Il 2023 sarà un anno di recessione ma l’andamento dei mercati migliorerà

Economia & Finanza

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Secondo Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, l’arretramento dell’economia spingerà le banche centrali ad allentare la stretta monetaria, il che favorirà i listini. La crisi energetica in Europa, la guerra in Ucraina e la ripresa della Cina tra le maggiori incognite

di Alessandro Galiani

AGI – Doveva essere l’anno della ripresa dopo il Covid. E invece il 2022 è stato l’anno della guerra, dell’inflazione e del caro energia. E ora cosa ci aspetta nel 2023? Intanto diciamo che la guerra, la crisi energetica, l’inflazione, i tassi alti, persino il Covid, non scompariranno ma ce li porteremo dietro, anche se il loro sviluppo sarà diverso, per cui molto probabilmente l’anno prossimo l’economia mediamente peggiorerà, entrando ancora di più in recessione, e questo spingerà le banche centrali ad allentare la stretta monetaria, il che piacerà ai mercati, sia a quelli obbligazionari, sia a quelli azionari, che quindi dovrebbero andare meglio di quest’anno, specie nel secondo semestre.

Le curve dei rendimenti rimarranno ancora invertite per qualche mese, ma tra 3-4 mesi dovrebbero cominciare a normalizzarsi, quando le banche centrali avranno raggiunto o staranno per raggiungere il picco. Il prezzo del petrolio dovrebbe salire nel primo semestre e scendere nel secondo, quando inizierà la recessione Usa, mentre l’andamento delle criptovalute dipenderà dalla liquidità in circolazione, essendo in buona misura un effetto collaterale della stessa.

“Nel 2023 prevedo in media un anno abbastanza positivo per l’azionario, mentre mi aspetto un anno non brillante dal lato macroeconomico. In altre parole l’anno prossimo rischia di ripetersi lo schema: economia che va male e mercati che vanno bene, come è successo durante la pandemia”, commenta Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte.

Le incognite che ci attendono

Insomma, il 2023 si aprirà con lo ‘spettrò della recessione, che in parte potrebbe essere già iniziata in Europa ma la cui entità e profondità rappresenta ancora un punto interrogativo. La Bce ha pronosticato che sarà “rapida e poco profonda”, mentre la Fed non si è pronunciata. Jay Powell sostiene di non sapere se la crisi recessiva ci sarà o meno e spera in un ‘soft landing’, anche se ormai sono in pochi a credere veramente in un atterraggio morbido della crisi.

L’aspettativa è che, a breve, la politica da ‘falco’ sui tassi spingerà l’economia sempre più in recessione e che questo, più a lungo termine, costringerà le banche centrali a diventare più ‘colombè. Inoltre, la recessione europea, a differenza di quella Usa, dipenderà molto dalla crisi energetica e sarà anticipata rispetto a quella americana.

“Un’altra caratteristica del 2023 – spiega Cesarano – è che, a differenza del 2022, non sarà, almeno sulla carta, un anno elettorale. In questo si differenzierà anche dal 2024, in cui avremo le presidenziali a Taiwan, le europee e lo scontro per la Casa Bianca negli Stati Uniti. E questo indubbiamente rende potenzialmente il 2023 più adatto ai negoziati, specie quelli di pace in Ucraina, perchè in genere si negozia meglio senza scadenze elettorali”.

Come è andato il 2022?

Nell’anno che si va concludendo si è verificato un evento raro, che non accadeva dagli anni Settanta-Ottanta: la chiusura negativa contemporanea di bond e azionario. Il motivo? L’impennata dell’inflazione, scatenata dalla fine della pandemia e dalla guerra in Ucraina, ha fatto volare i prezzi al top da diversi decenni in tutto il mondo: +7% negli Usa, +11% nell’Eurozona, perfino il Giappone, che dagli anni Ottanta era in deflazione, ha visto i prezzi al consumo balzare a +3,7%, spingendo la Boj a rimuovere la banda di oscillazione del decennale, che dal tetto dello 0,25% ora potrà arrivare fino allo 0,50%.

