Intervista al Dott. Abbaticchio, Presidente del Sindacato Medici Italiani

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Il Dott. Ludovico Abbaticchio, laureato in Medicina nel 1979 a Bari e specializzato in Ostetricia e Ginecologia – Monitoraggio biochimico e biofisico del feto, è cofondatore dell’AIECS-Bari (Associazione Italiana per Educazione Contraccettiva e Sessuale) e del Sindacato Medici Italiani di cui è anche Presidente Nazionale da più di 5 anni. È stato Consigliere Comunale di Bari per PCI, DS e PD e Assessore per dieci anni prima all’Urbanistica ed Edilizia Privata e poi al Welfare. È stato componente del C.d.A dell’AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco e suo Presidente FF per due anni, mentre attualmente svolge funzioni di Garante regionale Puglia per l’infanzia e l’adolescenza. L’ho intervistato per tracciare un quadro della situazione del nostro Sistema Sanitario Nazionale e delle criticità connesse.

I primi mesi di ogni anno portano sempre a un bilancio di ciò che è stato fatto e a porsi i cosiddetti buoni propositi. In qualità di Presidente del SMI quali sono i suoi?

Mantenere forte, stabile ed omogeneo il servizio sanitario pubblico ed impegnarsi nella riqualificazione della medicina territoriale e dell’integrazione sociosanitaria, che necessita di un saldo lavoro di squadra tra distretto sanitario ed ente locale. Inoltre con le nuove norme di attuazione del PNRR porremo molta attenzione non solo sull’edilizia sanitaria e i suoi finanziamenti specifici, ma anche e soprattutto sulle modalità di riqualificazione e riprogrammazione delle strutture ospedaliere o dedicate in futuro all’assistenza socio-sanitaria. Accanto a questo sicuramente altre priorità sono quelle di far fronte al tema della medicina scolastica emersa post Covid e al servizio del 118 e dei dipartimenti di emergenza/urgenza (Pronto Soccorso), i quali al momento vivono una precarietà numerica di personale infermieristico e medico.

Come siamo arrivati ad avere una grande carenza di medici generali sul territorio? Come è possibile uscirne?

Numerosi medici vanno in pensione o decidono di lasciare l’attuale lavoro per dedicarsi ad altri tipi di attività specialistiche perché il carico burocratico che pesa sulle pratiche del medico generale è ormai asfissiante e toglie tempo alla parte clinica che, invece, è l’aspetto fondamentale del loro ruolo. Una delle nostre proposte per uscire da una tale situazione è quella di allargare le maglie dell’iscrizione alla Facoltà di Medicina – anche se prevedendo questa modifica ora, solo tra 6 anni avremmo un maggior numero di medici a disposizione –, realizzare una scuola di specializzazione in Medicina Generale che in Italia è l’unica a non essere stata ancora riconosciuta – spostando quindi la formazione dall’Ordine dei Medici all’Università – e rendere l’assistenza domiciliare più specialistica che infermieristica. Unendo tutta la burocrazia prevista per ogni singola richiesta, la carenza di professionisti e la mancanza di specializzazione, il rischio sta sempre più diventando quello di ritornare alla logica del ricovero ospedaliero di pazienti cronici che, invece, potrebbero essere assistiti a domicilio. L’assistenza domiciliare ha, infatti, il vantaggio non solo del miglioramento di vita sociale e psicologica del malato, ma anche della riduzione delle spese di ospedalizzazione, cosa che consentirebbe ai medici strutturati di focalizzarsi su patologie acute o maggiormente invalidanti, come quelle oncologiche.

Qual è la vostra proposta per fermare la fuga dei professionisti dal servizio pubblico?

Noi puntiamo a riportare il rispetto nei confronti della professione medica in Italia. Ormai esiste un subdolo progetto innescato dai vari governi che si sono susseguiti e dalle multinazionali del privato, che induce i medici a protendere verso il privato stesso e questo ovviamente fa perdere forza al servizio pubblico. Anche il Parlamento con le sue leggi contribuisce a contrastare una ripresa della sanità pubblica utile ai cittadini, favorendo, invece, un sistema di assistenza privata che in piccola parte è convenzionata con il pubblico, ma in gran parte si rifà alle assicurazioni e ai servizi sanitari o sociosanitari legati alle cooperative di origine sanitaria. Questo tipo di percorso già da tempo si sta sedimentando anche a causa di liste di attesa interminabili e ritardi nella programmazione pubblica e politica, che altro non fanno che aggravare la critica condizione in cui versa oggi il servizio sanitario pubblico. I cittadini che hanno la possibilità economica e necessitano di visite specialistiche o cure nel minor tempo possibile inevitabilmente preferiranno gli ospedali o le strutture specialistiche private. Noi proponiamo da un lato di incentivare i giovani a intraprendere la carriera medica – chiedendo al Governo di individuare borse di studio adeguate per la formazione universitaria – e dall’altro di rivedere i contratti professionali e la retribuzione dei medici italiani, in quanto attualmente sono tra i meno pagati d’Europa e questo influisce anche sul problema in questione e sul tema dell’esodo dei neomedici all’estero. Se a tutto ciò associamo l’aumento della povertà e delle patologie dilaganti negli over 65, il pericolo è che poveri e meno poveri si dovranno affidare a quell’assistenza che il mercato pubblico offre e, invece, i più benestanti – dotati di assicurazione sanitaria o una certa capacità finanziaria – potranno permettersi un’assistenza maggiormente qualificata.

