Utenti in blacklist e post oscurati. Le rivelazioni dei Twitter-files

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L’inchiesta del New York Times dimostra l’esistenza di un team di dipendenti di Twitter il cui scopo era “costruire liste nere, impedire ai tweet sfavorevoli di diventare di tendenza e limitare la visibilità di interi account o addirittura di argomenti di tendenza”. Nuova bufera per il più potente dei social network

di Riccardo Bastianello

© Constanza HEVIA / AFP
– Twitter

 

AGI – Prima è stata la volta dello scandalo (con tanto di accuse reciproche e di cause legali) sul reale numero degli utenti, poi è toccato al pasticcio dei licenziamenti di massa (in parte reintegrati con tanto di scuse), dopo agli uffici trasformati in dormitorio e infine ora ai “Twitter files”. Che il matrimonio tra Elon Musk e Twitter non sarebbe stata semplice e indolore era chiaro fin da subito. Ora però la Twitter-story si arricchisce di dettagli che potrebbero far cambiare radicalmente il modo in cui gli utenti guardano quello che è indubbiamente uno dei social network più potenti.

Le rivelazioni del “New York Times”, le ultime in ordine di tempo arrivate nella notte, svelano un fitto e per nulla trasparente intreccio che politica e istituzioni e il social media. La giornalista Bari Weiss, con la “benedizione” del nuovo Ceo di Twitter, ha infatti postato su lungo “thread” in cui si dimostra l’esistenza in passato di un team di dipendenti di Twitter il cui scopo era “costruire liste nere, impedire ai tweet sfavorevoli di diventare di tendenza e limitare la visibilità di interi account o addirittura di argomenti di tendenza”. “Il tutto – prosegue il post retwittato dallo stesso Musk – in segreto, senza informare gli utenti”.

Le Blacklist

Tra gli utenti finiti nella blacklist compare ad esempio Jay Bhattachary, professore di Stanford che sosteneva che i lockdown messi in atto per contenere la diffusione del Covid avrebbe potuto danneggiare i bambini (e per questo finito nella “trend blacklist” che impediva appunto ai suoi tweet di diventare virali) o l’account del presentatore di un popolare talk show Dan Bongino finito nella blacklist delle ricerche perché dichiaratamente di destra.

Ma nel mirino dei censori di Twitter era finito anche l’attivista conservatore Charlie Kirk (esplicativa la nota interna “Da non amplificare” allegata al suo profilo). Un sistema organizzato e strutturato, insomma, tutt’altro che qualche caso sporadico legato alle intemperanze dei singoli account.

Secondo la giornalista del New York Times i vertici di Twitter chiavano questa politica “Visibility Filtering” (più o meno “filtraggio di visibilità”) o VF. “Pensate al filtro di visibilità come a un modo per sopprimere ciò che le persone vedono a diversi livelli. È uno strumento molto potente”, ha dichiarato un dipendente di vecchia data.

Altro caso è stato quello della pagina “Libs of TikTok” (1,6 milioni di follower) sospeso sei volte ufficialmente per incitazione all’odio nonostante un documento interno dimostri che i gestori della pagina non hanno mai violato il regolamento interno di Twitter. Nella foto postata dalla giornalista americana si vede che proprio nella scheda di tale utente capeggiava in bella mostra il messaggio, in rosso, con scritto “Non prendere inizitive sull’utente senza consultare il Sip-Pes”, ovvero il “Site Integrity Policy, Policy Escalation Support,” il braccio operativo di questo tipo di operazioni.

Chi pensava insomma che lo scandalo fosse limitato, si fa per dire, alla vicenda legata al figlio di Biden, Hunter, e alle notizie (insabbiate) relative ad una non molto chiara consulenza con Paesi stranieri e frodi fiscali si sbagliava di grosso. La vicenda si sta allargando a macchia d’olio e la stessa giornalista promette nuovi aggiornamenti a breve, anche grazie alla collaborazione offerta da altri colleghi e altre testate.

Intanto Elon Musk ha fatto sapere che “Twitter sta lavorando a un aggiornamento del software che mostrerà il vero stato dell’account, in modo da sapere chiaramente se si è stati bannato, il motivo e le modalità per fare ricorso”.

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