E l’anno prossimo la previsione è che, col cambio del governatore ad aprile, anche la Boj si adeguerà alla politica restrittiva delle altre banche centrali, che nel 2022 sono diventate tutte molto aggressive, rialzando i tassi, bruciando liquidità e deprimendo così i mercati che, per definizione, sono refrattari all’aumento del costo del denaro.

Le analogie tra situazione attuale e le crisi degli anni ’70

La situazione attuale ricorda molto la crisi degli anni Settanta, quando lo ‘shock petrolifero’ portò l’inflazione alle stelle e l’economia alla recessione e alla stagflazione, cioè al ‘mix’ micidiale di iperinflazione e di crisi economica che rischiamo di sperimentare nuovamente. Quell’esperienza è stata di lezione al numero uno della Fed, Jay Powell, il quale per combattere l’inflazione ha deciso di essere ‘falcò a oltranza, ripetendo come un mantra che anche l’anno prossimo non abbasserà i tassi Usa, anche a costo di far peggiorare l’economia, perchè è meglio un pò di recessione, non troppa magari, che un’inflazione eccessivamente alta.

“Anche oggi come negli anni Settanta c’è stato un grave shock”. spiega Cesarano, aggiungendo che Powell per evitare gli errori di allora, non intende smettere troppo presto i toni da ‘falcò e soprattutto non vuole fermare troppo presto le strette, col rischio di doverle poi rispolverare. “L’obiettivo di Powell – spiega Cesarano – è quello di portare i tassi Usa già a febbraio sopra il 5%, diciamo intorno al 5,25%, un pò sopra il livello dell’inflazione ‘corè, la quale potrebbe essere scesa nel frattempo sotto al 5%. Insomma, Powell non vuole ripetere l’errore di Arthur F. Burns (il presidente della Fed dal 1970 al 1979), il quale riuscì a far calare l’inflazione ma tenne sempre i tassi sotto il livello dell’andamento cei prezzi al consumo, con il doppio risultato di non riuscire a impedire la recessione e vedere poi il costo della vita riprendere a correre.

Powell dunque vuole assestare i tassi un pò sopra l’inflazione, quando inizierà a scendere, e non vuole lo ‘stop and go’ di Paul Volcker (presidente Fed dall’agosto 1979 all’agosto 1987), che dapprima tagliò i tassi per poi riprendere a rialzarli”. Il capo della Fed, insomma, oggi intende regolarsi così: andare avanti senza stop fino al punto ritenuto di equilibrio sui tassi ed eventualmente lasciare intendere di poterli ribassare e/o di rallentare il Qe tra fine 2023 ed il 2024. Fino a quando però il punto di arrivo non sarà raggiunto manterrà toni da ‘falco’ e, se serve, è anche pronto a curare l’inflazione con un pò di recessione.

I tassi Fed nel 2023 dovrebbero arrivare intorno al 5%

Attualmente i tassi Fed oscillano tra il 4,25% e il 4,50%. “L’ipotesi più probabile – suggerisce Cesarano – è che l’anno prossimo la Federal Reserve arrivi al 5%, o qualcosa in più, anche se il mercato attualmente non crede neanche che arriverà al 5%. Io ritengo che lo stop al rialzo dei tassi possa arrivare tra il primo e il secondo trimestre, cioè a febbraio, o nella riunione successiva. Non credo invece che nella seconda parte dell’anno la Fed farà necessariamente il pivot, cioè abbasserà i tassi, semmai potrebbe lasciare intendere che potrebbe abbassarli se necessario e/o anche ammorbidire la velocità con cui sta attuando il Quantitative tightening, la riduzione del bilancio”.

E la Bce potrebbe arrivare al 3,50%

A fine 2022 il numero uno della Bce, Christine Lagarde, si è un pò incattivita sui tassi, insistendo sulla necessità di innalzarli “in misura significativa” e “a un ritmo costante”. A portarla su questa posizione da ‘falco’ è stato una sorta di compromesso che la presidente ha dovuto adottare per accontentare la ‘colomba’ Philip Lane, il suo capo economista, che chiedeva un rialzo moderato dei tassi di 50 punti base a dicembre, mentre i ‘falchi’ lo volevano di 75 punti base.

