genere può durare, Hipolito scuote la testa: “Impossibile dirlo”. La notizia ha subito attirato la stampa e riacceso le speranze della famiglia Aydin, che per una settimana ha atteso sulle macerie, dormendo con le sole coperte, riscaldata dal fuoco e dal te’ portato dai volontari alle squadre di soccorso.

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© Didonna-Agi

La sotto ci sono nonna, figlia e nipote di due mesi“, dice Umit, cugino dei tre intrappolati all’AGI, chiedendo di non pubblicare i nomi delle tre parenti. “Per una settimana siamo stati qui e non ci muoveremo. Abbiamo speranza ma non ci facciamo illusioni. La città è morta, guardati intorno. Ma la sotto c’è un bambino di due mesi e noi non abbiamo nessun altro posto dove andare se non questo. Nessun posto ha più senso di questo”.

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Umit mi guarda negli occhi e poi gira lo sguardo verso il resto della famiglia, che riposa su sedie estratte dalle macerie o per terra. Una montagna di macerie. I lavori vanno avanti tutto il giorno e continuano anche la notte. I minatori fanno avanti e indietro senza sosta. Una catena umana si passa pezzi d’intonaco e muro di mano in mano.

Chi ha lavorato tutto il giorno giace esausto, dorme seduto o cerca di scaldarsi mani ferite e nere di sangue secco. Alle prime luci dell’alba, dopo 30 ore di operazioni, la scoperta che i tre, nonna, figlia e nipote non ce l’hanno fatta. I parenti si abbracciano tra urla e lacrime, imprecano contro le telecamere, una donna sviene ed è portata via dai sanitari. Tutti avrebbero voluto un’altra storia da raccontare, un momento di gioia tra la polvere, le macerie, il fumo e le lacrime di una città che non sarà mai più la stessa.

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