Cos’altro va necessariamente cambiato?

Il servizio al cittadino deve essere totalmente rivisitato. Bisogna impostare un nuovo tipo di assistenza, dotando i medici di strumenti efficaci quali, ad esempio, la telemedicina, non ancora utilizzata ma che garantisce una migliore presa in carico del paziente e una possibilità di controllo diretto dell’accesso alla attività specialistica ambulatoriale. Inoltre è necessario distribuire il lavoro tra l’assistenza ospedaliera di reparto e quella ambulatoriale specialistica, sollevando anche ogni cittadino dall’onere di doversi spostare da specialista a medico di famiglia per una semplice prescrizione di esami, visite o farmaci. Qualche legge per modificare il servizio è stata promulgata, ma non applicata e, quindi, ora siamo giunti al limite di sopportabilità. Lo scorso anno, infatti, per primi con il SMI abbiamo scioperato in tutta Italia portando 700 medici sotto il Ministero, perché purtroppo il sindacato maggioritario che rappresenta la Medicina Generale aveva firmato un contratto a iporisorse e noi, essendo numericamente inferiori, per legge siamo stati costretti ad adeguarci. In ultimo ci tengo a sottolineare che c’è troppa ingerenza degli Ordini professionali medici sui temi che concernono le politiche del lavoro: gli Ordini devono limitarsi a tutelare la dignità del medico e la sua etica professionale, mentre i sindacati l’aspetto della tutela del lavoro e della formazione medica. Possono portare avanti un percorso insieme, ma parallelamente e sostenendosi a vicenda quando è utile alla categoria.

Per il drammatico tema delle aggressioni sui luoghi di lavoro nei confronti dei medici cosa intendete fare?

Il tema delle aggressioni è legato a un mancato studio di sicurezza sul luogo di lavoro del medico nel servizio pubblico, ma in realtà purtroppo come sappiamo bene può verificarsi in qualsiasi front office (uffici postali, banche o uffici comunali) così come sull’ambulanza, in un pronto soccorso o in ambulatorio. È questa la cartina tornasole di un disastro organizzativo di programmazione del sistema salute pubblica che appartiene sia a livelli nazionali che regionali. C’è anche una grave riduzione della preparazione della parte pubblica amministrativa, oltre che della politica che finge di interessarsi a questi temi ma in realtà è poco produttiva dal punto di vista legislativo.

Autonomia differenziata: sì o no?

Innanzitutto specifico che l’autonomia differenziata è il riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una regione a statuto ordinario di autonomia legislativa nelle materie di competenza concorrente e in tre casi di materie di competenza esclusiva dello Stato. Oltre alle competenze, le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale. Tra le materie di legislazione concorrente c’è, come si sa, la tutela alla salute. Il Governo sta valutando questo disegno di legge presentato dal leghista Roberto Calderoli e la cosa ci preoccupa molto. Siamo totalmente contrari a questa proposta in quanto in generale aumenterebbe il divario tra Nord e Sud e per quanto ci riguarda porterebbe un vulnus drammatico per l’assistenza sanitaria, i ceti più deboli e i malati cronici.

Dai tre anni di pandemia cosa è emerso?

Mi sento di dire che per far fronte alla pandemia si sono mossi anche dei passi positivi per quanto riguarda l’aspetto organizzativo, che hanno comportato degli indubbi benefici quale il fascicolo sanitario elettronico, con cui ora è possibile inoltrare le ricette mediche per mail o tramite codice fiscale del paziente. Tra le altre cose ha, però, messo a nudo l’assenza totale della medicina scolastica: abbiamo bisogno di scuole in cui ci sia un’equipe sociosanitaria (medico, psicologo, assistente sociale o pedagogista) che non tenga delle lezioni sporadiche fini a sé stesse, bensì un intero corso annuale di educazione alla salute, alla pari – insieme a quella civica – delle materie stabilmente insegnate.

http://sindacatomedicitaliani.it/

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