Alla fine Lagarde ha spinto la Bce ad aumentare i tassi di mezzo punto percentuale ma in cambio, per accontentare i falchi, ha fatto la ‘dura’, impegnandosi a rialzarli ancora e facendo partire subito il Qt, ovvero la riduzione del bilancio. Insomma, Lagarde ha mediato, evitando di screditare Lane, già indebolito dalle sue stime troppo ottimistiche sull’inflazione di inizio anno, e venendo incontro ai falchi del Nord Europa. Attualmente il tasso di riferimento della Bce è al 2,50% e i mercati prezzano che nel 2023 possa salire fino al 3,25-3,50%.

“Un eventuale stop ai rialzi dei tassi – dice Cesarano – potrebbe avvenire tra marzo e maggio. Il Qt parte a marzo, con 15 miliardi di euro al mese come ha detto la Lagarde, dando la ‘sveglia’ ai mercati e dicendo loro: il terminal rate è più alto di quello che state prezzando voi. Svegliatevi. E ha aggiunto: il fatto che scaliamo i rialzi dei tassi a 50 punti base non significa che stiamo rallentando, anzi vuol dire che andremo avanti a 50 punti base per diversi incontri. Così Lagarde si è fatta portavoce dei falchi”. Tuttavia, aggiunge l’analista, “se l’obiettivo della Bce a fine 2023 è si arrivare intorno al 3% o poco sopra il 3%, quando il rendimento del biennale tedesco si sarà attestato su quel livello il mercato avrà recepito per intero le intenzioni manifestate dalla Lagarde”.

La recessione e l’inversione della curva dei rendimenti

Il 2023 sarà l’anno della recessione che la Bce e la Fed si aspettano ‘mite’ ma che l’inversione della curva dei rendimenti, con i tassi a lungo termine marcatamente più bassi di quelli a breve, indica assai meno ‘soft’. In Europa la differenza tra il 2 e il 10 anni è di circa 30 punti base, mentre negli Usa lo spread è arrivato fino a 80 punti base di inversione, con il rendimento del Treasury a 10 anni tra il 3,5 e il 4% e quello del 2 anni intorno al 4,5%.

Negli Usa l’inversione è iniziata ad aprile, mentre in Europa è più recente. L’inversione è il frutto di una situazione un pò particolare per cui, da un lato il mercato si aspetta banche centrali più aggressive nel breve e, dall’altra, si attende che queste forti strette danneggino l’economia e spingano, più a lungo termine, le autorità monetarie a fare dietrofront, riducendo i tassi. Le curve dei rendimenti rimarranno un pò invertite per qualche mese, poi, tra 3-4 mesi, cominceranno e disinvertirsi, quando le banche centrali avranno raggiunto o staranno per raggiungere il picco.

Recessione in europa e crisi energetica

La recessione in Europa è di fatto già iniziata ed è anticipata rispetto a quella Usa. Se sarà più profonda molto dipenderà dai prezzi dei prodotti energetici. L’embargo europeo al petrolio russo, entrato in vigore il 5 dicembre e che verrà esteso ai prodotti raffinati a partire dal 5 febbraio, rende incerte le prospettive sulle forniture di Mosca. Per quanto riguarda il gas, l’autunno insolitamente mite, il calo della domanda e la timida ripresa del flusso attraverso il gasdotto ucraino hanno contribuito a raffreddare i prezzi e a ritardare i prelievi dagli stoccaggi, che sono rimasti pieni.

Tuttavia, il vero problema sarà il 2023. Mentre quest’anno, infatti, l’Europa ha potuto contare sulle forniture russe, seppur ridotte, per fare rifornimento in vista della stagione fredda, l’anno prossimo i flussi da Mosca rischiano di ridursi drasticamente e il gas naturale liquefatto potrebbe non essere in grado di sostituirli. “La realtà è che l’Europa dal punto di vista energetico non è ancora autosufficiente”, dice Cesarano.

Molto dipenderà dalla stretta di Mosca sulle forniture e dalla capacità dell’Europa di ridurre i consumi. La buona notizia è che l’accordo sul price cap in Europa e l’inverno mite, hanno riportato i prezzi del gas ad Amsterdam sotto gli 80 euro al megawattora. Inoltre, Putin potrebbe aver bisogno di far un pò di cassa col gas per finanziare la sua controffensiva. In tale direzione, ad esempio, si muovono le ultime dichiarazioni del vice premier Alexander Novak sull’intenzione di riaprire i rubinetti del gasdotto Yamal, fermo da marzo, presumibilmente alla fine dell’inverno.

L’incognita è rappresentata in primavera dalla ricostituzione delle scorte europee, che in parte dipenderà anche dalla ripresa in Cina, che potrebbe far rialzare ancora il prezzo dei prodotti energetici. L’altra incognita in Europa è rappresentata dai corposi piani di rifinanziamento: la Germania ha messo in cantiere un piano di ‘refunding’ da 550 miliardi di euro e l’Italia uno da poco meno di 500 miliardi, che comprende le scadenze di Bot e Btp, gli interessi sul debito e soprattutto la ‘bolletta energetica’.

 In Usa la recessione inizierà più tardi e non sarà mite

Negli Stati Uniti la recessione inizierà più tardi che in Europa. “Non prima del secondo trimestre – spiega Cesarano – e se non mi aspetto una recessione durissima non sarà neanche tanto mite. Durerà fino alla fine dell’anno, o fino al primo trimestre 2024. Diciamo che gli Usa non avranno la polmonite ma neanche una febbriciattola”.

Per i mercati il 2023 potrebbe essere un anno positivo

“Il 2023 per i mercati potrebbe essere un anno positivo, specie nella seconda parte”, rileva Cesarano. Il 2022, con la guerra, l’inflazione galoppante e i massicci rialzi dei tassi, non è stato un anno positivo per i mercati, anche se le aziende hanno ridotto di poco gli utili. “Gli investitori nel 2022 – spiega Cesarano – hanno sfruttato le fasi di rimbalzo per vendere e portare a casa qualcosa. Il 2023 invece mi sembra un anno diverso. Nella prima parte dell’anno i tassi continueranno a salire, anche se più lentamente, e le aziende/analisti potrebbero tagliare le stime sugli utili. Tuttavia, nella seconda parte dell’anno, quando il rialzo dei tassi dovrebbe iniziare a frenare, allora potremmo vedere le Borse riprendere a salire. Insomma, nel 2022 il mercato è stato ribassista con qualche rimbalzo positivo in mezzo e l’anno prossimo la situazione potrebbe rovesciarsi e potremmo avere un mercato rialzista con qualche fase travagliata in mezzo.

“Nel 2023 prevedo in media un anno abbastanza positivo per l’azionario e l’obbligazionario, mentre non vedo un anno brillante dal lato macroeconomico. Soprattutto nella seconda parte del 2023 – assicura Cesarano – mi aspetto che le banche centrali diventino più colombe e perciò prevedo tassi obbligazionari più giù e Borse più su”.

Il dollaro nel 2023 dovrebbe indebolirsi

Nel 2022 il dollaro si è rafforzato su tutte le valute, per l’aggressività delle banche centrali e per gli acquisti soprattutto europei di prodotti energetici, che avvengono in dollari e che sono fortemente aumentati dopo l’invasione dell’Ucraina. Perfino un Paese come la Germania, la cui bilancia commerciale è sempre stata in forte attivo, nel 2022 è andata in disavanzo per l’aumento del prezzo in dollari delle materie prime e soprattutto di gas e petrolio. “Il 2023 – dice Cesarano – a mio avviso dovrebbe essere mediamente un anno di dollaro debole, soprattutto nella seconda parte dell’anno, quando inizierà la recessione statunitense”. L’euro invece dovrebbe consolidarsi intorno a 1,10 sul biglietto verde, oscillando tra la parità e 1,15, e lo yen e lo yuan dovrebbero rafforzarsi.

Il prezzo del petrolio tiene bene a 70-80 dollari al barile

La recessione non farà bene al prezzo del petrolio, che però dovrebbe mantenersi attorno a quota 70-80 dollari al barile. A pesare in positivo saranno le riaperture in Cina, nella prima parte dell’anno prossimo, che fanno sperare in una possibile ripresa dell’economia del Dragone e gli acquisti di greggio da parte del governo Usa che deve ricostituire le scorte, dopo aver immesso sul mercato 180 milioni di barili per abbassare il prezzo del petrolio. D’altra parte, le riserve strategiche Usa, che erano arrivate a oltre 700 milioni di barili di greggio, ora sono a meno di 400 milioni di barili e questo rischia di minare la credibilità militare di un Paese come gli Stati Uniti, poichè in caso di guerra il petrolio deve essere disponibile subito e in grandi quantità.

“Penso – dice Cesarano – che nel 2023 il prezzo del petrolio inizierà a risalire nella prima metà dell’anno, anche se molto dipenderà dalla ripresa o meno dell’economia cinese, mentre nella seconda parte il prezzo potrebbe cedere qualcosa per colpa della recessione Usa”. Anche i prezzi delle altre materie prime dovrebbero dipendere molto dalla ripresa o meno della Cina, specie il rame, che ha già iniziato a salire.

Il 2023 non sarà un anno elettorale

Il 2023, a differenza del 2022 e del 2024, non sarà un anno elettorale e questo potrebbe favorire i negoziati, specie quelli per la pace in Ucraina. La Cina sta cominciando a fare un pò di pressing sulla Russia, anche perchè non ha interesse ad avere una guerra prolungata in Europa, che è un suo cliente importante. Gli Usa hanno concesso i missili Patriot all’Ucraina, più per evitare eccessivi danni alle infrastrutture da parte dei missili russi che per colpire obiettivi militari nemici.

La Russia potrebbe scatenare un’offensiva a primavera contro l’Ucraina, ma un negoziato potrebbe partire proprio per evitare che la situazione peggiori. Circola l’ipotesi che con un nuovo referendum, fatto sotto l’egida dell’Onu, si arrivi a determinare se la Crimea e parti del Donbass debbano restare o meno in mano dei russi.

L’altra crisi geopolitica ancora aperta è lo scontro tra Taiwan e la Cina. “Il 2023 – dice Cesarano – non lo vedo come l’anno in cui si scatenerà un attacco di Pechino a Taiwan, anche perchè alle elezioni regionali di novembre ha vinto nettamente il partito filocinese di opposizione, il Kuomintang, che è favorevole a creare una Cina unica, come chiede Pechino. Questo dovrebbe scoraggiare la Cina ad attaccare Taiwan, perchè se il Kuomintang dovesse vincere le presidenziali del 2024, i cinesi potrebbero mettere le mani sull’isola senza bisogno di uno scontro militare”.

Inoltre, nel 2023, la Cina avrà altro a cui pensare, poichè sarà impegnatissima a far ripartire l’economia, compito non facile, visto che l’abbandono della politica dello zero Covid ha diffuso in modo pauroso la pandemia e da una riunione a porte chiuse del centro per il controllo e la prevenzione delle malattie è emerso, secondo quanto trapela da fonti citate dal Financial Times e in contrasto coi dati ufficiali che parlano di 60 mila contagi, che ben 250 milioni di persone, il 18% della popolazione, sia stato infettato dal virus nei primi 20 giorni di dicembre.

Infine, va ricordato che la Cina ha in pancia più di 900 miliardi di dollari di Treasury Usa, poco meno di un terzo di tutte le sue riserve valutarie che, in caso di attacco a Taiwan, sarebbero congelate, il che rappresenterebbe un grosso guaio per Pechino.

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